TRACKS
di
John
Curran
Versione
Originale Inglese (110 min.)
PalaBiennale
– 29 agosto
2013 – Ore
20.00
Da
Alice
Springs
in
Australia
fino
all'Oceano Indiano, dopo
il
deserto.
Per
Robyn
Davidson
(Mia Wasikowska) nessun
posto
è
casa
sua
e
nel
ricordo
del
padre,
che
in
passato
a
piedi
percorse l'Africa
in cerca d'oro e incontrando coccodrilli,
ora vorrebbe
viaggiare per tremila
kilometri
in
solitaria
attraversando
terre
aspre
e
pericolose;
ma
dovrà
condividere
qualche
momento
anche
assieme ad un
fotografo
(Rick Smolan/Adam Driver) con
il
quale
scoprirà
di
avere
in
comune
molte
piu'
cose
di
quante
non
credesse.
La
storia
vera
della
“Signora
dei
cammelli”!
Il
film
di
Curran
scivola
via
leggero
e
veloce:
un
lungometraggio
che ha per solida base un
buon
racconto.
Il risultato è un
cinema
avvincente e dallo stile lineare,
anche se forse
troppo
passivo
nel contemplare l'avventura
della quale tratta.
Arriveremo
a poggiare il nostro sguardo fin
oltre
le
dune
bianche
del
deserto,
la dove
il
blu
del
mare
si
confonde
con
il
colore
dei
sogni.
Voto
**
6½
VIA
CASTELLANA
BANDIERA
di
Emma
Dante
Versione
Originale Italiano (90 min.)
PalaBiennale
– 29 agosto
2013 – Ore
22.00
In
un
vicolo
sperduto
della
Sicilia
due
donne,
bloccate
in
automobile
in
uno
stallo
ai
limiti
del
surreale,
danno
luogo
ad
una
sfida
dai
connotati
quasi
western:
marcano
il
territorio
come
animali,
scattose
inseriscono
la
prima
nel cambio come
si
carica
il
colpo
nella
canna
della
pistola
per
poi
sparare.
Intolleranze
e
disaffezioni,
dolori
e
piccole
tenerezze:
tutto
emerge
e
si
fa
strada
nel
film
esordio
di
Emma
Dante.
Buona
la proprietà
dei
mezzi
a
disposizione
che,
stavolta,
le consentono di operare
oltre
i limiti dell'abituale
profondità
di
campo
e
della
visione
frontale
del
teatro.
Lampi
di
Italiane
insensatezze
e
cattivere
siciliane,
cuori
impietriti
e
tristezze
arse
nel
sole,
nel
cemento
e
nel
tempo.
Voto
*** 7½
JOE
di
David
Gordon
Green
Versione
Originale Inglese (117 min)
PalaBiennale
– 30 agosto
2013 – Ore
20.00
La
vita
è
un
lungo
binario
del
quale
non
si
vede
la
fine
e
per
succhiarle
via
il veleno
che
la
rende
malsana
talvolta
è
necessario
iniettarne
altro
nel
fusto
di
alberi
fastidiosi
per
l'imprenditore
di
turno,
che
al
loro
posto
vuol
piantarne
di
nuovi.
E'
un
Texas
nel quale sembrano
convogliare
molte
delle
tenebre
e
delle
infelicità
del
mondo
quello
di
David
Gordon
Green
e
dove
Joe
(Nicolas
Cage)
fa
a
pugni
con
la
vita
e
con
la
legge
mentre
non lontano, intorno
a
lui,
si
susseguono
esplosioni
di
bestialità
e
violenza.
Uomini
sopraffatti
dalla
vita,
dalla
sfortuna
o
dalla
rabbia,
linguaggio
sporco
e
vite
miserabili,
finale
prevedibile e precipitato.
Ogni
tanto
la
terra
pare
confondersi
con
l'inferno
eppure
sarà
l'ultimo
dei
diavoli
ad
indicarci
la
strada
per
il
paradiso.
Voto
** 6½
DIE
FRAU
DES
POLIZISTEN
(La
moglie
del
poliziotto)
di
Philip
Gröning
Versione
Originale Tedesco (175 min.)
PalaBiennale
– 30 agosto
2013 – Ore
22.00
Nella
famiglia
felice
il
male
brucia
e
consuma
lentamente,
come
un
tronco
che
arde
dall'interno, nascosto
nel
fitto
del
bosco.
Nel
film
di
Gröning
la
violenza
è
quasi
assente
ma
i
suoi
segni
invece affiorano
lentamente
e
con
circostanziata
e
dolorosa
precisione.
Le
poche
lancinanti
deflagrazioni
di
violenza
si
conficcano,
senza
rimedio,
come
aghi
nella
memoria:
riaffioreranno
poi
fino
ad
impossessarsi
dei
nostri
sensi
coinvolgendoci,
nostro
malgrado,
in
una
esperienza
di
empatica
discesa
agli
inferi.
Spossante
e
rigorosa
rappresentazione
della
normalità
della
disperazione,
di un
ambiente
patogeno,
disturbato
ed
angoscioso,
“Die
Frau
des
polizisten”
precipita
lo
spettatore
in
una
dimensione
rarefatta,
richiedendogli
grande
impegno
e
partecipazione.
Il
film
è suddiviso
in
capitoli
estenuanti
come
un
calvario
e
paga
forse
alla
fine
un qualche dazio
più
a
questa
sua
frammentazione
che
non
alla
sua rigorosa lentezza o alla cupezza asfissiante delle sue atmosfere,
senza però per questo
perdere alcunchè
della
sua
efficacia
e
della
sua
bellezza.
Voto
*** 7½
CON
IL
FIATO
SOSPESO
di
Costanza
Quatriglio
Versione
Originale Italiano (35 min.)
Sala
Grande
– 31 agosto
2013 – Ore
10.00
Ispirato
al
suo
memoriale
e
per
rendere
omaggio
alla
vera storia
di Emanuele,
dottorando
nel
Dipartimento
di
Scienze
Farmaceutiche
di
Catania
morto
nel
2003 di
tumore
ai
polmoni,
Costanza
Quatriglio
chiede
“aiuto”
ad
Alba
Rohrwacher
per
ottenere
attorialmente indietro
ogni
sorriso
spezzato
o
lacrima
perduta,
tutta
l'intensità
del
rimpianto
per
i
sogni
immaginati e poi smarriti in una realtà
che,
giorno
dopo
giorno,
li
ha
annichiliti.
“E'
la
quantità
che
fa
il
veleno”
e
dovrebbe
tenerne
conto
l'Italia,
un
paese
che
sta
lentamente
scivolando
e
consegnandosi
ad
una
malattia
senza un nome ma sempre
più
inesorabile
ed
ogni
giorno
più
percettibile.
Il
film
della
Quatriglio
è
un
inno
alla
ricerca
scientifica
malmessa
e
bistrattata,
“in
pericolo
e
pericolosa”,
una dedica a tutti quei
giovani
coraggiosi
che
la
animano
e
la
mantengono
in
vita.
E'
un
grido
d'amore
e
d'allarme
per
il
nostro Paese
urlato
con
convinzione
e
dolorosa tenerezza,
per mezzo di
una
finzione
penetrante
che
somiglia
in modo bruciante al
vero.
Voto
*** 7
REDEMPTION
di
Miguel
Gomes
Versione
Orig. Portoghese, Italiano, Francese, Tedesco (26 min.)
Sala
Grande
– 31 agosto
2013 – Ore
10.40
Dal
Portogallo
all'Italia,
dalla
Francia
alla
Lipsia
di
una
Germania
non
ancora
unificata.
Quattro
storie
che
raccontano
il
passato
di
ignoti
protagonisti
vengono
mostrate
come
un
album
di
ricordi
costruito
con
vecchie
immagini
mischiate
ad
un
flusso
di
pensieri
che,
messi assieme, simultaneamente diventano
cinema.
