La
vita è un “grande mare”, dove tutti si incontrano ed ogni cosa
continua, senza fermarsi mai.
Forse persino la morte non è niente altro che un “passaggio” che
altri hanno varcato prima di noi, camminando verso un misterioso
ignoto.
Magari
è addirittura questo il destino toccato a Margherita ed Anna, due
donne mai conosciutesi in vita ma che potrebbero aver viaggiato
assieme verso la morte: una era la madre di Pippo Del Bono, artista
passionale e regista di questa pellicola, mentre l'altra era la
compagna di uno dei leader storici delle Brigate Rosse, Giovanni
Senzani.
I
due uomini si conoscono per caso, quando l'ex terrorista (23 anni
passati in carcere) si reca a vedere lo spettacolo “Racconti di
Giugno”, messo in scena dall'attore ligure. Dalle esperienze
condivise e da quelle che si confesseranno l'un l'altro nascerà un
libro dal titolo “Sperduti”; poi il fulminante ed improvviso
passaggio della morte lascerà entrambi orfani, mutilati nel loro
amore, “soli ma ancora insieme”
e di fronte, senza maschere.
E
così, quasi casualmente, sedimenterà questo “Sangue” (Premio "Don Quijote" al 66° Festival di Locarno),
cinema che entra dentro la vita e vita che scivola nel cinema,
dove la camera – come ammette con spontanea sincerità lo stesso
Del Bono - diventa talvolta un terzo occhio necessario a non farsi
trafiggere e travolgere da un dolore enorme e soverchiante.
Non
uno sguardo necrofilo sull'inerzia e la decadenza del corpo, semmai
l'azione incondizionata di un amore disperato che cerca di trattenere
l'impossibile, contemplando le
cose con afflizione ma senza morbosità, mentre
il tempo diluisce dentro un imbuto oscuro, nel quale entrare è un
atto irreversibile. Presente e
futuro si frantumano, divengono in un attimo qualcosa che non c'è
più, fino a che ogni promessa di eternità o semplicemente del
domani, finiscono per sfuggire alla nostra mente.
Del
Bono indugia sulle mani
ingiallite della mamma che portano il colore della morte, cercando
di compenetrare
l'incomprensibile: vuole sondare l'inaccessibile e nel mentre
“esondano” i suoi sentimenti,
accompagnati da espressioni contrite e da un sentore di lacrime che
aleggia intorno. Catarsi più che liberazione, cercando di
sopravvivere al veleno che dilania la carne di chi abbandona e di
coloro che rimangono.
Non
ci vengono risparmiate le immagini di un corpo inerte nella camera
mortuaria e poi sigillato dentro la bara, quello della stessa donna
che mesi prima sentiva le forze abbandonarla mentre lei desiderava
“alzarsi, andare, fare”. Per lei il figlio aveva affrontato un
viaggio forse assurdo, comandato dall'indomabile ed istintivo
richiamo della speranza, recandosi fino in Albania in cerca di un
misterioso medicinale Cubano a base di estratti di veleno dello
Scorpione Azzurro.
Ogni
tanto tra i fotogrammi compare Senzani, il “Marxista guerrigliero”
che ora ha il “sangue buono” e difatti le zanzare, che per
decennni lo hanno evitato, lo prendono d'assalto: un comunista, come
quelli che – diceva Margherita - impedivano alla Madonna persino di
apparire, un uomo deciso e convinto della sua scelta di lotta armata
mai condivisa da una “compagna di vita” che pure ha scelto di
aspettarlo per anni, in solitudine, e poi lo ha dovuto abbandonare
repentinamente, suo malgrado, diventando cenere
e petali di fiore che ora “sono mare”.
E'
un cinema viscerale quello di Del Bono, che fonde teatro e vita, che
ospita immagini della città terremotata de L'Aquila come un
simbolico parallelo di decadenza e di abbandono e che lega tra loro
testimonianze spaesanti, talvolta persino agghiaccianti, come quella
di Senzani sull'omicidio Peci, un uomo le cui speranze svanirono
nell'urlo di un istante, di un colpo secco, lasciando in ricordo la
miseria di una sola fotografia.
“Sangue”
è una riflessione generosa sulla vita e la morte, su fede e
religioni, sull'essere umano, su inferni reali e paradisi inventati,
sulla rivoluzione e la lotta armata, certo vaga ed imprecisa ma
densa di calore e vogliosa di offrire e condividere; forse
distante da un risultato cinematografico compiuto ma encomiabile
nella sua passione prorompente e per la libertà attraverso la quale
va oltre gli squallidi tabù sulla morte o sugli anni di piombo,
forte di un coraggio cristallino che rende di fatto incomprensibile
qualsiasi becera polemica abbia accompagnato il cammino di questa
pellicola.
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