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lunedì 18 giugno 2012

MEN IN BLACK III di Barry Sonnenfeld


Sulla terra c’è sempre un grande andirivieni di alieni e gli “Uomini in Nero” avrebbero già  sufficiente daffare se solo si dovessero occupare  dei loschi traffici della ristorazione (cinese o intergalattica) e di “sparaflashare” con il loro “neuralizzatore” gli increduli e curiosi terrestri.
Non bastasse questo, dal carcere di massima sicurezza lunare nel quale era stato rinchiuso,  evade e torna sulla terra “Boris l’animale” ovvero l’ultimo “Boglodita”, una razza il cui nome suggerisce un suono onomatopeico  certo molto distante dalle buone creanze.
E’ in pericolo l’agente “K” (Tommy Lee Jones), che fece imprigionare 40 anni prima il pericoloso criminale extraterrestre:  per salvare la vita a lui ed a tutto il pianeta terra sarà però “J” (Will Smith) a doversi letteralmente “tuffare”  nel passato,  arrivandoci giusto un giorno prima del lancio sulla luna dell’ “Apollo 11”.
“Men in black”: terzo episodio della saga, sempre   Barry Sonnenfeld  al “timone” della macchina da presa, in produzione esecutiva Steven Spielberg;  mostri ed effetti speciali  affidati alla fantasia del “pluripremio Oscar” (ben cinque) Rick Backer ed effetti visivi di Ken Ralston della Sony Picture Imagework.
Consuete facezie e divertimenti; a complemento dei soliti ingredienti “sicuri” stavolta aggiungete latte al cioccolato contro le fratture temporali,  piccoli “deja-vu” dell’America prima di Obama che ancora discriminava pesantemente le persone di colore, poi  l’azzeccato e timido “alieno Griffin” con le sue “visioni multiple” (Michael Stuhlbarg, il “Serious man” dei Fratelli Cohen) ed uno sconsolato Andy Warhol che non sembra nemmeno lui (infatti…),  annoiato dai suoi festini e disperatamente intento a dipingere scatole di minestra.
Gran finale a Cape Canaveral, giusto il 16 luglio del 1969, giorno che vedrà l’uomo spingersi nello spazio fino ad atterrare poi sulla  luna: nel  mentre i due agenti speciali faranno in modo che  il  passato si ricomponga nel presente ed il futuro possa schivare  un “assalto catastrofico imminente”.
Prodotto d’intrattenimento classico Hollywodiano,  “Men in Black III” rimane fedele a se stesso, su un livello di qualità sicuramente più vicino al primo film che non al suo sequel; questo terzo episodio in qualche modo è anche “prequel” e regala agli appassionati della serie rivelazioni importanti sull’origine della strana coppia “K&J”.
Josh Brolin è “K” da giovane ed esegue “l’incarico” diligentemente e senza sbavature, lasciando alla consueta esuberanza di Will Smith il compito di sparare i fuochi d’artificio, soprattutto quelli  verbali!
Un senso di confusione potrebbe cogliervi nei vari passaggi a cavallo del tempo ma tutto è  decisamente più  semplice da comprendere di quanto non fosse stato ad esempio nel troppo arzigogolato secondo capitolo di “Ritorno al Futuro”, altra famosissima trilogia cinematografica ad opera di Robert Zemeckis.
Il bello di certe pellicole, quando rispettano il loro standard minimo di sorpresa e divertimento, è quello di aver la capacità di regalarti la sensazione di esser come a casa tua e di porti totalmente a tuo agio.
Il rovescio della medaglia è che del tuo appartamento conosci a  menadito persino gli angoli più reconditi  ed in fondo e più che normale aver  voglia di uscirne fuori per respirare una sana boccata d’aria, specie ora che  arriva il caldo e l’estate è alle porte.

domenica 17 giugno 2012

IL MUNDIAL DIMENTICATO di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni

 

Nel 1942, il visionario, filantropico e fantomatico Conte Otz decise di contrastare l'imbecillità degli uomini impegnati nella “guerra mondiale” organizzando nella Patagonia Argentina il mondiale di calcio che una “F.I.F.A.”,  prona ai regimisporticidi”, aveva deciso di non far disputare.

Assegnò, allo scopo di consegnare la manifestazione alla storia,  il compito di effettuare le riprese ad un cineoperatore di provinciaa dire il vero un fotografo di matrimoni – tale Guillermo Sandrini, appassionatamente proteso sulle orme di Leni Riefensthal e pronto a sperimentare spericolate ed innovative tecniche cinematografiche come quella di volare assieme alla sua camera appeso a dei palloncini  oppure affacciarsi con il suo obiettivo come venendo fuori da una botola sul prato verde, ben deciso a proporsi al mondo come l’inventore del “cine-casco” o della “cine-pelota”.