Il
segno
indelebile
di
quel
che
è
accaduto,
ogni
piccolo
sentimento, risentimento
o
sofferenza,
segnano
il
presente.
Quale
è
la
matrice
comune
di
queste
storie?
A chi appartengono?
Tra
filmati di
repertorio
e
spezzoni
di pellicola tratti da “Miracolo
a
Milano”
di
Vittorio
De
Sica
scorrono
sullo
schermo
ricordi
e
biografie
forse
solo
sognate
o
immaginate,
che
il
film
di
Gomez
lega
assieme
con
audace
e
riuscitissima
lucidità
ed
una
punta
di
leggera
e
velenosa
ironia.
Voto
**** 8
PHILOMENA
di
Stephen
Frears
Versione
Originale Inglese (94 min.)
PalaBiennale
– 31 agosto
2013 – Ore
20.15
Anni
'50: Philomena
(Judi
Dench),
rimasta
incinta
a
14 anni,
è
finita
a
pagare
il
suo
peccato
nella
lavanderia
delle
“Sorelle
della
Scarsa
Pietà”
(…!...) del
convento
di
Roscrea,
in
Irlanda.
Suo
figlio
Anthony
è stato dato in adozione per
solo
mille
sterline
ed ha
preso
la
strada
della
lontana
America:
a lei
è
rimasto
solo
un
buco
nel
cuore
ed
una
foto
clandestina.
Oggi,
nel
giorno
dell'ipotetico
cinquantesimo
compleanno
del
suo
bambino perduto
ha
deciso
di
rivelare
a qualcuno il
suo
segreto
e
di
provare
a
cercarlo.
La
aiuterà
un
giornalista
(Steve Coogan) caduto
dagli
altari
alla polvere ed
in
leggera
depressione:
la
ricerca
non
sarà
avara
di
difficoltà
e
sorprese
ma
alla
fine
non
sarà
stato
speso
tempo
invano.
Il
film
di
Frears
- tratto
da
una
storia
vera
- è
bello
e
commovente,
sempre
in
equilibrio
perfetto
tra
laicità
e
religione,
tra vero
e
falso.
Spesso
si
diverte
a
metter
a
confronto l'intelligenza e la cultura con la saggezza coltivata
all'ombra dei piccoli romanzi futili, lasciando interdetto lo
spettatore al momento di scegliere il vincitore del confronto!
Tratto
dal libro di Martin Sixsmith “The lost child of Philomena Lee” la
pellicola
sembra partorita in uno raro
stato di grazia e capace di
diffondere un senso di armonia
costante
Lo
sguardo
di
“Mamma
Dench”
è
un
distillato
di
dignità,
amore
e
cinema
senza
paragoni!
Voto
**** 8
NIGHT
MOVES
di
Kelly
Reichardt
Versione
Originale Inglese (112 min.)
PalaBiennale
– 31 agosto
2013 – Ore
22.00
Il
nostro
pianeta
è
assalito
e
divorato
dagli
alfieri
del
profitto,
della produzione
e
della
crescita,
anzi,
forse
è
così
malmesso
che
entro
breve
tempo
sarà
spacciato!
Tre
ragazzi
voglion
dare
la
sveglia
al
mondo
e farciscono un motoscafo come un tacchino, riempiendolo di sacchi
di
nitrato
d'ammonio:
gesto
dimostrativo
(e
pericolosissimo!...)
per
destare
l'attenzione
e
smuovere
gli
indifferenti
o
solo
una
forma
di
spettacolo
e
di
egoistica
gratificazione
personale
che
nulla
ha
a
che
fare
con
etica
ed
ecologia?
Quando
l'idea
diventa
azione
e
manifesta
le
sue
conseguenze
negative
ecco
che
la
vita
potrebbe precipitare laddove
non
sembrava
saremmo arrivati e
persino
la
natura
che
volevamo
salvare
sembrerà
più
sporca!
I
protagonisti
di
“Night
Moves”
sono
atoni,
spenti,
avvolti
da
una
tristezza
che
scolora
il
loro
volto
come
i
loro
sogni;
paiono
guerrieri
ipnotizzati ed assorbiti da
un
obiettivo
fine
a
se
stesso
e
scollegato
dal
contesto.
Probabilmente
perseguendolo,
anziché
divenire vivi
e
felici,
finiranno
per
distruggersi.
Questo
è
esattamente
quello
che
potrebbe
accadere
quando
si
supera
il
segno
ed
è
chiaro
l'avvertimento
che
vuole
lanciare
il
film
della
Reichardt.
La
sua
però
è
una pellicola
troppo
mortifera
ed
assai
distante
dal
suo
precedente
e
diversissimo
“Meek's
cutoff”
(un atipico western), che
si
manifesta già logora
molto
prima
di
cominciare
a
lacerare
costruttivamente
le meningi
ed
il
cuore
dello
spettatore.
Voto
** 6
DIE
ANDERE
HEIMAT
– Chronik
einer
Sehnsucht
di
Edgar
Reitz
Versione Originale Tedesco (230 min.)
Sala
Casinò
– 01 settembre
2013 – Ore
14.30
Quale
idea
più
semplice
e
geniale
per
“andare
avanti”
che
quella
di
ricominciare
da
capo
partendo
da
un
altro
versante,
di
riprendere
il
filo
del
discorso
muovendo
da
un
punto
posto
ancora
più
a
ritroso
sulla
linea
del
tempo
rispetto
all'
inizio
della
storia?
Questa
l'intuizione
di
Edgar
Reitz
per
il
suo
nuovo
– il
quarto
- magnifico
capitolo
di
Heimat
“Die
Andere
Heimat
– Chronik
einer
sensucht”:
protagonista
stavolta
è
Jakob
e
la
Patria
dilaga
ovunque,
non
solo
l'Hunsrück
e
Schabbach
dove
ancora
è collocato lo svolgimento dell'azione fisica e reale.
Nello
scorrere
di
soli
tre
anni
passano
davanti
ai
nostri
occhi
molte
allegorie
riguardanti l'ingiustizia
ed
il
coraggio,
la libertà
e
l'indifferenza;
ci
vengon
mostrate
le
vie
dell'amore
e
della
scienza,
l'amore
materno,
quello
filiale
e certamente anche quello sognante e romantico, attraverso
un
non
scindibile
connubio
magico
tra
le parole
e
lo splendore
delle
immagini.
Un
“fluire”
incessante
dove
l'ambientazione
nel
passato
non di rado è utile per depurare lo sguardo dagli orpelli e dalle
ridondanze, rivelandoci in parallalelo anche aspetti del presente e
di tutto quel che non ha tempo.
Capolavoro
per
tutte
le
latitudini
del
mondo
e
del
cinema!
Voto
***** 9
PARKLAND
di
Peter
Landesman
Versione
Originale Inglese (92 min.)
PalaBiennale
– 01 settembre 2013 – Ore
20.00
A
cinquant'anni
dall'omicidio
di John Fitzgerald Kennedy,
“Parkland”
- questo il
nome
dell'ospedale
di Dallas dove
avvenne
il
decesso
del
Presidente
Americano
- il
film
di
Peter
Landesman
è
metà
celebrazione
e
metà
riflessione
su quel
che
accadde e
su quel
che
ancora
è
rimasto
delle
scorie
di
un
episodio
che
mandò
letteralmente
in
tilt
gli
Stati
Uniti
d'America
e
con
essi
buona
parte
della
scena
politica
del
globo.
Le
baruffe
e
gli
isterisimi
a
caldo,
le
reazioni
quasi
tutte
compulsive e sopra
le
righe,
le memorie
ricostruite
ed
una
serie
di
interessanti
personaggi
non di primissimo piano portati
al centro dell'attenzione, concependo e costruendo il film come un
montaggio di diversi controcampi,
ricreati scegliendo alcuni tra i piu' significativi episodi che si
verificarono attorno
all'evento.
