E'
il 1865 e l'America è nel corso della guerra di secessione:
quattro sanguinose primavere hanno già portato via una moltitudine
dei suoi figli. Nel mentre infuria un'altra battaglia, tutta
politica: quella volta a far approvare il
Tredicesimo Emendamento della Costituzione Americana, riguardante
l'abolizione della schiavitù.
Abraham
Lincoln, sedicesimo Presidente degli Stati Uniti D'America e primo
eletto nella schiera dei Repubblicani, è fortemente persuaso che
solo questo regalerà libertà, pace ed un nuova fratellanza a
“tutto”
il suo popolo e perseguirà il suo obiettivo con ogni mezzo
possibile.
Il
film, fin da subito, punta l'attenzione sulle mille insidie nascoste
che renderanno duro e difficoltoso questo cammino, a cominciare da
quelle che si celano nella stessa “Camera dei Rappresentanti” -
“un vespaio pieno di bifolchi inetti e senza talento” - aprendo
poi il sipario sul sottobosco di loschi emissari sguinzagliati in
giro con il compito di procacciar voti anche a mezzo di favori,
corruzione
se necessario (quanto
è giusto prevaricare la legge per il conseguimento di un altissimo
fine?) e concessioni di posti
pubblici ai politici titubanti che, persino durante gli infuocati
dibattimenti, vengono osservati e schedati per poter poi essere in
seguito circuiti.
Stavolta
Spielberg – cosa piuttosto insolita per lui – pone in secondo
piano l'immagine e privilegia la parola, avvalendosi di dialoghi
superbi e letterari che conferiscono alla pellicola una dimensione
fortemente romanzesca mentre a
cucire ogni passaggio della storia c'è onnipresente Daniel Day
Lewis, che offre una interpretazione davvero eccellente del
Presidente Americano.
Con
nettezza ne fa emergere il profilo di uomo responsabile, illuminato
e dalla grande saggezza, proteso
con energica volontà e decisione nel districarsi tra le paludi della
politica e del compromesso, dotato di una sua personale bussola
interiore che gli consente di cogliere il tempo giusto in ogni
occasione e lo orienta verso un futuro di libertà e giustizia.
Assediato
senza tregua da questuanti di ogni tipo e dalla ragion di stato, non
esiterà a porre in secondo piano le ragioni della sua famiglia per
favorire l'interesse della Nazione ed inseguire la sua visione.
Come
un baleniere sa che l'arpione oramai è conficcato nel corpo del
mostro e bisogna evitarne il colpo di coda:
è ben conscio che il suo è un
incontro con la storia ed è
pronto a sopportare il peso delle decisioni inevitabili ed il
fardello di dolore che ne conseguirà.
Abraham
Lincoln, pur avendo avuto poca
possibilità di frequentare le scuole, ha appreso molto dai libri
come dalla vita e su un volume di
Euclide, un giorno preso a
prestito, ha scoperto
“l'uguaglianza e la sua correttezza”,
partorendo forse allora nella sua mente una sorta di idea “matematica
della giustizia”, che ancora oggi rammenta.
Giusto
sul filo del rasoio coglierà un risultato straordinario ed epocale
per l’umanità che, poco più tardi, pagherà al prezzo della sua
stessa vita.
Sullo
sfondo le operazioni militari che videro in prima linea il Generale
Ulysses S.Grant (Jared Harris) ed il poderoso impegno in prima
persona del Presidente della
Commissione Finanza - ed esponente della minoranza radicale dei
Repubblicani - Thaddeus Stevens, interpretato da un Tommy Lee Jones
in ottima forma, che ne rende memorabili almeno un paio di accorate
invettive.
Nei
dialoghi alcuni accenti concepiti “ad hoc” per gli spettatori
del ventunesimo secolo al riguardo di un futuro che prima o poi
sarebbe stato costretto ad accogliere “addirittura” i matrimoni
misti, il suffragio universale ed i “colonnelli negri” (ed oggi
pensate, persino un Presidente...)
“Lincoln”
è un affresco storico efficace,
dove quasi sempre l'eclettico regista di Cincinnati riesce a tenere
a freno la sua naturale propensione all'enfasi pur addentrandosi fino
alle radici stesse della sua nazione, scavando nei meandri di
un'epoca che pose le basi della sua libertà e della sua grandezza.
Chi
non ama i dialoghi straripanti si astenga dalla visione,
ma questa considerazione non deve intaccare minimamente il fatto che
la pellicola sia fulgida e compiuta, un
manifesto valido per ogni tempo sulla necessità dell'uguaglianza e
l'emancipazione degli esseri umani.
Epico,
patriottico, spesso capace di sconfinare oltre il racconto storico,
“Lincoln” attende il prossimo ventiquattro febbraio pronto a
farsi sommergere da una impetuosa quanto benevola gragnuola di Oscar.