Il
siciliano
Pietro
(Elio
Germano)
abita
a
Roma
assieme
alla
cugina
Maria
(Paola
Minaccioni)
ma
trova
una
casa
d'occasione
nel quartiere di Monteverde
vecchio
dove
trasferirsi
da
solo,
un
appartamento
buono
per
“risvegliarsi,
crescere
e
sognare”
ed
eventualmente
aspettare
che
venga
a
farti
visita
qualcuno
con
cui
consumare
una
buona
cena
a
lume
di
candela;
peccato
che
il
prezzo
abbordabile
nasconda
un gruppo di fantasmi (la compagnia teatrale “Apollonio”)
costretto inspiegabilmente tra quelle mura fin dal lontano 1943 e con
cui Pietro
non
solo
finirà
per
parlare
e
passare
del
tempo
ma
dai quali
accetterà,
presto
e
di
buon
grado,
persino
consigli
e
suggerimenti...
“Magnifica
presenza”
ci
apre
all’incontro
con
un
Ferzan
Ozpetek
particolarmente
libero
ed
ispirato
e
pure
molto
ardito,
al
punto
di
metter
letteralmente
a
convivere
sotto
lo
stesso
tetto
“il
passato
ed
il
presente”,
adottando
una
soluzione
di
sceneggiatura
davvero
singolare
ed
affidandosi
per
la
messa
in
opera
di questa ad
un
ottimo
Elio
Germano
ed
un
insieme di “strane presenze” interpretate tra gli altri da Beppe
Fiorello
e
Margherita
Buy.
Da
sempre
molto
personale
nei
suoi
film,
Ozpetek
più’
di
altre
volte
in
questa
occasione
pare
non
preoccuparsi
affatto
di
esser
prudente
e
corre
consapevolmente
il
pericolo
di
perder
le
redini
del
suo
lavoro,
che
difatti,
specie
nella
prima
parte,
pare
mostrare
una
attitudine
congenita
al
“depistaggio”
o
tendere
a
smarrire
la
strada,
fino
a
farci temere di finire nella vasta
schiera
dei
lavori
irrisolti.
In
realtà
la
scelta
a
monte
sarebbe
quella
di
provare
a
“giocare
la
partita”
privilegiando
il
versante
emozionale
anziché
preoccupandosi
davvero
dei
dettagli
sulla
plausibilità
o
meno
del
procedere
narrativo;
difatti,
non
per
caso ma
per
una
riuscita
ed
originale
costruzione
strategica
del
racconto,
lo
spettatore
è
spesso
portato
ad
assumere
quasi
il
ruolo
di
un
“partner
empatico”,
rimane invischiato tra strane
sensazioni
di
vecchie
confidenze
con
cose
e
personaggi
che
gli
si
insinuano
accanto
e,
andando
avanti,
comincia
a
percepire
anche situazioni
davvero assurde
sempre
più
come
incredibilmente
familiari,
mentre
tutt’intorno
una
inspiegabile
vena
di
ottimismo
carsico
sembra pacificamente
farsi strada.
Per
chi
provasse
a
lasciare
andare un
pochino
il
freno,
“Magnifica
presenza”
potrebbe a tratti
quasi
assumere
i
connotati
di
un
gioco
che
chiama
in
causa
la sua interazione,
quasi
invitandolo
ad
abbandonare
il
ruolo
passivo
e
cercando
di
coinvolgerlo
in
una
sorta
di
“emulazione
cerebrale”
con
il/i
protagonista/i.
Nel
contesto
appena
descritto
diviene
difficile
distinguere
al riparo dei dubbi quali
siano
i
messaggi
in chiaroscuro che
si
possano
ascrivere
a
questa
pellicola;
altrettanto
complicato
ricomporre
ogni
frammento
del
racconto
avendo
la
pretesa
di
intendere
perfettamente
ogni
particolare,
ma
questo
è
il
classico
dazio
che,
ben
volentieri,
si
trovano
a
pagare
certe
storie
che
decidono
di
spingere
sul
terreno
ondivago
delle
suggestioni
piu’
che
sulla
mera
sostanza
del
racconto.