Il
funerale
di
Oswald
e
la
sua
bara
che
nessuno
osa nemmeno
toccare
(neanche
fosse
l'ultimo
dei
reietti
o
il
diavolo
in
persona)
e
l'oceanico
bagno di folla per la salma di “JFK”,
in
un
confronto
a
distanza,
chiudono
la raccolta dei
fatti
salienti
di
alcuni
dei
giorni
piu'
bui
della
storia
degli
Stati
Uniti.
Ennesima
ricostruzione
per una “vicenda inalienabile ed indelebile” tratta
dal
libro
“Four Days in November” di
Vincent
Bugliosi:
ce
n'era
davvero
bisogno?
Voto
** 6
MISS
VIOLENCE
di
Alexandros
Avranas
Versione
Originale Greco (99 min.)
PalaBiennale
– 01 settembre 2013 – Ore
22.00
Mentre
tutti
stanno festeggiando in casa, senza
salutare
i
suoi
cari
la
piccola
Angelica
vola
giù
dal
davanzale:
ed
il
pensiero
suicida
diviene morte
all'istante!
Si
capisce
subito
che
in
casa
non
regna
l'armonia
e
certamente nemmeno
l'allegria:
Elena
è
incinta
ed
il
papà degli
altri
suoi
due
figli
non si sa dove sia; suo
padre invece la
sorveglia e la tallona di continuo, porgendole insistentemente
medicine
da
mandar
giù
assieme
al
malessere
di
vivere.
Interno
familiare
che
puzza
di
verità
agghiaccianti
fin
da
principio
perchè
se
la
violenza
è,
per
buona
parte
del
film,
occultata
ai
nostri
occhi,
i
suoi segni
nascosti
diventano
ad
ogni
fotogramma
sempre
più
visibili
ed
inequivocabili.
Molto
rigoroso,
ordinato
e
crudelmente composto, il
greco
Avranas
ci
mostrerà
ogni
cosa
nei
suoi
dettagli
senza
alcuno
sconto
e
senza
lasciare
nulla
alla
nostra
immaginazione.
Se
questo
sia
un
bene
o
una
“riduzione
per
eccesso”
dell'efficacia
del
racconto
cinematografico
è
una
questione
che
non da oggi divide
platea e critica; non
sembra comunque esser questo il caso di una mera pornografia
compiaciuta e fine a se stessa.
Voto
** 6½
THE
ARMSTRONG
LIE
di
Alex
Gibney
Versione
Originale Inglese (122 min.)
Sala
Grande
– 02 settembre 2013 – Ore
09.00
Lance
Armstrong:
un
osso
duro
anche
per
un
abile
documentarista
come
Alex
Gibney,
spesso
capace
di
rivelare
verità
nascoste
attraverso i
suoi
lavori.
Partito
con l'intenzione di realizzare un film per celebrare positivamente
il
rientro
del campione (?) Americano
al
Tour
de
France
del
2009, il
suo
lungometraggio si
trasformerà
gioco-forza nel resoconto
lunghissimo
di
una
storia
di
doping
e
di
potere.
E'
più
importante
l'etica
o
la
vittoria?
E' più corretto cercare di distruggere
il
sistema
o
è facile comprendere coloro che hanno scelto di farne
parte?
Il
tifoso
ai
bordi
della
strada
vorrebbe
solo
“disperatamente
credere”
ciecamente
nei
suoi
eroi.
Gibney
da
un'altra
picconata
alle
sue
ed
alle
nostre
illusioni
con
contributi
peculiari
e
preziosissimi:
informazioni,
vecchie
e
nuove,
semplicemente
proposte
nella
loro
agghiacciante
moltitudine
e
sequenza
d'insieme;
alcuni
primi
piani
di
Armstrong
specchiandoci nei quali meglio
che
altrove
possiamo provare ad individuare
la menzogna
o
la verità,
cercando
direttamente
nei
suoi
occhi;
il
controcampo
in
casa
del
Dottor
“doping” Michele Ferrari,
ripreso in poltrona, cronometro alla mano, durante
una
tappa
del
Tour
2009.
Le
emozioni
si
trasformano
in
veleno
e
subito
rimpiangiamo
le
belle
bugie
anche
se
non
siamo
del
tutto
convinti
che
fossero
davvero meglio
di
questa
brutta
verità.
Voto
*** 7½
AT
BERKELEY
di
Frederick
Wiseman
Versione
Originale Inglese (244 min.)
Sala
Perla
– 02 settembre 2013 – Ore
14.30
L'Università
di
Berkeley:
una
scuola
pubblica
di
primissimo
piano
nazionale ed internazionale,
nata
da
una
idea
di
diversità
e
dal
sogno
che
l'istruzione
potesse
esser
accessibile
a
tutti.
Ispirata
ad
Harvard
e
Yale
ma
in
competizione
con
queste,
con
delle
prassi
di
gestione
ed
una
filosofia
dell'insegnamento
differenti.
Studiare
il
mondo
anzitutto per
conoscerlo
o
solo per
guadagnare
poi con
quanto
si
è
appreso?
Un
documentario
di
quattro
ore
del
maestro
ottantatreenne
Wiseman
per
darci
conto
dello
stato
dell'arte
di
questa
imponente
istituzione,
un
polo pubblico di
formazione culturale unico e tra
i
migliori
al
mondo,
che
di
recente
ha
raggiunto
tra
gli
iscritti
il
più
alto
numero
di
studenti
con
basso
reddito;
nonostante
ciò,
per
le
difficili
contingenze
economiche,
corre il rischio di
diventare
presto solo
un
“marchio”
e
sempre
meno
accessibile.
L'approccio
di
Wiseman
è
schierato
ma
decisamente
onesto:
davanti al suo obiettivo scorrono riunioni pubbliche e private,
discussioni e dibattiti; tante
piccole
lezioni
di
scienza,
di vita
e
saggezza,
lunghi
dialoghi
o
monologhi
inframezzati
da
scene
di
svago,
di lavoro
manuale
e
meccanico,
poi anche immagini di sport
e
relax,
intermezzi inseriti forse
non
solo
allo scopo di spezzare
il
ritmo
incessante
della
parola
ma
anche
per
sottolineare
la
continuità,
il
valore
e
l'unione
di
tutte
le
differenti
fasi della
vita.
Voto
**** 8
THE
ZERO
THEOREM
di
Terry
Gilliam
Versione
Originale
Inglese
(107 min.)
PalaBiennale
– 02 settembre 2013 – Ore
20.15
In
un
mondo
apocalitticamene
devastato
da
caos
e
pubblicità,
in una chiesa divenuta una casa Qohen Leth (Cristoph
Waltz)
svolge il suo mestiere di programmatore, quotidianamente preda dello
stress
e
della
solitudine
e
nell'attesa
(forse
infinita)
di
“una
chiamata”
che
doni
uno scopo
alla
sua
vita.
Nel mentre tenta
di
risolvere
un
teorema
indimostrabile
che
fughi
ogni
dubbio
sul
(non)senso
della
vita
ed
inganna
il
tempo
con
sedute
di
“interfacing
tantrico
biotelemetrico”.
Gilliam
come
suo
solito
mischia
e
colora
gli
elementi,
trasforma
persino la logica
e
la matematica
in
fantastiche
visioni
e
rende visibili agli occhi complicati software,
dandogli forma di graziose
ampolle
colorate;
non
arretra mai di
un
millimetro
dal
suo
percorso sognante ed anzi “elabora nuovo nutrimento” per la sua
fame
visionaria.
Tra
riverberi
di
“Brazil”
e
qualche
conclusione
troppo
prevedibile
la
giostra
stavolta
funziona
fino
alla
fine
e quel che vediamo accadere tutt'intorno – vestito di differenti
colori - è niente altro che la vita!
Una
ventata
genuina
di
fantasia
e
buoni
sentimenti.
Voto
*** 7
TOM
A
LA
FERME
di
Xavier
Dolan
Versione
Originale Francese (95 min.)
PalaBiennale
– 02 settembre 2013 – Ore
22.00
Tom
ha
perduto
il
suo
amore
e
con
esso
la
direzione e la bussola
del
cuore.
