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lunedì 26 marzo 2012

COSA PIOVE DAL CIELO? (Un cuento chino) di Sebastian Lorensztein



“Nelle persone si vede subito la nobiltà d’animo… e il dolore” dice Mari: due aspetti che lei ha subito notato in Roberto.

Ma ha dovuto pur prendere atto di quanto sia incredibilmente scontroso e solitario… gentile e sensibile… asociale e maniacale… e del fatto che usi metter da parte ritagli di assurde disgrazie capitate alle varie latitudini del pianeta, da Catanzaro alla Romania.

Eppure, nonostante il suo insopportabile carattere burbero, Roberto non riuscirà ad evitare di offrire il suo aiuto a Jun, un giovane Cinese appena atterrato in Argentina, uno straniero sperduto a Buenos Aires.

Sarà perché la vita di entrambi, pur per diverse ragioni, si è fermata in un qualche punto particolare e adesso,  nella silenziosa ed intangibile sofferenza che li accomuna,  senza conoscersi si riconoscono. Parlando idiomi diversi ed incomprensibili si comunicano quel che nessuna parola potrebbe spiegare.

Commedia azzeccatissima tiene i toni drammatici sempre vivi sullo sfondo evitando che invadano il campo e rovinino l’atmosfera accogliente. “Un cuento Chino” ribattezzato in Italia “Cosa piove dal Cielo?” ha sbancato al “Festival del Cinema di Roma” aggiudicandosi nella stessa kermesse anche il premio del pubblico.

Molto o quasi tutto gravita attorno a  Roberto De Cesare (Riccardo Darin) il misantropo padrone di una ferramenta che mal sopporta  i pochi clienti che varcano la soglia del suo negozio; conta e riconta le viti approvvigionategli dai suoi fornitori ed impreca al cielo quando queste non corrispondono al numero ordinato… e pagato! Ma soprattutto, non riesce a dichiarare il suo amore all’amatissima Mari.

“Sarebbe semplice” in fondo, dice lei… Ma per lui è “molto difficile gestire queste cose”…

E poi per adesso ha – ancora! – bisogno che la sua vita proceda con ordine assoluto e sotto il suo più stretto controllo… E se le cose non stessero esattamente così?

L’arguto regista Argentino ha mire che vanno oltre il semplice intrattenimento. Con una storiella leggera e ben costruita, senza chieder permesso ma cautamente, inserisce nel racconto echi patriottici che arrivano direttamente dalla battaglia delle Falkland (o sarebbe meglio dire Malvinas). Pare inoltre voler manifestare una parte delle difficoltà che il suo paese, ancora oggi, incontra nell’abbandonare retaggi passati, ma non troppo. La figura arrogante, prevaricante e “criminalmente autoritaria” del poliziotto sembra esserne un richiamo tanto estemporaneo quanto emblematico.

Cosa conquista davvero il pubblico in questo film?

Non potrebbe esser soltanto quel suo strambo ed accattivante protagonista che gira in Fiat 1500 ed alle 23.00 in punto spegne la luce e transita direttamente al giorno successivo.

E allora?

In un film si vede subito quando c’è molto da raccontare. “Un cuento Chino” non ha brama smodata di nessun genere: con bontà genuina sa mostrare fatti umani e presentare episodi apparentemente lontani partoriti però da improbabili quanto reali incroci della vita; sa raccontare quel che mette in relazione una mucca precipitata da un aereo in Cina ed un ritaglio dell’Unità del 1982 (il quotidiano Italiano organo dell’ Ex P.C.I.) appiccicato sopra un quaderno a Buenos Aires.

Con un finale che colpisce dritto al cuore,  istantaneo e delicato, che  dimostra con chiarezza quanto una commedia neanche troppo articolata, senza messaggi complicati né momenti di tedio, possa addirittura spiegare a fondo cosa siano la vita e il senso delle cose.

domenica 25 marzo 2012

MARE CHIUSO di Andrea Segre e Stefano Liberti


Noi che questo secolo lo viviamo ed in parte lo edifichiamo saremo, un giorno forse nemmeno troppo lontano, chiamati a render conto della nostra singolare attitudine a render realtà congetture tra le piu’ astruse ed aberranti come, ad esempio, quella di un mare dai confini limitati ed angusti e non piu’ il luogo libero ed aperto per antonomasia ricevuto in consegna da madre natura.

Nel mentre che separa la nostra coscienza da una vera presa d’atto dell’orribile quotidiano che, con (parziale) incoscienza, siamo  in grado di generare, Segre e Liberti montano un lavoro per il cinema adatto proprio a raggiunger questo scopo ma che potranno vedere in pochi eletti, causa la solita poca avvedutezza della distribuzione, un documento intriso di un umanissimo sentire e di quella “vicinanza” indispensabile a fornire autenticità e calore ad un racconto di cronaca.

