Una chiesa in dismissione.
Operai irrompono e smontano panche e crocifissi, incartano le statue; con la loro stessa rumorosa presenza decretano la fine di quel posto come luogo di culto “Ufficiale”.
A nulla vale la strenua resistenza di un anziano prete anch’esso accantonato dalle gerarchie di Santa Romana Chiesa, spinto verso il “riposo di fine carriera”.
Poi nella notte “il miracolo”, ovvero un nutrito gruppo di clandestini si insedia tra le quattro mura, spoglie di ornamenti e simboli sacri ma ancora buone per accogliere i fratelli in difficoltà, e l’anziano sacerdote assiste, inizialmente quasi da spettatore, a questo inaspettato arrivo: forse quella che aveva immaginato come una dolorosa fine non è stata altro che un nuovo e meraviglioso inizio, un diverso modo di servire “l’altro”, distante dalle preghiere e dai riti ed invece piu’ vicino alle necessità del bisogno pratico ed immediato…
In fondo, la riflessione di Olmi sul ruolo della chiesa (e dei suoi fedeli), stretta tra le problematiche odierne di una realtà sempre piu’ complicata e indecifrabile, tanto dai suoi uomini direttamente coinvolti quanto da chi le sta intorno, è esattamente la stessa del suo alter ego con l’abito talare ed il suo film in sostanza è poco altro se non un coacervo ordinato e diligente di immagini simboliche, di situazioni emblematiche, di volti ed espressioni che possano rappresentare da soli la sofferenza e lo sgomento di un mondo che sempre di piu’ intreccia le strade di uomini e civiltà diverse…
Come già nel recente “Terraferma” di Crialese anche qui c’è una sorta di cambio di pelle della iconografia evangelica nella quale i volti della sofferenza si colorano di un nero africano, fiero nell’affrontare il suo presente drammatico e comunque dallo sguardo colmo di un consapevole perdono nel momento in cui precipita la disperazione.
C’è persino una “Maddalena” che scioglie coltelli minacciosi nel palmo della sua mano e pure un “Giuda” con i capelli biondi sopra il suo viso scuro.
Questo trasferire sugli “ultimi della terra” e quindi, in Italia, senza dubbio sui clandestini che arrembano verso la nostra penisola in cerca di cibo, lavoro e dignità è una lettura attinente alla realtà e che poco ha di discutibile, così come sono assolutamente vere la tensione e le incertezze che attraversano il credente della chiesa cattolica, che si trova a dover affrontare un quotidiano vivere sempre piu’ difficile e confuso nel rapporto con i suoi “fratelli” in difficoltà…
Quello che però “Il villaggio di cartone” non riesce davvero a trovare è una adeguata “incarnazione in celluloide” di questo quadro generale, limitandosi ad assolvere ad una troppo semplice sorta di compito di “spicciola catechesi cinematografica d’autore”, assemblando, come già si accennava poc’anzi, un insieme di immagini simboliche (la fonte battesimale che raccoglie l’acqua piovana e che torna di nuovo ad essere dono del cielo, la stessa chiesa che solo una volta occupata dalla “religione nemica” rinasce a nuova vita….) assieme ad un vasto campionario di luoghi comuni e brevi frasi ricche “di senso” ma comunque inutile compendio senza altro accanto, esattamente come queste sembrano vuote nella realtà quando nessun seguito pratico si accoda alla loro “urgente lettura” delle cose (in questo caso si tratta, come espressamente citato nei titoli di coda, di “considerazioni” di Monsignor Ravasi e del giornalista Claudio Magris, piu’ qualcosa dello stesso Olmi…..).
Senza alcuna vera asprezza o impurità, nel suo procedere assolutamente ordinato e molto scontato, “Il villaggio di cartone” vorrebbe forse limitarsi a (re)suscitare la perduta “pietas cristiana” ma il suo contributo non va minimamente oltre quello che già si è spesso ascoltato e pochissimo aggiunge a quello che si è già visto; rimane prigioniero di “dialoghi non evolutivi” ma che sembrano essere solo un fuoco di fila di frasi lapidarie atte a “bruciare” l’ascoltatore o con l’arma della riflessione di superficie o con quella del senso di colpa, sempre latente in ognuno di noi così come puntualmente ignorato e disatteso….
Non basta una pioggia costante ed i colori plumbei tra le quattro mura di una chiesa per consegnarci la vera sensazione di un presente raggelante ed al quale dovremmo porre rimedio, ed alla fine quello che pare arrivarci è soltanto lo svolgimento “molto curato” di un temino semplice, recitato con molto garbo ma di poca efficacia, distantissimo da una lettura personale e d’autore che avrebbe potuto, quella invece si, contribuire ad arricchire il significato di una realtà poco compresa nella sua interezza come nella sua pericolosità e che potrebbe trascinarci chissà dove se non vi si pone rimedio o contrasto….
Come una sorta di “funzione religiosa”, forse un “requiem”, il film di Olmi mette in fila rumori di elicotteri e sirene, porte serrate e vetri infranti, frasi didattiche ma molto ingessate e banali..... vengono tirate in ballo persino le rondini che non tornano piu’ a primavera...... non che nelle intenzioni si manchi di onestà, ovvero di “buona fede”, ma il risultato che ne consegue, val la pena ripeterlo con chiarezza, è piuttosto scolastico, adatto forse ad un pubblico al massimo adolescente…
….perché che il bene sia molto piu’ della devozione religiosa non è certo una novità dirompente....... E' di certo una verità che non va dimenticata!....
Man on basta tirar sul tavolo qualche volto sofferente, “quattro concetti” (...per quanto giusti...) e molte frasi candide per fare di questo un film...... e comunque, per lunghi tratti, “Il villaggio di cartone” si incanala persino su un binario noioso….
Vogliamo concedere tutte le attenuanti alle buone intenzioni di Olmi ed è scontato il rispetto per un regista della sua portata, solo non è possibile fare a meno di notare come questa sua pellicola sia decisamente “leggera ed a ben valutare anche inconsistente”...
Visto il corposo retroterra artistico e culturale degli autori si tratta di una occasione gettata in maniera sconsiderata, una riduzione “didascalica” forse inutile e destinata a perdersi in un mare sterminato, assieme ad altre persino meno oneste, opportunistiche e senza nessun buon proposito ad animarle….
Tutto il rispetto alle sincere intenzioni di Olmi ma la sua pellicola nulla aggiunge alla galleria del cinema d’autore, l’unico che possa esser a volte capace di indurci ad un vero esercizio contemplativo, a stimolare un nuovo ragionare ed a giungere ad una vera presa d’atto della nostra coscienza….
Un grido di dolore sicuramente autentico ma che purtroppo giace da subito dimenticato nel deserto del suo stesso grigio anonimato….
FRANCO - 10 OTTOBRE 2011
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