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domenica 26 gennaio 2014

NEBRASKA di Alexander Payne


Woody Grant (Bruce Dern) è un anziano signore che vive a Billings, nel Montana, ed è convinto di aver vinto un milione di dollari: questo dopo aver ricevuto una di quelle lettere truffaldine - inviate a centinaia di migliaia di persone nel mondo - che, in caso di fortunata estrazione, promettono simili somme in “regalo” purchè venga sottoscritto un abbonamento ad una rivista, oppure acquistato qualche trattamento di bellezza.

Woody ha un passato da alcolista e non di rado tende ancora ad attaccarsi al collo della bottiglia.

Forse - data anche l’età - non è più troppo presente a se stesso; comunque ritiene di avere un premio da ritirare e che non ci si possa fidare delle poste per farselo recapitare. Prova dunque ad incamminarsi – addirittura a piedi - verso gli uffici che dovrebbero liquidargli la somma e che hanno sede a Lincoln nel Nebraska, distante diverse centinaia di miglia da casa sua.

Sua moglie Kate (June Squibb) va su tutte le furie e sbraita a gran voce mentre i due figli rimangono in un primo momento sconcertati: Ross (Bob Odenkinrk) sembra aver tempo ed attenzione solamente per la sua carriera televisiva e ritiene che forse sarebbe giunto il momento di valutare come soluzione un casa di riposo; invece Dave (Will Forte), si dimostra molto più comprensivo ed in cuor suo ritiene che tutto questo non sia nient’altro che l’ultimo escamotage di un vecchio - annoiato e vicino alla fine dei suoi giorni – impegnato a procacciarsi un buon motivo per vivere.

Difatti, quando il padre gli avanzerà la più elementare delle richieste (“portamici tu!”), Dave non ci penserà due volte ed accetterà di accompagnarlo a destinazione, cogliendo al volo l’occasione per passare un po’ di tempo assieme a lui.

Alexander Payne con “Nebraska” lascia affiorare le tematiche intimiste a lui care da sempre, proponendocele stavolta con un rigore formale differente o, “se preferite”, il migliore mai raggiunto, in virtù anche dell’ottimo lavoro di Phedon Papamichael alla fotografia , che illumina la sua storia con un bianco e nero affilato e risplendente.

I protagonisti sono persone normali che trasudano varia umanità, declinandola con ironia e colorite fioriture popolari. A completare un quadro di contagiosa e sfumata surrealtà ci sono vaghe note di noia, rimpianto e qualche punta di cattiveria.

La sceneggiatura di Phil Johnston e Bob Nelson si fa forte nei dialoghi scabri, essenziali e privi di ridondanza. Per il viaggio di padre e figlio è previsto dal soggetto un prolungato intervallo nella città di Hawthorne, durante il quale avrà luogo una singolare ed inaspettata riunione familiare che non terminerà precisamente con baci, abbracci ed arrivederci.

E’ laggiù, dove Woody è nato e cresciuto, che questi incontrerà persone che non vedeva da anni e riaffioreranno vecchie memorie ed ombre del suo passato, ridotto oggi in gran parte a niente altro che un mucchio di legna ed erbacce (e comunque, “quel che non si ricorda più oramai non ha importanza!”)

Payne - anch'egli originario del Nebraska e precisamente di Omaha - ha grande dimestichezza nel raccontare “inezie di grande rilievo”, con il massimo della semplicità.

Forte di una abilità rara nel dare concretezza visiva alla sua sensibilità, sottolinea ogni piccolo gesto e le diverse sfumature dei legami affettivi e, nella fattispecie, usa l’attitudine registica per rovistare tra le verità del tempo, nella vita che procede per “solitudini parallele” e tra vecchie case in rovina.

Nebraska” tenta di farci ascoltare il rumore fioco e leggiadro di tutte le piccole cose che rendono (o renderebbero) bella e felice la vita, che si tratti anche solamente di un compressore o di un furgone (usato); ci dice che “la luce” non brilla a nostro piacimento ma spesso solo nello spazio di fugaci “interiezioni”, momenti in apparenza irrilevanti e molte volte inaspettati: avrete certamente modo di notare – tra gli altri gustosi episodi - la passeggiata di Woody sul viale poco prima della fine o quando questi, in un locale gremito di persone, riceverà quasi per equivoco applausi fragorosi ed insolitamente inebrianti.

Payne ed il suo cast portano in dote al film una carica di ilarità che si dispiega in una sequela di piccoli scambi, di battute fulminanti e deliziose, che riescono a strapparci riflessioni e grasse risate persino tra le lapidi di un cimitero.


Esemplare sembra essere la compiutezza raggiunta nel cantare le sventure e le impercettibili fortune dei personaggi minori, quelle “piccole esistenze rivelatrici” che scolorano nella folla, motivo per cui “Nebraska” si propone tre le espressioni migliori di un cinema capace di trarre da dettagli infinitesimali dei significati universali, ripescandoli nella confusione informe e rumorosa del mondo, laddove vagano spesso inosservati senno e saggezza, scontenti e scoramenti, dolori soffocati ai quali dare voce.

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