Forse,
inconsciamente, è già consapevole di non aver altra
scelta
se non quella di provare
a
sostituire
chi non c'è più.
Xavier
Dolan
(anche
protagonista del suo lungometraggio)
sa
bene
come
spiegare
e
mostrare
l'istinto
e
la
brutalità
dei
sentimenti
e
delle
passioni,
i
caratteri
aggressivi
o
remissivi
delle
persone
e
tutto
quel
che
si
agita
nelle viscere
o nel cuore.
Il
suo
è
un
cinema
elegantemente
costruito
e
con abile maestria “sporcato”
quel tanto che basta per librarsi tra stile e credibilità.
Tratta
dalla
pièce
omonima
di
Michel
Marc
Bouchard
la
pellicola
nel
suo
complesso
è in
grado
di
lacerare
e
sorprendere,
tagliente
come
le
foglie
di
mais
nei
campi
d'ottobre, come tanti
piccoli
coltelli
che
segnano
e
feriscono
chi
prova
ad
avventurarsi
in
quelle
fitte
distese
e
Dolan
ce
lo
mostra
con
esattezza.
Voto
*** 7½
MOEBIUS
di
Kim
Ki-duk
Versione
Originale Coreano (90 min.)
Sala
Grande
– 03 settembre 2013 – Ore
09.00
Dei
nostri
atti
e
delle
loro
conseguenze:
viaggio
attraverso
una
geografia
- al cinema solo parzialmente
esplorata
- delle
nostre
emozioni,
sentimenti
e
percezioni,
passando
per
differenti
livelli
di
dolore
e
di
piacere,
di
perdono
ed
espiazione,
tra “estasi
inquiete”
e
persino
atti incestuosi che guardano al divino.
Kim
Ki-duk
è
un
regista
al
quale
piace
oltrepassare
le
frontiere
con
semplicità
e
senza
paura,
avanzando
con ardore verso il limite, là dove si scorge il confine con
l'insostenibile.
Eppure
il
suo
“Moebius”,
nonostante
ciò,
è
intriso
di
una dilagante
ed
umana
poesia
che
non
l'abbandona
mai,
forte di
una
intensità
resa
senza
l'ausilio
di
nessuna parola
e
solo
attraverso
situazioni e contrasti ad
ogni
passo
più
rischiose
per
la
“comunicazione
visiva convenzionale”.
Nessuna
paura
però
del
ridicolo,
perchè
la
bravura
nel
far
prorompere
le
emozioni
e
le
verità
da
situazioni
ripugnanti
o
singolari
è
eccelsa
e
gli
argomenti
cinematografici del
regista
Coreano
– in
conclusione
ci
sembra
di
poterlo
affermare
per
manifesta
evidenza
– decisamente
più
eleganti, “spietati” e
granitici.
Imperdibile!
Voto
**** 8½
RUIN
di
Michael
Cody
e
Amiel
Courtin-Wilson
Versione
Originale Khmer/Inglese (90 min.)
Sala
Grande
– 03 settembre 2013 – Ore
11.30
Corpi
violati,
corpi
martoriati.
Sogni
sporcati
e
realtà
sfigurate.
Cambogia:
un
uomo
ed
una
donna
in
fuga
da
un
presente
pericoloso, duro
e
avvilente riscoprono
la
tenerezza
dei
gesti
e
degli
sguardi
prima
ancora dell'amore;
lentamente
fanno
riaffiorare
la
loro dignità
dalla
melma
di
abusi
e
prevaricazioni
che
l'avevano
stracciata
e
calpestata.
“Ruin”
filma con libertà più che apprezzabile la caduta rovinosa di due
esseri umani che gradualmente torna a farsi cammino e poi volo;
ci regala occhi intensi in primissimo piano capaci di fagocitarci,
altre volte indugia forse troppo compiaciuto nella sua ricerca
estetica.
Però
Cody e Courtin-Wilson sanno bene come
rintracciare
la purezza confusa negli atti di violenza, come estrarre dalle
sofferenze della carne tutto quanto è invece molto più vicino
all'anima.
Voto
*** 7
UNDER
THE
SKIN
di
Jonathan
Glazer
Versione
Originale Inglese (107 min.)
PalaBiennale
– 03 settembre 2013 – Ore
20.00
Entità
aliene
si
aggirano
per
il
pianeta
terra
cercando
di
rapire
gli umani
e
ridurne
le
carni
in
forme
di
cibo
o
di
energia.
Molti
maschietti
cadono
tra
le
braccia
di
uno/una
di
loro
che
ha
preso
le
sembianze
suadenti
di
una Scarlett
Johansson
dallo sguardo
vitreo,
sovrastato
da
un
caschetto
nero
nuovo
di
zecca.
Dopo
oltre
un'ora
di
meccaniche
azioni/ripetizioni ecco
che
però
le
emozioni
fanno
breccia
ed
anche
a
chi
è giunto dallo
spazio
vien
voglia
di
piangere,
di
assaggiare
un
dolce
e
persino
di
provare
a
gettarsi
tra
le
braccia
amorose
di
un
compagno
gentile
che
si
occupi
del
suo corpo
(attenzione agli imprevisti!...) e
dei
suoi sentimenti.
Certo,
lo
sapevamo:
nonostante
tutto
l'umanità
ha
il
suo
fascino
ed
è
capace
di
conquistare
persino
differenti
forme
di
vita
ed
intelligenza.
Non
altrettanto
riescono
a
fare
Glazer
ed
il
suo
cast
con
gli
annoiatissimi
e
stremati
spettatori,
assopiti
tra
le
sbiadite
invenzioni narrative e
le
poco “sorprendenti sorprese”, elergite
peraltro
col
bilancino.
Voto
* 5
ANA
ARABIA
di
Amos
Gitai
Versione
Originale Ebraico/Arabo (84 min.)
PalaBiennale
– 03 settembre 2013 – Ore
22.00
Esiste,
tra
Jaffa
e
Bat
Yam,
un
quartiere tollerante
ed
ospitale
dove
possono
convivere
persone
con
storie
e
culture
differenti,
dove
puo'
trovar
pace
l'eterno
conflitto
Arabo/Israeliano.
Ispirandosi
alla
vicenda
vera
di
una
donna
ebrea
sopravvissuta
ad
Auschwitz
- e
poi
una
volta
tornata
sposatasi
con
un
arabo
- Gitai
immagina la protagonista
del suo film (Yuval Scharf, l'attrice
che
interpreta Yael, una
giornalista
Ebrea)
fare
visita
ai
parenti
ed
amici
di
questa
per
raccoglierne
i
ricordi
e
conoscerne
la
storia.
Per
realizzare
il
suo
lavoro
e
mostrare
quanto
accade
utilizza
un
solo
ininterrotto
piano
sequenza,
pare
per
simboleggiare
ancor
di
più
l'unione
di
due
mondi
e
due
culture,
sottolineandola
con
l'assenza
di
stacchi
di
montaggio
tra
le
diverse
storie.
Il
risultato
estetico
è
minimalista,
i
dialoghi
simbolici;
la
prova
degli
attori
è
buona
ma
non
sembra
regalare
acuti
particolari e quindi
lascia
la
parola
a soverchiare
in abbondanza tutto il resto, spesso perduta
con
se
stessa
ed incapace di aggregarsi
alle
immagini
facendosi cinema.
Forse
da
rivedere
e scandagliare
con
maggiore
attenzione,
per rinvenire
qualche
perla
sottovalutata
o sfuggita tra
le
molte parole;
non
sembra comunque esser una delle pellicole più riuscite di
Gitai.
Voto
** 6
UKRAINA
NE
BORDEL
(Ukraine
is
not
a
Brothel)
di
Kitty
Green
Versione
Originale
Ucraino/Russo
(78 min.)
