Guido
(Kim Rossi Stuart) è un giovane scultore e pittore. Nel suo studio
trasforma i corpi delle modelle in lampade moderne e trasgressive.
La sua vita è perennemente sospesa tra il mondo affettivo e le
ambizioni creative.
Visceralmente è convinto che tutto quel che è convenzionale non
possa esser bello, che ogni cosa che riesca facile sia sbagliata.
Sua
moglie Serena (Micaela
Ramazzotti) più che dell’arte
è innamorata dell’artista. I
suoi desideri semplicemente coincidono con la felicità del marito e
- gelosie a parte - ha come unico cruccio quello di non esser mai
davvero all’interno del “cerchio” dove ardono le passioni del
suo uomo: difficile stargli vicino nel modo giusto, senza sbagliare
il tempo.
Due
i figli della coppia: Dario, di
appena una decina d’anni, è il
più grande. E’ lui –
divenuto oramai adulto – a commentare fuori campo i giorni lontani
del suo movimentato passato in questo “Anni Felici” di Daniele
Luchetti ed a prestargli la voce
è proprio lo stesso regista.
Non
è un caso, perché questo suo ultimo lavoro
è fortemente intriso di
riferimenti autobiografici:
basti pensare che il titolo di lavorazione della pellicola era
addirittura “Storia metaforica della mia famiglia” e se ciò non
fosse sufficiente a render l’idea sappiate che il padre del
regista, Luca, era anch’esso scultore, mentre il nonno – Romeo -
un pittore.
Filtrando
la sua vita attraverso la finzione cinematografica, Luchetti ritorna
all’estate del 1974 quando egli stesso, ancora bambino, si
ritrovava talvolta confinato nell’angolo di una stanza ad osservare
il padre mentre frequentava esponenti di spicco dell’avanguardia
artistica Romana degli anni ’70 (Pascali, De Dominicis e
Pistoletto, tra gli altri).
Ma
a dominare la scena ci sono soprattutto “due
genitori a mano armata”, eredi diversi della libertaria ed
infiammante stagione del “sessantotto”:
inevitabile rimanere coinvolti dentro tutte le loro discussioni,
difficile rimanere alla larga dalla loro piccole e grandi
esplorazioni, impossibile evitare poi le tensioni e le ricadute
derivanti da tutto questo.
In
quel periodo sarebbe stata approvata la legge sul divorzio, la
rivoluzione sessuale avrebbe continuato a muovere i suoi passi e le
posizioni femministe - ancora per poco tempo - avrebbero continuato
ad avanzare: erano giorni pieni di entusiasmo, di passione e voglia
di cercare risposte, dalla mente e dall’anima ma anche dal corpo;
forse non propriamente o “solamente” felici ma durante i quali si
avvertiva, costante, la tensione e la voglia di muovere verso il
proprio sentire, di andare incontro al senso pieno delle cose e di
“graffiare” la vita con le emozioni.
Nonostante
tanto impeto e commovente limpidezza, poteva comprensibilmente
capitare che le difficoltà della vita costringessero l’arte – e
l’artista – ad “abdicare” ad integrità e purezza per
sottostare ai bisogni ed alle
urgenze del sostentamento quotidiano: non si trattava esattamente di
“vendersi” ma perlomeno di “venir comprati”!
Pochi
gli incorruttibili e gli indisponibili a qualsiasi compromesso,
sempre fieramente in lotta per affermarsi in ambienti di nicchia,
combattendo la “dittatura” dei galleristi e dei critici e pronti
a dilatar le fauci in faccia al capitale ed alla borghesia.
Quando
il piccolo Dario - alle prime armi con la sua cinepresa Super 8
(l’inseparabile regalo di nonna) - abborderà casualmente il
remunerativo mondo della pubblicità guadagnando al primo colpo ben
1.800.000 lire (toccò sorte analoga allo stesso Luchetti?),
inevitabilmente alimenterà qualche rabbia e sconcerto nel padre
Guido, un “integralista” mai davvero arreso ad accettare l’eterna
commistione tra creatività e denaro.
In
mezzo a questo effervescente contesto - dove si agitavano tormenti e
vitalità prorompente - “Anni felici” srotola la sua storia,
mostrandoci gli eventi dal suo privilegiato e sentimentale
osservatorio, quello di un nucleo familiare fin da principio agitato
dal temperamento artistico di Guido e dalle sue disordinate spinte
emotive ed istintive, poi in balia delle scoperte inattese di Serena
(assieme all'amica Helke – Martina Gedek), infine di ogni nuovo
slancio e di tutte le ulteriori consapevolezze acquisite, vere o
presunte.
Rossi
Stuart e la Ramazzotti – spesso inquadrati in primo piano - cercano
generosamente di porgerci le loro sfumature più nascoste, dipingendo
al meglio le passioni irruente, le tenerezze impreviste, le spigolose
insicurezze.
Luchetti
(sceneggiatore assieme a Stefano Rulli, Sandro Petraglia e Caterina
Venturini) è bravo a non
caricare i suoi protagonisti con responsabilità troppo pesanti –
non per questo volendogli sfuggire
– ed a lasciare il suo film protetto da un clima di sostanziale
leggerezza, riuscendo a sciogliere le asprezze delle tematiche
forti dentro toni vicini alla commedia.
Se
è vero che l’arte ha bisogno di stimoli e vitalità e che spesso
si nutre più nel travaglio che non nella pace o nell’appagamento,
“Anni Felici” - nonostante una certa spensieratezza - sembra
rispettare la regola: la pellicola è ben foraggiata da un vissuto di
quelli che hanno poi segnato ogni giorno a venire, corroborata
(talora con qualche piccola convenzionalità) da un sempre piu’
navigato e disinibito mestiere nel saperlo raccontare.