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martedì 14 gennaio 2014

SANGUE di Pippo Del Bono


La vita è un “grande mare”, dove tutti si incontrano ed ogni cosa continua, senza fermarsi mai. Forse persino la morte non è niente altro che un “passaggio” che altri hanno varcato prima di noi, camminando verso un misterioso ignoto.

Magari è addirittura questo il destino toccato a Margherita ed Anna, due donne mai conosciutesi in vita ma che potrebbero aver viaggiato assieme verso la morte: una era la madre di Pippo Del Bono, artista passionale e regista di questa pellicola, mentre l'altra era la compagna di uno dei leader storici delle Brigate Rosse, Giovanni Senzani.

I due uomini si conoscono per caso, quando l'ex terrorista (23 anni passati in carcere) si reca a vedere lo spettacolo “Racconti di Giugno”, messo in scena dall'attore ligure. Dalle esperienze condivise e da quelle che si confesseranno l'un l'altro nascerà un libro dal titolo “Sperduti”; poi il fulminante ed improvviso passaggio della morte lascerà entrambi orfani, mutilati nel loro amore, “soli ma ancora insieme” e di fronte, senza maschere.

E così, quasi casualmente, sedimenterà questo “Sangue” (Premio "Don Quijote" al 66° Festival di Locarno), cinema che entra dentro la vita e vita che scivola nel cinema, dove la camera – come ammette con spontanea sincerità lo stesso Del Bono - diventa talvolta un terzo occhio necessario a non farsi trafiggere e travolgere da un dolore enorme e soverchiante.

Non uno sguardo necrofilo sull'inerzia e la decadenza del corpo, semmai l'azione incondizionata di un amore disperato che cerca di trattenere l'impossibile, contemplando le cose con afflizione ma senza morbosità, mentre il tempo diluisce dentro un imbuto oscuro, nel quale entrare è un atto irreversibile. Presente e futuro si frantumano, divengono in un attimo qualcosa che non c'è più, fino a che ogni promessa di eternità o semplicemente del domani, finiscono per sfuggire alla nostra mente.

Del Bono indugia sulle mani ingiallite della mamma che portano il colore della morte, cercando di compenetrare l'incomprensibile: vuole sondare l'inaccessibile e nel mentre “esondano” i suoi sentimenti, accompagnati da espressioni contrite e da un sentore di lacrime che aleggia intorno. Catarsi più che liberazione, cercando di sopravvivere al veleno che dilania la carne di chi abbandona e di coloro che rimangono.

Non ci vengono risparmiate le immagini di un corpo inerte nella camera mortuaria e poi sigillato dentro la bara, quello della stessa donna che mesi prima sentiva le forze abbandonarla mentre lei desiderava “alzarsi, andare, fare”. Per lei il figlio aveva affrontato un viaggio forse assurdo, comandato dall'indomabile ed istintivo richiamo della speranza, recandosi fino in Albania in cerca di un misterioso medicinale Cubano a base di estratti di veleno dello Scorpione Azzurro.

Ogni tanto tra i fotogrammi compare Senzani, il “Marxista guerrigliero” che ora ha il “sangue buono” e difatti le zanzare, che per decennni lo hanno evitato, lo prendono d'assalto: un comunista, come quelli che – diceva Margherita - impedivano alla Madonna persino di apparire, un uomo deciso e convinto della sua scelta di lotta armata mai condivisa da una “compagna di vita” che pure ha scelto di aspettarlo per anni, in solitudine, e poi lo ha dovuto abbandonare repentinamente, suo malgrado, diventando cenere e petali di fiore che ora “sono mare”.

E' un cinema viscerale quello di Del Bono, che fonde teatro e vita, che ospita immagini della città terremotata de L'Aquila come un simbolico parallelo di decadenza e di abbandono e che lega tra loro testimonianze spaesanti, talvolta persino agghiaccianti, come quella di Senzani sull'omicidio Peci, un uomo le cui speranze svanirono nell'urlo di un istante, di un colpo secco, lasciando in ricordo la miseria di una sola fotografia.

Sangue” è una riflessione generosa sulla vita e la morte, su fede e religioni, sull'essere umano, su inferni reali e paradisi inventati, sulla rivoluzione e la lotta armata, certo vaga ed imprecisa ma densa di calore e vogliosa di offrire e condividere; forse distante da un risultato cinematografico compiuto ma encomiabile nella sua passione prorompente e per la libertà attraverso la quale va oltre gli squallidi tabù sulla morte o sugli anni di piombo, forte di un coraggio cristallino che rende di fatto incomprensibile qualsiasi becera polemica abbia accompagnato il cammino di questa pellicola.


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