Sala
Grande
– 04 settembre 2013 – Ore
09.30
“Se
il
mondo
vede
l'Ucraina
come
un
bordello
dove
trovare
le
puttane
che
veda
allora
donne
nude
che
non
si
vendono!”
Questa
l'affermazione
di
una
delle
“Femen”,
un movimento di emancipazione delle donne in
una
nazione
dove
la
stragrande
maggioranza
delle
ragazze
ignora
il
significato
della
parola
femminismo.
Il
loro
movimento
è
una
realtà
contraddittoria,
che
unisce
il
marketing
alla
cultura delle donazioni
(queste ultime operate soprattutto
da
parte
di
uomini,
perchè
il
denaro
del
mondo
perlopiù
è
nelle
loro
mani),
l'esibizionismo e la nudità del corpo utilizzate come provocazione e non come offerta, le sfrenate azioni dimostrative unite alla passione
civile.
Il
documento
di
Kitty
Green
(che
con
loro
ha
condiviso
per qualche tempo rischi
e
diverse
irruzioni/manifestazioni,
ovvero
gli
scontri
fisici
e
le
loro
conseguenze)
cerca
di
coglier
gli aspetti
differenti
e
talvolta
paradossali,
compreso
quello
dalla
matrice
clamorosamene
patriarcale
del
loro
fondatore
e
mentore
Viktor,
portatore però di un innegabile
contributo di
qualità
e
creatività,
assieme ai suoi influssi
positivi
e
negativi.
Occhio
alle
immagini:
il
dettaglio
fondamentale
non
è
lo
smalto
fluorescente sulle
unghie
dei
piedi
ma
il
livido
sul
ginocchio!
Ogni
volta che organizzano “un evento” le “Femen” mettono in gioco
la propria vita e la propria libertà, usando il corpo frontalmente,
correndo il rischio di finire in prigione e subire percosse,
come è accaduto ad esempio durante l'incursione nella Bielorussia
dalle derive totalitarie di Alexsander Lukashenko (toccanti le
testimonianze delle protagoniste sulla vicenda).
Davvero
qualcuno potrebbe ipotizzare che si tratti solamente di piacevoli
esibizioni e niente altro? Traete pure le
vostre personali conclusioni!
Voto
*** 7
LA
VIDA
DESPUES
di
David
Pablos
Versione
Originale
Spagnolo
(90 min.)
Sala
Grande
– 04 settembre 2013 – Ore
11.30
Rodrigo
e
Samuel:
caratteri diversi fin dalla più tenera età.
Due
fratelli che crescono
assieme
allevati
da
una
madre
vittima
di
continue
crisi
depressive,
incapace
di
elaborare definitivamente il lutto conseguente al suicidio del padre
(gesto del quale non
conosceremo
il
motivo).
Quando
questa
scomparirà
(si
allontanerà),
inviando
loro
solo
un
pacco
accompagnato
da
una
richiesta
di
perdono,
Rodrigo e Samuel, con i loro differenti tumulti interiori e stati
d'animo, partiranno assieme sulle strade del Messico per cercarla
“La
vida
despues”
è
una
riflessione
sui
rapporti
di
sangue
e
della
carne,
sulle
emozioni,
sull'affetto
e
la
differente
maniera
di
rapportarsi
con
gli
avvenimenti
che,
inevitabilmente, interferiscono con la
nostra
maturazione,
con
il
procedere
della
nostra
esistenza
nonché
sull'ereditarietà
di
alcune
determinanti
sfumature,
alle
quali
non
è
possibile
fare
alcuna
vera
opposizione.
Psicologie
vivide
anche
se
appena
accennate,
dettagli
salienti
in
penombra:
nessuna
risposta
definitiva
nel
film
di
Pablos
ma
un
bellissimo
modo
di
gettare
lo
sguardo
altrove
e
di
proporcelo
in
forma
di
cinema.
Voto
*** 7
PINE
RIDGE
di
Anna
Eborn
Versione
Originale
Inglese/lakota
(77 min.)
Sala
Grande
– 05 settembre 2013 – Ore
09.30
A
Pine
Ridge
la
vita
è
dura:
la riserva indiana del Sud
Dakota di fatto è un
ghetto.
Questo
è
il
posto
che
i
bianchi
hanno
lasciato
ai
nativi
“Oglala
Lakota”,
una
terra concessa come una sorta
di elemosina,
che
loro
abitano
pacificamente.
La
loro
cultura
è
stata
irrimediabilmente
inquinata
dagli
invasori
e
lo
si
vede
osservando i vestiti che indossano o ascoltando la loro lingua
meticciata: quel
che
questo popolo poteva
essere
è
nient'altro che un insieme di segni sparuti che si scorgono oramai
solo in controluce.
La
regista
Anna
Eborn
ci mostra
gli sguardi di alcuni di loro, i
dettagli
dei
loro
bellissimi
profili:
nasi
scolpiti
che
paiono
le ripide
discese
di
un
canyon,
le code
di
capelli
intrecciati
sopra i quali le
gocce
d'acqua
prima
danzano
e
poi
si
tuffano
come
da
una
altissima
cascata.
La
Eborn passa
da
un
protagonista
ad
un
altro,
come
l'ape
si
posa
di
pistillo
in
pistillo,
usando
spesso
asincronicamente
la
voce
fuori
campo
di
coloro
che
inquadra
in
primo
piano
e
così
facendo
riducendo
la
distanza
tra
documentario
e
cinema,
tra
testimonianza
e
vivida
emozione,
diventando
cercatrice
di
bellezze
in
estinzione,
raccontando
le
storie
di
chi
i
sogni
li
aveva
ed
erano
in
grado
di
salire
fino
al
cielo
ed
invece
oggi
afferma di
non
averne
più.
Voto
*** 7½
BAUYR
(Little
brother)
di
Seric
Aprymov
Versione
Originale Kazako (95 min.)
Sala
Grande
– 05 settembre 2013 – Ore
11.30
Yerkin
Galym
è
un
piccolo
bambino
che
abita
a
Bulak,
in
Kazakistan.
Gli
adulti
lo
umiliano
in
differenti
maniere:
talvolta
in modo esplicito, altre volte meno platealmente, ma sempre
prevaricandolo,
abusando
della
loro
età,
ruolo
o
professione.
Molti
dei
coetanei di Yerkin non
vivono
le
sue
stesse
difficoltà
e
per questo gli
sono
distanti:
non
comprendono
le
ardue
complicazioni
del
suo
quotidiano,
dove
evitare il furto di una pecora è un'impresa
ed
incassare
i
pochi
crediti
derivanti
dalla
vendita
dei
mattoni
(indispensabili
per
sostenersi)
spesso
un
compito
impossibile.
Tutti
vogliono
dargli
lezioni
che
la
vita
gli
ha
già
impartito
(e
lui
ha
peraltro già ben
compreso
ed
assorbito);
poi
gli
scaricano
addosso
persino
le
responsabilità
più
pesanti,
delle
quali
non
voglio
farsi
carico.
La
mamma
è
morta
e
papà
è
“in
missione
di
lavoro”
così
Yerkin
aspetta
con palpabile trepidazione suo
fratello
-
che
studia
in città - per
offrirgli
un
pomeriggio
al
cinema
(l'ingresso
gli
costerà
ben
sei
biglietti!):
l'autobus
con il quale arriverà è
tutto
l'orizzonte
che
gli
offre
una
vita
che
si
è
già
presa
tutta
la sua innocenza,
lasciandogli
sulla
pelle
piccole
e
grandi
ferite,
oltre
a
pochissime
speranze.
Aprymov
riesce
a
raccontarci
tutta
questa
desolazione
con
schietta disinvoltura, miscelando
l'aridità
di luoghi e situazioni ad
una
tenerezza
a
render
la
quale
il
volto
e
la
recitazione
del
piccolo
protagonista
(Almat Galym) contribuiscono
in
maniera
a dir poco determinante,
raggiungendo
un
risultato
d'insieme
davvero
ammirevole.
Sembra
solo
la
vita
e
basta
ma
è
davvero
molto,
ma
molto
di
più!