Il tema preso in esame è quello dei cosiddetti “respingimenti” voluti dall’ex Ministro Maroni (ma contro i quali nessuna voce si è levata da nessun paese d’Europa o del mondo) e contro i quali in tempi recentissimi la Corte Europea ha espresso una sentenza di condanna e l’obbligo a risarcire per 15.000 Euro ogni ricorrente.

Persone in fuga dalla tortura, dalla dittatura e dall’obbligo di vestire la divisa del soldato, donne incinte o semplicemente uomini in cerca di un orizzonte lontano dalla disperazione incagliano i loro destini al largo delle coste che hanno abbandonato e non sufficientemente vicini a quelle che stanno tentando di raggiungere, magari con la nave guasta in mezzo al mare e senza nulla da bere e da mangiare.

Il loro incontro con gli italiani è quello di chi si approccia sbigottito a conoscer inaspettate novità sulle sue malriposte speranze o di chi in pochi minuti comprende di aver concesso la sua fiducia troppo facilmente ed ora con altrettanta rapidità la vede tradita; tutto comincia con un lontano rumore di pale d’elicottero e subito dopo poi l’inganno della “nave grande”… si concretizza nel breve spazio di ore l’assurdo di una “Guantanamo d’alto mare.
Militari in divisa abdicano rapidamente ai loro doveri morali per divenire meri esecutori di ordini che mettono agli arresti sfortunati naufraghi della vita, i quali ci  raccontano di  questi tutori della legge che vedono trasformarsi repentinamente in novelli aguzzini, capaci addirittura all’occorrenza di impugnare tubi e bastoni come oggetti contundenti; tutto questo in ossequio al “trattato di amicizia” (…!...) stipulato tra Berlusconi e Gheddafi e ratificato dall’87 per cento di un parlamento colpevole o imbelle, preoccupato neanche un po’ dalle “dicerie” dei tanti che descrivevano ancora terrorizzati l’inferno del campo profughi di Sousha o del centro di detenzione di Zliten (ed  alcuni Libici come “mangiatori di uomini)….

Nomi e cognomi di chiunque abbia offerto il suo sostegno a questa disonorevole iniziativa parlamentare dovrebbero esser trascritti e conservati a futura memoria….
….Guardatevi bene da coloro che travestono la crudeltà concedendole addirittura il rango  di  legge dello Stato!...

Voci e volti d’ebano ricordano e si domandano con genuina sincerità quale possa essere il motivo che porta a far del male ad uomini in cerca di una nuova patria e di salvezza; con altrettanto candore vorrebbero che tutto quanto subito ad opera degli Italiani fosse conosciuto dal resto d’Europa (ma forse piu’ di qualcuno di questa platea chiamata in causa ne è ben a conoscenza e preferisce esser cieco e sordo… e crogiolarsi tra egoismo ed ignavia …) 
Altri semplicemente chiedono che piuttosto che esser tradotto in prigione un uomo debba esser lasciato in mare con il suo Dio, in attesa dell’aiuto di qualcuno o di morire con intatta la sua dignità.

“Mare chiuso” è’ un doloroso atto d’accusa “tranchant”  allo Stato Italiano ma anche un documento in cui la grazia in immagini che  il cinema sa porgere ai nostri occhi viene preservata e raggiunta grazie alla sensibilità e soprattutto alla grande capacità di Segre (e Liberti), ancora una volta alle prese con il tema dei migranti ed una volta di piu’ rinvigorito dai consigli vecchi e nuovi del maestro della fotografia  Luca Bigazzi (già suo collaboratore nel recente “Io sono Li”, esordio cinematografico extra-documentaristico).

E’ una lucida ricostruzione del racconto con testimonianze in ordine sparso ma anche ripercorrendone la sua cronologia (2009-2012), che pone in primo piano le voci dei protagonisti, evitando tanto la rabbia che altera la notizia quanto l’asettica freddezza di colui che se ne occupa con eccessivo distacco formale; vi si riscontra  una capacità notevole di dipingere in un’ora soltanto una situazione raccontando per parole ed immagini un mondo sconosciuto e vicinissimo, unendo tra loro dettagli che non fanno poesia ma restituiscono un quadro generale dove, tra la piattezza dei numeri (peraltro agghiaccianti quando si parla di viaggi dove a partire sono in  settantadue ed a sopravvivere solamente in nove!) e la cecità dei provvedimenti ufficiali, ritrovi il suo spazio, necessariamente e come è suo diritto imprescindibile, il fattore umano.

