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giovedì 22 maggio 2008

ONORA IL PADRE E LA MADRE di Sidney Lumet

Saper “leggere le cose, le persone” o la vita non è qualcosa che tutti abbiano la capacità di fare o, quando ad esempio si tratta di cinema, di saper descrivere per immagini.
Sidney Lumet, regista ultra-ottantenne, mantiene vivo il suo tocco di “Re Mida” e trasforma in rappresentazione  del più alto lignaggio la nera essenza della realtà.

“Onora il padre e la madre” raffigura con crudo cinismo misto ad una fattura squisitamente accurata quanto si cela dietro gli sguardi quotidiani che incrociamo ogni giorno per strada, l’anima “buia e cattiva” che potrebbe albergare nel basso ventre del nostro collega di ufficio, la premonizione della pugnalata alle spalle che potrebbe infliggerci il nostro migliore amico, nostro fratello o il “seme” stesso che ci ha generato.

Due fratelli, Andy (Seymour Hoffman) ed Hank (Ethan Hawke) navigano in brutte acque, sommersi da debiti e angustiati dalla vita; Andy, il più grande e scaltro dei due “inventa” un colpo “facile e veloce” per risollevare la grigia situazione ed incamerare denaro “pronto uso”, ma questo avrà delle ricadute dirette e drammatiche sui due anziani genitori. I motivi di tutto questo non stiamo a spiegarli per non rovinare la “scoperta” di questa pellicola a chi avesse voglia di vederla.
Tutto andrà storto, complici determinanti il fato e l’inettitudine del fratello minore, Hank, ed il precipitare degli eventi metterà a nudo tutta la malvagità che stazionava appena sotto pelle e che tra disprezzo e freddezza inghiottirà vite e destini in poche precipitanti giornate.

Lumet visita con il suo occhio elegante, lucido e spietato tutto il campionario delle piccole e grandi bassezze umane, leggendole attraverso la dissoluzione del nucleo affettivo ritenuto piu’ importante, la famiglia, che altro non è che “pura formalità anagrafica” se non poggia anch’essa su solide basi umane di amore, solidarietà e scambio quotidiano.
Il mondo è cattivo e talvolta non v’e’ alcun rifugio sicuro, neanche  nell’apparente caldo abbraccio dei nostri genitori o figli.

“Onora il padre e la madre” smaschera la totale assenza di etica che senza troppi scrupoli spesso mettiamo in campo quando siamo pressati dalle ansie del denaro, ma cala anche il sipario su tutto quello che “esiste già prima”, accennando non troppo fugacemente a come il trascinarsi “debilitante” di vite mediocri non si risolva per puro caso in una “esplosione improvvisa” di rabbia o di follia ma abbia invece  “radici” ben definite e spiegazioni, purtroppo, ben chiare e rintracciabili.

Tocco di classe e di gran gusto, attori superbi, sceneggiatura “secca” e penetrante, grande “flusso di continuità” lungo tutta la storia..... poche “scene madri”: ad esempio i grattacieli della città visti da Andy dietro l’occhio appannato e disfatto dalla droga  ed i grandi immensi vetri di una “stanza” che vorrebbe essere “un accudente  rifugio impossibile” e sarà invece l’inizio  del “gorgo mortale” che porterà alla fine..... E’ forse questa l’immagine che meglio puo’ fungere da “istantanea” rappresentativa di questo film.

Attraverso una ricostruzione temporale a base di “flashback” e riproposizione degli stessi eventi da diverse angolazioni, la storia di questa non proprio tipica famiglia americana riesce ad esser paradigmatica di un vasto repertorio delle debolezze e delle bassezze umane, sicuramente toccando estremi “poco quotidiani” ma ricordandoci quanto vicina e labile possa esser la linea di confine che apre al territorio dell’inferno in terra.

“Spera solo di arrivare in paradiso mezz’ora prima che il diavolo si accorga che sei morto”, pare sia la “formula” completa di un brindisi irlandese dal quale prende spunto il titolo originale “Before the Devil Kwnos you’re dead”....e Lumet, dal “seggio” distaccato dei suoi tanti anni e della sua regia di lungo corso, chiudendo questo film con un finale che dell’umano e del perdono contiene  il “nulla piu’ assoluto e  ci precipita addosso come un macigno,  sembra  volerci dire proprio quanto possa esser deleterio il vivere senza orientarsi tra giusti valori, quanto tutto questo sia molto più “comune e diffuso” di quanto crediamo, di come dietro i volti che incrociamo tutti i giorni ci siano “agghiaccianti realtà” e che quando “tutto questo” precipita  tempo per fuggire e nascondersi davvero non ce n’e’ per nessuno.

FRANCO – 22 MAGGIO 2008

lunedì 19 maggio 2008

GOMORRA di Matteo Garrone


Arriva sul grande schermo (ed a Cannes) “Gomorra”,  trasposizione del “romanzo-denuncia” di Roberto Saviano, scrittore-eroe del nostro tempo, costretto a vivere sotto scorta dopo il successo planetario del suo libro. Difficile, visti i risultati, poter immaginare scelta migliore e più felice che affidarne il “trasferimento” per immagini ad un regista come Matteo Garrone. 