Voto
**** 8½
JIAOYOU
(Stray
Dogs)
di
Tsai
Ming
Liang
Versione
Originale Cinese (138 min.)
Sala
Grande
– 05 settembre 2013 – Ore
14.00
“Esseri
umani”:
uomini
e
bambini
come
“Cani
randagi”,
confusi
tra
il
traffico
e
la
frenesia
cittadina
o
smarriti negli ipermercati, moderne giungle
straboccanti
di
merci
e
carrelli.
Per
condurci
ad
un
livello
empatico
con la
loro
misera
condizione
Ming
Liang
comincia
proponendoci
larghi campi
fissi
nei
quali
cercare
ed
indagare
i
segni
di
irrimediabili
torti
e
le
lacerazioni
di un assurdo presente.
Poi
stringe
sempre
di
più
sui
dettagli:
un
uomo
che
urina tra le foglie di un canneto
oppure
un
dipinto
che
copre
tutto
lo
spazio
di
un
muro,
situato
in
un
contesto
di
rovine
ed
abbandono.
Su
ogni
immagine,
quadro
o
scena
si
sofferma,
indugiandovi
per tempi
dilatati
ed
estenuanti,
fino
addirittura
poi
a
“fermare”
letteralmente
il
suo
film
per
oltre
un
quarto
d'ora
su
un
primo
piano
denso di sguardi, lacrime e
sospiri di
fronte
al
quale
porci
le
nostre
domande,
mentre
questo
lentamente
ci
risucchia
al
suo
interno.
Di
una
estetica
niente
affatto
manierata ma che anzi sa bene dove vuole arrivare e nulla toglie a
quel che vuole mostrare, “Stray dogs” è portatore di diversi
tempi di lentezza e di riflessione che
il suo regista – dichiaratamente – ritiene debbano esser
recuperati anche nella “forma cinema”.
Per
nulla
accomodante
nei
confronti
dello
spettatore
e
pretendendo
da
questo
una
partecipazione
che,
se
concessa,
porterà
ogni singolo individuo oltre il confine della sola proposta visiva,
Ming
Liang
sposta
coraggiosamente
più
in
alto
l'asticella
e
porta
avanti
“tutto il cinema”,
certo
rischiando
di
opprimere
qualcuno
e
tediando
i
meno
pazienti,
camminando
tra
realtà
disasatrate
ma anche concedendosi elegantissimi e poetici slanci
onirici,
senza
negare
pietà
e
desolazione
allo
sguardo
ma
nemmeno
infine un
tiepido
raggio
di
sole.
Magnifico
cinema
senza
compromessi,
che
dal
presente
traghetta
verso
il
futuro.
Voto
***** 9
DONNE
NEL
MITO:
ANNA
MAGNANI
A
HOLLYWOOD
di
Marco
Spagnoli
Versione
Originale Italiano (39 min.)
Sala
Perla
2 – 05 settembre 2013 – Ore
17.30
Breve
ricordo/omaggio
di
quaranta
minuti
dedicato ad
Anna
Magnani.
Partendo
dal
suo
arrivo
in
America
nel
1953 si
spazierà
tra
ricordi
e
testimonianze
come
quelle
di
suo
figlio
Luca
e
di altri
che
l'hanno
accompagnata
e
conosciuta
(la
sua
biografa
ufficiale
Matilde
Hockhofler,
il
press-agent
Enrico
Lucherini
o
Caterina
D'amico,
figlia
della
famosissima
sceneggiatrice
Susanna
Cecchi),
rinverdendone
il
personaggio
e
la
figura
umana,
strettamente
legata
a
quella
dell'artista.
La
vittoria
di
un
Oscar
clamoroso
ed
inaspettato
e
le
serate
a
casa
sua,
in
Via
degli
Astalli,
per
seguire
le
finali
canore
di
Sanremo
assieme
ad
ospiti
come
Alberto
Sordi,
Federico
Fellini
e
personaggi
di
spicco
della
cultura
e
della
politica,
dando vita a cenacoli
rari
ed
oramai
irripetibili.
L'amicizia
con
Bette
Davis,
l'incontro artistico e la passione a distanza con Tenessee
Williams,
il
suo
amore
per
i
gatti,
le difficoltà con l'inglese ed il teatro, le
rinunce
per
non
lasciare
Roma
ed
i
suoi
radicati
affetti.
Voto
** 6
DOUBLE
PLAY:
JAMES
BENNING
AND
RICHARD
LINKLATER
di
Gabe
Klinger
Versione
Originale Inglese (70 min.)
Sala
Perla
2 – 05 settembre 2013 – Ore
18.20
Benning
e
Linklater:
due
figure
di
primo
piano
nel
mondo
del
cinema
destinate
ad
esser
relegate
per
sempre
nel limbo di uno “splendore oscuro”, perchè
sperimentatori,
precorritori
coraggiosi,
esploratori
capaci
di
avventurarsi
con
caparbietà
e
tenacia
dove
altri
non
vorranno
mai
metter
piede
(come
ad
esempio
da
altri
versanti
il
Matthew Barney di “Cremaster”).
Gente
capace
di
lanciare
una
macchina
da
presa
agganciata
ad
una
canna
da
pesca
e
poi
lasciarla
girare,
cineasti
pronti
a
rivoluzionare
ed
a
discutere
il
concetto
stesso
di
tempo,
che
questo
scorra
davanti
all'obiettivo
oppure
altrove.
Benning
parla
con
pacatezza
ma
visibilmente
contrariato
dell'avvento
del
“cinema
narrativo”
e
si lamenta non poco delle sue
“manipolazioni”.
E'
un
tipo
capace
di
tornare
ventisette
anni
dopo
nel
luogo
dove
aveva
filmato
una
donna
con
una
bambina
e riportare
i
suoi
protagonisti
sullo
stesso
set,
riprendendo
però ora
una
ragazza
che
cammina
a
fianco
di
una
donna
anziana.
Linguaggi
di
comunicazione
nuovi,
performance,
tracce,
folgorazioni
solo
apparentemente
assurde:
come
l'esperienza di leggere
(o ascoltare) le
pagine
del
“Finnegans
Wake”
di
Joyce,
non
come
fosse
un
libro
ma
togliendo
qualche
lettera
“di
troppo”
alle
parole
del
testo
e
lasciando
successivamente “suonare
la
sua
musica”!
Linklater
divora
pellicole,
Benning
non
si
entusiasma
a
vederle
e
non
si
definirebbe
un
cinefilo.
Contraddizioni?
Semmai
ricchezze
della
diversità
e
di
un
lungo
vagare tra
pensieri
e
riflessioni,
esperienze virtuali e materiali.
Quello
di
Gabe
Klinger
è
un
incontro
sul
grande
schermo
che
“tutto il
nostro
apparato
sensoriale”
dovrebbe
aver
la
premura
di
non
lasciarsi
sfuggire!
Voto
*** 7½
MAHI
VA
GORBEH
(Fish
and
Cat)
di
Shahram
Mori
Versione
Originale Farsi (134 min.)
Sala
Grande
– 06 settembre 2013 – Ore
11.15
La
vera folgorazione
cinematografica
a
Venezia
arriva
dall'Iran:
si tratta del
lungometraggio
“Mahi
va
gorbeh”
del
giovane
Shaharam
Mori,
girato
con
un
lunghissimo
piano
sequenza
“ad
orologeria”
che
genialmente
utilizza
un
bosco
come
fosse
un
gigantesco
set
dove
muoversi
in
lungo
ed
in
largo,
disseminandoci
dentro
strani
personaggi
che
si
muovono
in
una
specie
di
teatro
dell'assurdo,
tra
avvenimenti
singolari
che
di
tanto
in
tanto
paiono
collegarsi
tra
loro
misti a piccole
tensioni,
curiosi
dialoghi
e
tracce
di
incomunicabilità.
