Cheyenne è una rockstar “in pensione” o forse renderebbe meglio dire “in disarmo”, “parcheggiata” lontano dall’esistenza e dal “vibrare” del suo stesso “sentire”…
La sua voce sembra quella di una vecchia radio sempre sul punto di spegnersi, le palpebre sempre pronte ad abbassarsi davanti ai suoi occhi che paiono assieme stanchi, disgustati...... disorientati…
I soldi non gli mancano e neanche una moglie che gli vuole bene… certo intorno a lui parecchi non capiscono affatto quanto la sua noia confini (…spietatamente…) con la depressione, l’ angosciante ospite che lui tenta di depistare giocando a pelota nella piscina vuota della sua villa…
E perché diavolo fino ad oggi non si è mai acceso una sigaretta oppure per quale motivo ha una paura fottuta di salire su un aereo?...
E soprattutto, come va la sua vita?....
Già….a che punto è la sua vita?...E come deve andare avanti?...
Ora suo padre sta morendo ma non è facile correre al suo capezzale quando già dall’età di quindici anni hai deciso che lui non ti amava….
Eppure Cheyenne sale su una nave e da Dublino fa rotta verso New York, e la novità è che il suo viaggio non si fermerà una volta giunto al “Nuovo Mondo” ma proseguirà ancora piu’ distante, in luoghi lontani e che nessuna carta geografica sia mai riuscita a “mappare”…
Sorrentino si trova “fra le mani” Sean Penn e davvero decide di “sfruttare l’occasione”…
Costruisce addosso all’attore americano un personaggio memorabile o quantomeno assai singolare: un adulto rimasto bambino ma che al tempo stesso ha fortemente impattato con la vita e che si è schiantato forse proprio perché non l'ha saputa affrontare davvero a viso aperto….. ed ora si nasconde dietro i suoi occhi contornati di nero, il suo ombretto ed il rossetto che però nulla possono contro i suoi sensi di colpa o di insoddisfazione…
Per un’ora buona (ma forse anche oltre….), come un pittore di fronte alla musa che ispirerà la tela agognata a lungo pennellata solo nei territori del sogno, il regista sembra esser letteralmente rapito dal volto di Cheyenne/Penn e dai suoi occhi talmente profondi e tristi da poterci affondare dentro, ed in ogni inquadratura o primo piano lo lascia straripare (…affianca la sua sagoma persino ad un bisonte…)…
Echeggia di continuo la voce sommessa e la risatina fuori luogo di questo spaesato “dark surreale”, a tratti simile ad uno stralunato “Edward/Depp” di Burtoniana memoria, comunque chiaramente una “ibridazione” tra un Curt Smith dei Cure che cammina al passo stanco di un vecchio Ozzie Osbourne, alieno da ogni contesto ma con una sensibilità “sorprendente per quanto dimessa” ed in grado di varcare ogni confine……
Poi, attorno al fulcro del suo film, scena dopo scena, comincia a far emergere piccoli indizi e rivelazioni delle quali per lungo tempo non si rintraccia la logica che possa ricomporre i connotati del quadro generale, ci porta per mano al buio nel suo labirinto cinematografico…
Ed alla fine “inventa” una chiusura del cerchio plausibile per questo “This must be the place”, dopo aver percorso le grandi strade americane dal Michigan al New Mexico e poi fino allo Utah, dopo esser passato per comunità di ebrei ed avendo proseguito poi alla ricerca di “vecchi criminali nazisti”, lungo il cammino “visitando” tutti i piccoli incontri, ognuno importante e qualcuno decisivo (un tatuatore, una maestra, un broker….), toccando o forse solo sfiorando temi importanti quali “il tempo”, la perseveranza che è anche grandezza, l’umiliazione e la vendetta, magari porgendoceli lungo un cammino anche troppo lineare dove ognuno mette a disposizione la sua riflessione o il suo piccolo “aforisma da asporto” e però comunque di questo parlando ed organizzando un mosaico di “anima, cinema e parole”..….
Sorrentino non lascia vuote le affascinanti geometrie della sua composizione fotografica, sempre in grado di render soddisfazione allo spettatore già soltanto con la sua offerta di estetica, ma cerca di unire a questa anche un “senso vero” ed una “nobiltà filosofica”, pur volendo fortemente spiazzare come gli è congeniale con un personaggio totalmente fuori dagli schemi (in passato lo aiutarono le molte “vite” di Toni Servillo e poi anche un “sordido” Giacomo Rizzo ne “L’amico di famiglia”, ma da ora in avanti bisognerà prestare massima attenzione all’abuso della “formula”….), e qualcuno vorrà imputargli un finale “forzoso” e qualche altro una “predisposizione troppo assolutoria” per il carnefice, così confondendo però la pietà con il perdono, il barlume di umanità che ci porta ben oltre l’istinto della belva e che tramuta in una foto un colpo di pistola….
“This must be the place” è un road movie dove il percorso si sviluppa anziché in strada nel bosco interiore di una persona, atipica ma a ben guardare di una semplicità ed una normalità persino sorprendenti, che ci destabilizza con le sue risposte: dove tutti elargirebbero certamente un si lui oppone un diniego (“Vuoi sapere come è andata?” “No….”), uno che non puo’ far l’amore con un’altra donna….semplicemente perché è sposato!....Un “Re mida dell’anima” che sembra impotente nei confronti di se stesso ma al cui fianco chiunque si avvicini prova un senso di benessere o di rilassatezza….
Lungo il cammino si troverà davanti al pistacchio piu’ grande del mondo oppure con una pallina di ping pong dentro al bicchiere (ed allora avrà trovato anche chi gli pagherà il cheeseburger….)...... Non lavora da tempo (...non ne ha bisogno....) ma si impegna per render felice una ragazza….
….fino a che tutto diventerà bianco come le neve, e dentro la neve qualcuno per lui pagherà un debito antico...
Ecco allora sbloccarsi una vita arenata tra le spire di dilemmi numerosi quanto mai del tutto decifrabili, parallelo che conduce in qualche misura alle piccole schegge della vita di ognuno di noi, consentendoci una immedesimazione ed una possibile empatia nei confronti del protagonista che senza dubbio sono una delle carte vincenti del film….….
Soffia sul ricciolo che gli scende sulla fronte Cheyenne e forse si rivelano in lui l’inutilità del trucco e degli orpelli, prorompe definitivamente l’indispensabile necessità, sola ed unica, della tenerezza e della comprensione…
In fondo Sorrentino gira “largo e pure elegante”, costruisce cinema d’autore con frasi dense e fotografia mirabile ma volendo stringere in una sintesi di pochissime parole, mira soprattutto a sostenere la piu’ semplice delle ipotesi sulla nostra esistenza e sarebbe che tutti, indistintamente, abbiamo un disperato bisogno di “più umanità”…
… O forse non è neanche così, e magari nemmeno è del tutto vero…
…………Ma, nella vita così come anche al cinema, è carino davvero che qualcuno ce lo dica…
FRANCO - 18 OTTOBRE 2011
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