Dalle dichiarazioni che lasciano allibiti di un Gheddafi a colloquio con Berlusconi sui “negri che vivono nella foresta e non hanno né problemi politici né diritti” (era questo il miglior interlocutore politico possibile?...) passando poi per le fugaci immagini di un mare azzurro sorvegliato dal silenzio delle pale eoliche  e splendidamente a contrasto con il giallo del grano (S.Anna di Crotone, meta d’arrivo maledetta o benedetta?)…
Infine il lieto risolversi dell’attesa per un incontro durata  2 anni e 5 mesi sembra regalare un pochino di sollievo e di ottimismo in mezzo a tanta amarezza…

“Mare chiuso” è cinema buono per non dimenticare o per conoscere meglio pagine della nostra storia attuale che sono  fondamentali, per valutare appieno le responsabilità di chi ci governa ma anche le nostre,
….. i confini del nostro conoscere, comprendere e della nostra “pietas”…

La Corte Europea (dopo la fine della recente guerra di Libia) nel marzo del 2011 ha condannato le nostre leggi in materia di respingimenti; il Nostro governo al momento non sta applicando quelle normative ma ancora non le ha rigettate…

Parallelamente  noi  Italiani potremmo sperare di aver soltanto “sospeso” la nostra capacità di  “sentire l’umano che ci è vicino o dentro di noi”…

Perché se dovessimo averlo “respinto” per sempre avremmo portato un contributo quanto mai tetro e tristissimo nell’evoluzione civile ed affettiva di tutto il  genere umano…


FRANCO – 26 MARZO 2012

giovedì 22 marzo 2012

HENRY di Alessandro Piva


Dall'omonimo romanzo di Giovanni MastrangeloHenry”, Alessandro Piva (quello deLaCapaGiraeMio Cognato”) ricava il suo terzo lavoro cinematografico, che porta il nome dell'eroina così come la chiama in codice la nuova criminalità Africana...

Partendo da un fortuitopasticciaccio bruttoa Torpignattara ci muoviamo di continuo a bordo di motorini ed automobili in una Roma cupa, sempre scura o sporcata da qualcosa, attentamente spogliata delle sue bellezze che sono intenzionalmente trascurate dall'obiettivo del regista che preferisce cogliere con migliore efficacia la commistione di malavita criminale e quotidiano tra le anonime ambientazioni del Villaggio Olimpico invece che tra i luoghi sacri e rilucenti d'arte della Capitale.

E' una città silenziosamente presa d'assalto dalle navi che dal sud approdano a Civitavecchia come dalleiene africanevenute a dettare la legge della giungla tra le moderne e confuse macerie della metropoli...

I protagonisti del film di Piva vengono tutti da esperienze prevalentemente da comprimari (a parte Crescentini e Riondino, negli ultimi tempi in ascesa, troviamo anche Paolo Sassanelli, Pietro De Silva, Dino Abbrescia, Claudio Gioè e altri....) che per l'occasione sfoggiano però un biglietto da visita da cast di prim'ordine; nonostante i dialoghi ed alcuni loro atteggiamenti facciano rotta verso pieghe dalla venatura lievemente umoristica il loro livello dicredibilità e sostanza(tenuto conto delgeneredi pellicola) rimane invidiabile, anzi ad ogni passo si rinforza e questo sembra esser uno dei meriti maggiori da potergli ascrivere, oltre che alla mano del regista.

Di tanto in tanto la storia si concede delle pause mandando in onda alcuniconfessionalia cuore aperto dei vari personaggi: prendiamo nota e qualcosa in piu' comprendiamo sul significato del loro vivere.....forse ci tornerà utile piu' avanti.

Tra le righe digressioni estemporanee su chi tira bombe intelligenti e chi bombarda la città con la droga (ma almeno ne uccide di meno e qualcuno lo fa anchedivertire”....), considerazioni sul rispetto della legge solo quando c'è una divisa o un lampeggiante ad incutere paura........un paio di battute apparentementebuttate viada un venditore di calzini ambulante............
….........e la scuola pubblica in affanno rispetto allo Chateaubriand!...

Una costante aria di tenebra cala alla perfezione su una città che non si ferma nemmeno un attimo a guardarsi indietro e forse è questa normalità del procedere sempre in avanti il dettaglio che inquieta di piu'.
Roma è ghermita da un manipolo di usurpatori forestieri, un sottobosco di varia estrazione che dal buio viene alla luce per precipitare tutti in un presente sinistro e malvagio...
Sul terrazzo un combattimento all'arma bianca tra due esseri umani che sembrano galli da combattimento...

Nonostante le tensioni siano parecchio stemperate alla fine si salvano comunque in pochi nel film di Piva... ma visto il tema c'era forse da metterlo in conto fin dall'inizio...
…....ed ecco che  quando è l'ora di fare i conti di pietà non ne avanza a sufficienza: a chi tocca la lama di un coltello nel petto ed a chi il buco in fronte di una pallottola...

Poi finisce la storia ma non la vita che continua a scorrere per proprio conto, come le rapide del fiume che portano ai titoli di coda e che tra i loro flutti trascinano forse da sempre tutto il bene e il male, ma non hanno impeto abbastanza per lavare via un presente tetro, popolato di assassini invisibili ma non per questo meno crudeli e disumani...

FRANCO – 21 MARZO 2012