Il
registro
oscilla
tra
il thriller e la
commedia
nera,
con tinte
di
giallo
e
venature
di
horror
anche
se
a
farla
da
padrone
ed
a
creare
interesse
sono
semplicemente
le
suggestioni
che
di
volta
in
volta
“esalano”
da
inquadrature
e
suggerimenti
della
recitazione.
Tutto
ha
contorni
poco
chiari
ed
indefiniti,
talvolta irreali
ed
a
tratti
surreali;
le
cose
si
ripetono
ma
non
vanno
sempre
nella
stessa
direzione,
il
confine
tra
il
bene
ed
il
male
è
poco
riconoscibile.
Ora
siamo
in
un
sogno/(reale!),
ora
in
un
incubo
che
divene
una
lunga
e
sorprendente
metafora.
In
questo
claustrofobico
dedalo le
percezioni del tempo e dello
spazio
sono alterate e
si
fanno
incontri
come
si
scorgono
all'orizzonte
presagi
misteriosi.
Mori
sa
come
creare
tensione
anche
solo
con
stratagemmi elementari, come un
semplice telo
nero
lanciato verso l'obiettivo.
Dal
suo
labirinto
si
uscirà
senza
aver
ricevuto
in
cambio
nessuna
risposta
chiara e definitiva e
senza
aver
potuto
comprendere
ogni
allusione,
sia
essa
politica
o
di
altro
tipo:
ma
non
è
solo
un
esercizio
di
stile,
perchè
le
sensazioni
ci
rimangono
addosso
e
immagini
e
pensieri
continuano
ad
agitarsi
a
lungo
ben
oltre
la
proiezione.
La
vera
rivelazione
della
70^ Mostra
di
Venezia!
Voto
**** 8½
ORIZZONTI/CORTI
Sala
Perla
– 06 settembre 2013 – Ore
14.30
KUSH
di Shubhashish Bhutiani
Versione
Originale Hindi (20 min.)
Il
31 ottobre
del
1984, Indira
Gandhi
muore in seguito all'attentato messo in opera da due guardie del
corpo di etnia Sikh:
successivamente, per
rappresaglia,
ne saranno uccisi
circa
quattromila!
A
fronte
di
questa
immane
strage
solo
trenta
furono
le
condanne
comminate
ai
colpevoli.
“Kush”
di
Shubhashish
Bhutiani
narra
(e
dedica)
di
un
episodio
che vide una
maestra
riuscire
a
proteggere
un
bambino
affidatole,
salvandogli la
vita.
La
pellicola riesce a
metter
in
luce
tanto
l'inutile
discordia
delle
religioni
terrene
(forse
partorite
dalla
mente
del
diavolo?)
quanto
la
spontanea
saggezza
ed
il
genuino
acume
dei
più
piccoli,
soprattutto
quando
messi
a
confronto
con
la stolta e cieca ferocia degli
adulti.
Voto
** 6½
COLD
SNAP di Leo Woodhead
Versione
Originale Inglese (11 min.)
Una
breve
e
secca
rasoiata
il
cortometraggio
di
Woodhead.
Un
lancinante
atto
d'amore
o
di
pietà,
vero
o
forse
solamente
sognato.
Un
occhio
puntato
su
quel
territorio
degli
esseri
umani,
siano
essi
adulti
o
bambini,
dove questi
finiscono
in
trappola
come
animali
(opossum),
vinti
dal
loro
stesso
destino
che
fa
corto
circuito
con
il
male
di
vivere,
precludendogli
ogni
via
di
fuga.
Voto
*** 7
SISHUI
(Stagnant Water) di Wang Xiaowei
Versione
Originale Cinese (17 min.)
Fuori
dal
traffico
cittadino
si
possono
fare
strani
e
misteriosi
incontri.
Ogni
cosa è
legata
da un
unico
indissolubile
filo
e,
mentre dall'acqua affiorano strani segni, il mondo sopra, sotto e
dentro di noi continua ad agitarsi, vivo.
Come
si
conviene
ad
un
artista
- che
sia
esso
un
pittore
sulla
riva
dell'acqua
o
un
cineasta
- Xiaowei
vuole
rendere
fruibile
ai
nostri
occhi
un
piccolo
tassello
di
visioni
e
sottintesi,
dare
al
mistero
(o
alla
fede)
forma
ed
immagine.
Apprezzabile,
ma si
digerisce
presto
senza
lasciar
traccia.
Voto
** 5½
MINESH
di Shalin Sirkar
Versione
Originale Senza Dialoghi (12 min.)
Interno/esterno
nero
familiare.
Il
piccolo
Minesh
convive con la violenza tra le mura di casa e
non
può
far
altro
che
allontanarsene,
per
quanto
più
tempo
gli
è
possibile.
Anche
solo
osservare
le
formiche
ai
suoi
piedi
è
un
piccolo
momento
di riconciliazione
con
la
vita
e
la
natura.
Poi
ecco i ragazzi in strada, con i quali annusare
colla ed altri odori forti per
evadere
da
una
realtà
opprimente,
lasciando
che
i
cattivi pensieri abitino solo il suo mondo
onirico.
Voto
** 6
TOUTES
LES BELLES CHOSES di Cecile Bicler
Versione
Originale Francese (17 min.)
Schermaglie
post
matrimoniali
tra
donne:
stupidi
scherzi,
vecchi
e
nuovi
rancori;
piccole
ginocchiate
allo
stomaco
e
feroci
stilettate,
finti sorrisi e ribaltamenti
di
fronte.
In
fondo,
a
chi
fanno
male
le
protagoniste
se
non
a
loro
stesse?
Scaramucce
tra
conoscenti
di
vecchia
data
con
schizzi
di
veleno.
Molto
femminile,
tra
rimpianti
ed
invidie.
Ah,
quanto
è
bella
l'amicizia!
Voto
** 6½
QUELLO
CHE RESTA di Valeria Allievi
Versione
Originale Italiano (20 min.)
Due
uomini
si
muovono
in
ambienti
vecchi
ed
abbandonati,
custoditi
nelle viscere
della
terra.
Sono
gli ultimi manutentori de “La
Colonna”,
il
vecchio
sito
minerario
di magnetite che si trova a Cogne in Valle d'Aosta, paese divenuto
oramai una nota località turistica:
a partire dall'inizio del secolo scorso arrivò ad ospitare fino a
400 persone, poi nel 1979 è
stato dismesso.
In
quel luogo, che in
passato
ha
dato
pasti
e
lavoro
alle
famiglie
assai
più
della
rigogliosa
natura
che
prospera tutt'intorno,
gli
operai
non
solo
lavoravano
ma
avevano
anche
le
proprie
abitazioni.
Una
dedica
affettuosa,
un modo per perpetuare il ricordo non privo di una
venatura
di
rimpianto,
per
un
mondo
certamente duro che comunque ha contribuito a condurci fino al nostro
presente.
Un
omaggio
all'identità
di
una
comunità
che
presto
diverrà
archeologia
industriale,
niente
altro
che
memoria;
una
visita
alla
storia
del
nostro
Paese,
come
la
si
farebbe
ad
un
vecchio
amico.
Voto
*** 7
ANINGAAQ
di Jonas Cuaron
Versione
Originale Groenlandese/Inglese (7 min.)
Dallo
spazio
alla
Groenlandia
giunge una
voce
in cerca di aiuto.
Tra
il
nero
invisibile
dello
spazio
ed
il
bianco
candore
di
ghiaccio
e
neve
c'è
la
stessa
distanza
delle
lingue
differenti
che
faticano a comprendersi,
lo
stesso
contrasto
che
offrono
la
vita
e
la
morte
poste
l'una di
fianco
all'altra.
Un
surreale
“Mayday”
di
sette
minuti
tra
fantasia,
ironia
ed
una
punta
di
riflessione:
il
(non)senso,
ovviamente,
è
sopra
le
nostre
teste,
molto
più
in
alto
delle nuvole del cielo.
