Per
Donald Rumsfeld “l’unico modo per sapere è immaginare”!
Secondo
il suo modo di pensare il motivo principale per il quale gli Stati
Uniti subirono le devastanti perdite di “Perl Harbour” - durante
il secondo conflitto mondiale - sarebbe da ricercarsi addirittura
nella mancanza di immaginazione!
Ed
è quindi chiaro, consequenzialmente, arrivare a comprendere come ci
siano “cose che credi di sapere ed invece non conoscevi”,
ovvero “The Unknown known”.
Si tratterebbe di tutte quelle informazioni che ti eri immaginato
come vere ed inoppugnabili ed invece con il tempo hanno mostrato la
loro inconsistenza, forse le stesse che ti hanno fatto credere all’inevitabilità di un conflitto o di una guerra al punto da
arrivare a scatenarla.
Probabilmente
a suo modo questo personaggio è “candido ed onesto” e ci invita
senza reticenze ad affacciarci al davanzale dal quale osserva il
mondo con i suoi occhi; ci spiega quali, secondo lui, siano le
coordinate imprescindibili per decifrare l’orizzonte.
Errol
Morris, con il suo film documentario lo intervista non con lo scopo
di metterlo all’angolo (impresa forse impossibile contro un
marpione di tal fatta), semmai di farlo uscire allo scoperto, senza
infastidirlo o incalzarlo troppo ma dandogli tutta la corda
necessaria e, alla resa dei conti, l’ex Segretario della Difesa
Americana, non si fa certamente pregare troppo.
Partendo
dai suoi “snowflakes”
(i “fiocchi di neve”,
ovvero migliaia o forse milioni di promemoria scritti dallo stesso
Rumsfeld) il regista costruisce un lungo film/intervista.
Chi
si aspetta fendenti e colpi bassi rimarrà deluso: la tattica è
quella di cercare di evidenziare i punti deboli e le contraddizioni
senza sfociare in vero e proprio atto d’accusa,
ad esempio sottolineando la manipolazione nell’uso dei vocaboli e
nel travisamento del loro significato allo scopo di “giustificare
l’ingiustificabile”, come se
poi si potessero coprire gli “errori o gli orrori” - o attenuare
le loro conseguenze - semplicemente usando nella maniera più
congeniale il dizionario o da questo traendo i possibili artifici.
Ma
siamo nella “tana del lupo”,
un antro di machiavelliche architetture e nebbie, doppiezze e battute
ad effetto, come le conferenze
stampa tenute da Rumsfeld
ai tempi dei conflitti in Afghanistan ed Iraq, dove le sue qualità
di showman e di
affabulatore
emergono con chiarezza, come la sua abilità nel porsi domande e
darsi le risposte al tempo stesso, comunque strappando applausi e
risate, giocando sempre d’anticipo ed entrando a gamba tesa, senza
dimenticare di sfoggiare davanti agli interlocutori il suo sorrisetto
ironico e sicuro.
“Colpire
e sbalordire” o comunque
render
le acqua torbide, i significati e
le evidenze confuse: forse
Saddam Hussein aveva davvero le armi di massa e le ha distrutte per
non esser scoperto; certamente l’assenza di prove non è una prova
della loro assenza!
Questi
ed altri giochini con frasi e terminologie sembrerebbero la barriera
invalicabile del “giovane/vecchio” dell’establishment
Americano, da sempre al potere, prima con Nixon, poi con Ford,
Reagan, Bush, dal Vietnam alla Guerra Fredda fino al Medio Oriente.
Un
oratore capace ed a suo modo affascinante ma anche un prevaricatore,
comunque un politico indisponibile
ad assumersi qualsiasi responsabilità, come se gli eventi fossero
ogni volta ineluttabili, un qualcosa nel quale gli uomini non hanno
nessuna voce in capitolo.
“E’
la storia a controllare noi o siamo noi a controllare la storia?”
Nemmeno a questa domanda – per la quale ovviamente è meno facile
trovare una risposta - Rumsfeld offre una sua versione, anzi ne
offre svariate, sempre più di una.
Ma
è solo un “mare di parole”:
proprio questa l'evocativa l’immagine usata da Morris,
così come sono azzeccate le sovrimpressioni con le dettagliate
definizioni del vocabolario, il tutto sottolineato dalle musiche di
Danny Elfman che cementano ogni cosa in un film, oppure un incubo,
scegliete voi.
Quel
che appare inequivocabile è la volontà di coprire o mistificare
piu’ che mentire spudoratamente:
la chiara tendenza a volersi
appropriare del presente cercando di ricreare una personale versione
del passato, senza passare per gli elementi di fatto.
Ma
concedere o meno questa possibilità alle persone - specie agli
esponenti di spicco che hanno deciso della nostra storia antica o
recente - spetta soprattutto a coloro che li osservano e poi ne
giudicano le gesta alla luce degli eventi trascorsi, ovvero a noi,
gli unici che possano provare ad impedire in futuro il ripetersi di
nuove nefandezze o che altri individui, simili o uguali, godano
ancora una volta della stessa libertà d'azione, urlando prima
possibile, ovunque ed in ogni modo, il nostro disgusto e la nostra
disapprovazione.
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