In qualche misura “pulendolo” della denuncia esplicita di Saviano, che ne connotava la tematica con un tono quasi d’indagine e la lasciava così identificare come attualità toccante e recentissima, Garrone imbocca deciso la strada “parallela” della investigazione interiore di volti, figure ed ambienti, con “accezioni” tendenti al sociale ed all’antropologico, rischiando di “sembrare il nulla, oppure il già visto”,  ma riuscendo invece a riassumere ed a descrivere con pienezza il tutto.

Tra soldi, sangue, manicure e musica “trash” napoletana, cala la telecamera e così l’occhio dello spettatore nel Casertano e nella Napoli “lato disperazione”, quella di Secondigliano e “Le Vele”, formicaio brulicante di vita pulsante e di reietti, brodo di coltura dove germoglia sempre piu’ numerosa una razza sub-umana (“anche” suo malgrado) ma padrona delle “nostre Italiche” (e non soltanto…) linee d’evoluzione  e che quindi ci è indispensabile decifrare e comprendere se vogliamo sapere dove siamo e dove ci stiamo dirigendo.

Annichilisce questa agghiacciante resa in immagini del processo di degrado e putrefazione di città e paesi, di una regione….di uno stato…e ancora oltre il pensiero puo’ spingersi con terrore senza troppo timore di non cogliere il bersaglio.

Le armi scariche, muto rumore di metalli, fanno male a vedersi ed “ascoltarsi” quanto quelle cariche che “bucano”, incendiano e uccidono.

Angosciano e trafiggono il cuore quegli adolescenti e bambini  che trascendono senza viverla la loro giovinezza e già si dislocano su fronti opposti, pronti a combattersi; le loro vite valgono a malapena qualche ora d’affari gettata alle ortiche, la loro età è un fatto puramente anagrafico; vengono presi in trappola e privati della loro stessa vita mentre giocano ancora a fingersi “Scarface” oppure ad un “estremo” guardie e ladri, come in un “live-videogame”: dignità (..??..) e promozione al mondo adulto si conquistano attraverso astruse regole e coordinate che sono ignare ed incomprensibili al cittadino comune, che pure percepisce la realtà che gli si para davanti con questa pellicola ma rifugge atterrito  le sue ansie sotterranee, la paura “liquida” che sente riempirlo e che non si puo’ arginare.

Sarebbe un facile escamotage “alleggerire” il tutto con spari sovrabbondanti da luna park ed identificare il bene ed il male con personaggi “lineari e semplici” sui quali direzionare partigianeria o rabbia......ma la realtà è un magma, e questa “camorra” non è neanche piu’ possibile recintarla ne nel suo nome e neanche nel suo “vecchio” tradizionale campo d’azione.... ed allora sono brividi veri quelli che dallo schermo corrono poi lungo la nostra schiena...

Calano dal Nord i rifiuti tossici che avvelenano i frutti e la terra della gente Campana, non c’è distanza tra Cina e Milano o il resto del mondo...
Iniziazioni, minacce, abitazioni vigilate come antiche fortificazioni…Clan, “scissionisti”...c’è una guerra in corso a nostra insaputa?...chiudere sempre gli occhi, voltare sempre lo sguardo...

Cave da riempire e non piu’ da svuotare, serbatoi di benzina abbandonati come ipotetici rifugi per nascondere “il frutto del crimine”, Padre Pio cala dall’alto dentro Scampia come un Cristo di Felliniana memoria.

Statico ed al tempo stesso in movimento perenne come solo una grande tela puo’ esserlo, “Gomorra”-  il film, non cerca radici,  non ostenta spiegazioni, non fornisce molti dati o elementi a supporto (tranne quei pochi appena prima dei titoli di coda). Mostra volti  che non fanno una piega, perché tutto è interiorizzato, somatizzato, o perché non c’è modo o maniera di esternare tanto raccapriccio del vivere o dell’imbestialire, riprende corpi che sono  “ridicoli, malvagi, indifesi, mortali....emblematici...”; passa in rassegna tutto ciò che è assieme a  quel che probabilmente sarà ( o meglio, lasceremo che sia...)

...E ancora frullatori “gonfi” di cocaina, sartorie cinesi che sembrano un “ateneo universitario”.... al  solito un “semplicemente grande” Toni Servillo ed un suo pari Gianfelice Imparato...ma anche tutti, ma proprio tutti i comprimari, fusione “incredibile” e “corto circuito” tra finzione e realtà, “forse” un ulteriore passo in avanti della vecchia lezione “neo-realista”...

Spietato come “Certi Bambini” dei fratelli Frazzi ma con un occhio panoramico “senza limite” ed anche molto ben oltre la piaga minorile... Chiaro e logico nelle dinamiche come il recente (e presto occultato) documentario “Biutiful Cauntri”, Garrone firma non il film della sua maturità (quella già la aveva raggiunta) ma quello della pienezza, della lucidità e della poco appariscente grandezza.

Una pellicola su una consistente parte della “nostra” storia di Nazione, doloroso ed enigmatico come solo la realtà e la storia sanno essere... e che farà “la storia” del nostro cinema...se solo a Cannes riusciranno ad accorgersene, l’eco infausto della nostra (ma non soltanto...) abiezione criminale potrebbe allargarsi a macchia d’olio, ma nel contempo anche quello di chi sa raccontarcela con tanta doviziosa cura e maestria...