Voto
*** 7
VENEZIA
70 – FUTURE
RELOADED
70 Cortometraggi
per i 70 anni della Mostra (120 min.)
Sala
Volpi
– 06 settembre 2013 – Ore
16.45
Per
i
settanta
anni
della
Mostra
di
Venezia
sono
stati
commissionati
70 Cortometraggi
ad
altrettanti
registi
famosi
che
hanno
inviato/portato
in
laguna
il
loro
contributo
“(di riflessione)
sul
(futuro
del)
cinema”,
contenendo
il
loro
lavoro
tra
i
sessanta
ed
i
novanta
secondi:
CineArte
a
ritmo
di
Spot!
Il
presidente
Bernardo
Bertolucci
è
autobiografico.
Catherine
Breillat
è
autoironica!
Atom
Egoyan
sa
quando
è
il
momento
di
separarsi
da
qualcosa
e
così decide di darcene conto.
Aleksej
German
Jr.
immagina
i
nostri
sogni
di
domani
con
sottotitoli
mentre
Kim
Ki-duk
ci
presenta
una
vecchia
signora:
sua
madre!
Pablo
Larrain
surfa
sulle
onde
del
mare:
irriconoscibile!
Guido
Lombardi
è
il
più
divertente
ed
il
suo
corto
è
allegro
e....”Senza
Fine”!
Con
Hong
SangSoo
le
possibilità
“cinquanta&cinquanta”
si
sommano
anziché
dividersi
mentre
Abbas
Kiarostami
non
è
mai
stato
così
lieve
e
sembra
fare
il
verso
a
Buster
Keaton.
Franco
Maresco
invia
la
sua
solita
cartolina
d'auguri
cinica
ma
divertente,
Brillante
Mendoza
urla
ma
non
troppo
contro
chi
gli
ha
rubato
la
macchina
da
presa.
Per
Jasmin
Lopez
c'è
un
lungo
bacio
al femminile:
come dire l'amore
e
basta!
“Perchè
non
sono
rimasto
in
bianco
e
nero
se
avevo
già
il
colore,
perchè
non
sono
rimasto
muto
se
avevo
già
la
parola?”
Conservatore
ed
antinarrativo
Samuel
Maoz
celebra
la
morte
del
cinema
non
senza
una
irriverente
ironia:
“The
End”
(No
Happy!).
Geniale,
sintetica e
potente
la
“Potemkin
reloaded”
di
Shirin
Neshat,
forse
la
migliore
del
gruppo.
Il
nostro
Michele
Placido
sciupa
il
suo
tempo
in
un
mare
di
inutili
concetti
stantii
e
verbosi:
il
peggiore!
Edgar
Reitz
manda
Franz
Kafka
a
commuoversi
in
sala,
Paul
Schrader
sciorina
una
acuta
e
velocissima
riflessione
su
“contenuto
e
forma”;
Todd
Solondz
invece varia
il
suo
stile ma
mantiene
- colorandolo di una
differente
creatività
– l'abituale
cinismo,
precipitandolo
in
un
ipotetico
“3013 cinese”.
Pioggia
come
mare
sul
vetro
dell'automobile
per
Apitchatpong
Weeresethakul.
Chiude
Krzysztof
Zanussi
ed
il
suo
“L'anno
del
sole
quieto”.
Voto
** 6½
ES-STOUH
(Les
Terrasses)
di
Merzak
Allouache
Versione
Originale Arabo (91 min.)
PalaBiennale
– 06 settembre 2013 – Ore
20.00
Cinque
storie
diverse
scorrono
davanti
ai
nostri
occhi
in
parallelo.
La
vita
si
affaccia
sulle
terrazze
di
Algeri
scandita
dalle
preghiere
del
muezzin
che
dal
buio
dell'alba
la
condurranno
fin
oltre
le
luci
del
tramonto.
Storie
di
miseria,
quotidianità
e
malavita
intrecciano
- senza
incontrarsi
- il
passato
ed
il
presente
di
una
Nazione:
due
fratelli
sono
così
vicini
eppure
così
distanti;
due
ragazze
- da
palazzi
diversi
posti
uno
di
fronte
all'altro
- si
scambiano
vicendevolmente
sguardi
interrogativi,
separate
da
un
minaccioso
abisso;
un
vecchio
partigiano
voleva
cambiare
la
storia
ma
forse
questa
ha
avuto
la
meglio
su
di
lui
e
adesso
è
“lo
Jihad”
il nuovo protagonista in Patria; un
vecchio
commissario
in
pensione
arriva
al
momento
giusto
per
dispensare
buoni
consigli
ad
una
mamma
ed alla sua sventurata prole; infine, in un altro luogo ancora, si
festeggerà
un
matrimonio
tra
musiche
e
balli
dove
prima
brulicavano
altre
storie
di umanità disgraziata e solitaria.
Dalle
terrazze,
teatro
di
tutte
le
storie,
splendida
e
abbagliante
è sempre visibile la
città di Algeri
inquadrata
dall'alto,
che
così
diviene
il
naturale
e
complementare
sfondo
cinematografico
del
racconto
e
le
sue
“cartoline”,
composte di
sole,
bianco
e
mare,
donano
energia
luminosa
e forza ulteriore all'ottimo
lavoro
di
Merzak Allouache.
Voto
*** 7½
CHE
STRANO
CHIAMARSI
FEDERICO
– Scola
racconta
Fellini
di
Ettore
Scola
Versione
Originale Italiano (93 min.)
PalaBiennale
– 06 settembre 2013 – Ore
22.00
1939: giunto
a
soli
vent'anni
dalla piccola Rimini fino a
Roma,
Federico
Fellini
bussa
alla
porta
della
rivista
satirica
“Il
Marc'Aurelio”,
fucina
di
“giovani
atleti”
e
talenti
che
saranno
quali
- tra gli altri – Steno
(Stefano
Vanzina),
Ruggero
Maccari,
Age
(Agenore
Incrocci)
e
(Furio) Scarpelli
ed
infine
lo
stesso
Ettore Scola
che
a
sedici
anni
vi
giungerà,
anch'egli
come
il
suo
futuro
amico
Federico,
con
i
disegni
sotto
il
braccio.
Scorrono
sullo
schermo
le
prime
esperienze
nei
teatri
con
“Faville
d'amore”
firmato
“Mac&Fed”
(Maccari&Fellini):
al termine i
lanci
di
ortaggi
oppure
gli
applausi,
a
seconda
della
serata più o meno fortunata.
Poi
il
cinema
e
gli
Oscar,
ma
anche
le
passeggiate
fino
a
notte
tarda
caricando
in auto qualche
“lucciola”
intirizzita
dal
freddo.
Omaggio
tra
finzione
e
repertorio
– assemblati con discreta originalità - con
qualche
chicca:
i
provini
di
Sordi,
Tognazzi
e
Gassman
per
“Casanova”
oppure
l'apparizione
di
Fellini
ne
“L'Amore”,
nel
ruolo
di
attore
assieme
ad
Anna
Magnani
e
truccato,
con
evidente
imbarazzo,
nelle
vesti
di
un
improbabile
San
Giuseppe.
La
vita
(è)era
una
festa
e
l'arte
–
affermava
il
maestro
-
niente
altro
che
un
oscuro
abitatore
del
corpo
al
quale
metter
a
disposizione
il
nostro
lavoro
di
artigiani.
“Che
strano
chiamarsi
Federico”
è
un
sentito
omaggio
al
grandissimo
regista
Riminese
il
cui
cognome
è
diventato
suo
malgrado
un
aggettivo
(Felliniano),
del
quale
lo
stesso
diretto
interessato
faticava
a
spiegarsi il
significato.
La
fuga
finale di
Fellini
dallo
“Studio
5” di
Cinecittà
- che fu adibito
a
camera
mortuaria
per
rendergli l'estremo
saluto
– come
un
Pinocchio
che
scivola
via correndo
tra
i
set
odierni
della
Capitale
è
una
intuizione
affettuosa e leggera che
chiude il film.