Comunque
in “Magnifica presenza”
ci pare brilli limpido
almeno il
tema
del
superamento
delle
preoccupazioni
della
vita
donandosi con fiducia agli altri
e sembrano evidenti le
sottolineature
al
riguardo
del
passato
che
imbriglia
il
presente,
almeno fino
al
momento
in
cui
il
primo
non
trovi
una
soluzione
definitiva
ai
suoi
sospesi, tematica questa rappresentata
piuttosto
chiaramente
in
chiave
di
metafora
attraverso
la
figura
dei
fantasmi
bloccati
e
prigionieri.
Si
avverte
una
grande
dedizione
da
parte
di
Ozpetek
per questo
film
assai
difficile
da
incasellare,
meravigliosamente
distante
da
abusati
stereotipi
e
convenzioni
narrative ed in grado di realizzare un
connubio
di
assurdo
ed
autentico,
dove
ad
ogni
passo
l’incrocio
di
realtà
e
FINZIONE diviene
inestricabile.
Anche
gli
istinti
più
irreali
o surreali
che
albergano
la
storia
vengono
“domati”
trovando
per
loro
uno
spazio
che
abbia
la
misura adatta ad ospitarli
(ne è un esempio
il
mondo
parallelo
dei
travestiti
dove
regna
la
misteriosa
“badessa”
Platinette/Mauro
Coruzzi);
altrettanto accade per le
solite
figure “minori
e
diverse”
alle
quali
il
regista
turco
adora
concedere
il
primo
piano,
desiderando
forse
preparargli,
con
la
rappresentazione
impressa
ogni
volta
da
un
suo
nuovo
lavoro,
un
posto
accogliente
in
una
futuribile
realtà.
Si
arriva
così
al
finale,
dove
non
tutto
chiude
come
dovrebbe
e forse c’è un briciolo
di
velleità
di
troppo
nel
cercare
di
risolvere
le
questioni
sospese
con
troppa
fretta
e
affidando
il
compito
alle
sole
parole,
cosa
che
in un racconto dalle sfumature soprattutto viscerali sembra
assumere
il
tono
di
una
imperfezione.
“L’abbraccio”
largo
di
Ozpetek
rimane però lodevole
e
generoso,
così
come
lo
sforzo
di
provare
- e
tutto
sommato
riuscire
- a
tenere
insieme
nella
stessa
storia
situazioni
e
personaggi
davvero
eterogenei
come
“l’adulto-bambino”
che
gioca
alle
figurine
(del
Risorgimento!)
e
“l’adulto-travestito”,
di
notte
a passeggio per le
strade
e
di
giorno
distinto
gioielliere;
brillano
in
un teatro di ieri “riverberi”
di tradimenti, divise naziste ed eroismi partigiani che vengono
direttamente
dalla
Seconda
Guerra
Mondiale
mentre è invece oggi
l’omaggio
tra
le
righe
al
teatro
Valle
(occupato)
di
Roma;
c'è una
finestra
in
internet
che
getta
un
ponte
dal
passato
fino
alla
lontana
Turchia
dei
giorni
nostri
ed
un
pizzico
di
orgoglio
patriottico
all’ombra
di
Garibaldi
per
esortare al coraggio ed alla
dignità
nel
nostro
presente:
tutti
elementi
che appartengono ad un
film
che
profuma
di
“umano,
d'amore
ed
amare”
in
senso
universale
ma
che
potrebbero
procurare
allo
spettatore
disorientamento,
magari dolcemente o violentemente
sorprenderlo
così come
metterlo
in
ambasce
mentre
a
fatica
tenta
di
tenere
assieme
i
vari
filoni
narrativi
del
film.
Ma
alla
fine,
se
si
accettano
le
trascurabili
sbavature,
l’impresa
sembra
riuscire
e,
tanto
i
sogni
quanto
la
realtà,
ne
escono
rinvigoriti...
anzi:
“immortalati
e
sorpresi”
nel
naturale
crogiuolo
del
cinema
ed
al
loro
perfetto
stato
di
fusione.
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