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domenica 22 maggio 2011

THE THREE OF LIFE di Terrence Malick



L’America degli anni ’60….il carattere duro di un padre (Brad Pitt) che vorrebbe fornire le armi per difendersi dalle insidie del mondo ai suoi figli (e nel contempo annullare le frustrazioni della sua vita, che identifica come un qualcosa di “mancato”….) ma che collide terribilmente con il percorso di crescita di uno di questi….Una madre quasi eterea, “dall’apparente assenza e debolezza ma che sorveglia, indica….sparge sommessamente umanità ed affetto…”….

Ma anche, in parallelo ed anzi fuso assieme, il piano infinito della storia e della creazione, il big-bang e la genesi, le parole di Giobbe e gli stormi di uccelli che volano tra i grattacieli, i grossi fili d’erba che ne sono alle radici, testimoni invincibili della natura che ancora alberga gli spazi invasi dall’uomo e che in quegli spazi non chiede elemosina ma li abita da sempre ed al cui confronto il ferro ed i vetri della città altro non paiono che una claustrofobica prigione.

La via della grazia di un Dio talvolta incomprensibile, che sparge sale sulle ferite che dovrebbe curare, e l’ancestrale esistere  del creato, di una natura a cui piace dominare….
Scattose o morbide si aprono finestre su pianeti e cosmo, cascate d’acqua e deserti, enormi girasoli….

“The tree of life” di Terrence Malick ha come obiettivo un cinema di rappresentazione totale, come suo riferimento immediato il Kubrick di “2001” ma meno psichedelico ed ossessivo…….. prova a scavare sul versante new age/filosofico anziché direttamente tra gli abissi dell’inconscio e del mistero puro e “tetro”, ma rispetto al capolavoro imperituro del regista americano non pare riuscire a trovare un equilibrio perfetto tra le sontuose immagini e le parole, ne con gli innesti di  musica aulica sembra poter accedere al santuario delle infinite e nascoste “geometrie” che ne farebbero davvero “Cinema eterno”….

Il caleidoscopio di crateri e ribollenti acque, pietre levigate e fiori che paiono gameti, sembra riflettere non luce nuova ma solo un ridondante assemblaggio di un “monumentale già visto” senza un amalgama vero e proprio…. le domande e le risposte fluttuano, galleggiano ma non respirano e nemmeno vanno oltre l’immagine di gigantesche meduse bianche che vagano da sempre in un oceano di luce blu e dovrebbero in qualche maniera rivelarcene i contenuti….

Non c’è il passo allucinato e maestoso nè di Kubrick nè della “Sottile linea rossa”, le parole sussurrate stavolta non trovano aderenza e rovinano giu’ staccandosi dal contesto o comunque incidendo poco e non oltre alcune dimensioni ampiamente già visitate in precedenza in tantissime forme ed occasioni…

Dobbiamo osservare per imparare…

La piccola quanto giustissima rampogna pedagogica l’abbiamo già sentita ed il fatto che sia vera senza dubbio nulla toglie al fatto che Malick non ne corrobori l’essenza con un corredo personale ed efficace che pare quasi mancare “in dote” a questa pellicola….

Non basta l’ombra di mamma a piedi nudi tra il verde degli alberi ed il bianco delle lenzuola ne le sontuose immagini di una natura sempiterna mischiate alla telecamera che ruzzola ad inseguire i suoi protagonisti, e nemmeno si puo’ affermare che sia una questione di aver voluto volare troppo alto, ma soltanto semmai di dover constatare che il viaggio, una volta raggiunta la quota, diventi troppo piatto, lineare e non consenta all’arte di “rilasciare” nulla di nuovo….

Per quanto si comprendano fin da subito gli intenti sulla universalità del progetto, le proposte visive e verbali di Malick non riescono a trovare il giusto “trait d’union” che le fonda assieme alle aspirazioni che le hanno ricercate e composte, sostanzialmente non si riesce a stare al passo con l’ambizione inseguita ed agognata per lungo tempo….

Non possiamo bollare l’opera di Malick come ampollosa o noiosa, pure se a tratti corre il rischio di poterlo essere, ne intaccarne l’intento genuino e grandioso che era alla sua genesi ed alla sua portata (e di chi altri, sennò?...), ma non riconoscere il mancato raggiungimento dell’obiettivo sarebbe un eccesso affettivo e di accudimento per un artista che non ne ha alcun bisogno ed in ogni momento futuro potrà renderci lezione di cinema ed esistenzialismo….

Ma come non rilevare che ne “L’albero della vita” quel che forse appare chiaro da sempre al filosofo fatica ad emergere tra le mani del regista e rigenerarsi in qualcosa di “vivo e cinematografico”, come non evidenziare che il flusso unico di saggezza e buoni consigli, di fede e di ribellione uniti alla mistica dell’infinito non arriva a dilatare nuove percezioni ne a fornirci nessuna intuizione significativa?......

C’è stordimento, smarrimento…..stupore e meraviglia….c’è pure un abbraccio che vorrebbe essere immenso ma non travolge…..ne ricrea o ridefinisce….

“Non si vive se non nell’amore…bisogna amare tutto: ogni foglia, ogni raggio di sole….dobbiamo aiutarci gli uni con gli altri….prestare l’opera a Dio o concederci in fusione all’immanenza”…..

Malick non apre diversi  sipari che vadano oltre “questo generico tappeto concettuale” e latita tra le immagini che promettono ma non mantengono, boccheggia tra i sussurri delle parole che giungono al nostro orecchio senza portare molto di pacificante e nemmeno estetizzanti risposte….

….e se all’arte non spettasse proprio questo compito di “diversa traduzione” e trasposizione della realtà e del pensiero, forse vorrebbe allora dire che siamo proprio noi i primi a suicidare l’unica porta in grado di aprirci i confini dell’universo ben oltre le rigidità delle convenzioni e della scienza….

Il maestro Malick alla prossima storia saprà di certo trovare (e poi “consegnarci”….) tutto quello che ha cercato oggi in ogni spazio (in)immaginabile ed (in)intelligibile, anche solo rovistando tra le pareti di una stanza, osservando il  fremito di una foglia o lo sguardo di un bambino….

….e noi resteremo fiduciosi ad aspettare il dono meraviglioso che stavolta  ci ha solo promesso, confusamente mostrato ma non davvero “regalato”….