Di li a poco la  Coppa Rimet sarebbe giunta in Sud-America ad animare la contesa.

Roba da non crederci e difatti non è necessario che lo facciate: basta soltanto che accondiscendiate  con un pizzico di riverenza a tanta amorevole fantasia e vi gettiate  tra le braccia di questo Il mundial dimenticato”, documentario leggendario che partendo dal racconto di Osvaldo Soriano “El hijo de Butch Cassidy”, contenuto nel libro  “Cuentos de los años felices”, tradotto in Italia nella raccolta  “Pensare con i piedi” – Einaudi 1995, prova a mutare in forma di cinema una stuzzicantechimera calcisticache gli appassionati di questo sport non potranno fare a meno di apprezzare.

Solo lasciandosi condurre per mano dai due registi e sceneggiatori Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni  tra queste squadre surreali formate da militari, pescatori, esiliati, rivoluzionari in fuga equalche professionista” si potrà godere appieno dei duelli tra la mitica “tigre degli indios”, il portiere locale dallo sguardo magnetico e dalla porta inviolabile in grado di paralizzare “ipnoticamente” i  suoi avversari ed appunto alcuni di questi come il centravanti con gli occhiali “Klaus Kramer”, amante di Helena Otz, nipote del Conte e contesagli da Sandrini,  inviato oltre le Ande dal Reich per riportare nel vecchio continente in fiamme nuova gloria.

El fùtbol encantador” degli Indios Tehuelches ed acrobati, stile irregolare e magia: sarà esistito davvero lo squadrone di casa, quei dinamici Mapuche che le malelingue dicevano gettassero peperoncino negli occhi dell'avversario?

Certamente si: parola di Gary Lineker, Jorge Valdano e Roberto Baggio, e così pure l'arbitro che al posto del cartellino rosso usava la pistola: d'altro canto cosa aspettarsi dal figlio di Butch Cassidy!

“Il mundial dimenticatomischia il sapore letterario ad una divertita finzione cinematografica non priva di piccoli colpi di genio ed inventiva dal sapore fresco e genuino e,  sfiorando appena missionari Polacchi dal giocoimprudentemente evangelicoe Francesi alle prese con una diarrea virale, costruisce un racconto per romantici puri e calciofili da biblioteca, aggiungendo persino un pizzico di rivendicazione sociale – la vittoria contro gli invasori “latifondisti inglesi” ben prima della famosa “Mano di Dio” di Maradona -  forse benedetta  da una “qualche entità soprannaturale che al momento opportuno si preoccupò di scatenare la tempesta sul campo da gioco.

Gli albori del  “fair play” e della prova video: addirittura sospesa la  partita  in attesa di sviluppare la pellicola per poter verificare la validità di un goal fantasma; segnali premonitori del mondiale Inglese del 1966 ma anche della mitica azione di Rivera e compagni in Messico '70 in un’altra semifinale Italia-Germania che, se avessimo potuto vederla davvero, non ci avrebbe fatto trepidare di meno.

Per condire meglio il tutto anche  un Pisano di 88 anni (Bruno Bardi) nella parte del “giocatore emigrante” Bruno Battilocchi, pronto a riesumare tattiche e ricordi “mai esistiti” e, per finire,  una “presa”  di Voltaire ad insaporire la ricetta.

Nessun computer o effetto speciale avrebbe mai potuto ricreare meglio questo (finto) documentario: artigianale, ricco di creatività e passione, capace di render plausibile persino quel che sappiamo perfettamente non poter esser vero ma che per affetto o per diletto accettiamo con felicità fanciullesca e gioia incondizionata.

Lo scrittore Osvaldo Bayer, uno dei tanti tra quelli che si sono prestati a ricostruire dubbi, ricordi e presunte verità, all'inizio del filmcertificacon esattezza quanto possano esser labili i confini della realtà dichiarando netto: “C'è sempre qualcosa di vero nella fantasia”.

Impossibile dargli torto ed a questo punto diventerebbe  lecito anche domandarsi  cosa diavolo avranno  veramente trafugato quei ladri nel 1983 quando in Brasile misero le mani sul trofeo sportivo più prestigioso del mondo per fonderlo e farne lingotti d'oro: sarà stata davvero la mitica  “Coppa Rimet” oppure quella originale è ancora “conservata”, chissà dove,   nascosta dalla “natura indomita” della Patagonia?