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martedì 7 gennaio 2014

CLIP di Maja Milos


Jasna e le sue amiche: dai banchi della scuola alle feste passano le giornate adocchiando e cercando di abbordare i ragazzi.

Sui tacchi alti e colorati si nota meno la cellulite: l'atteggiamento è spavaldo e la guisa scimmiotta quella delle puttane. Fumano, sniffano cocaina, bevono e tra le mani hanno sempre l'immancabile telefonino.

Dalla Serbia con squallore: “Clip” è un ritratto inquietante della regista trentenne Maja Milos (premiato nel 2012 al Festival di Rotterdam con il Tiger Award) che punta gli occhi sugli adolescenti del suo Paese, stretti tra noia ed eccessi, apparentemente forti e baldanzosi ma infinitamente vulnerabili a causa dell'inesistente coscienza interiore e di una scarsa consapevolezza del mondo che li circonda.

Protagonista è Jasna (Isidora Simijonovic) che, come altre della sua età, cerca di stimare il suo valore da quanto riesce ad esser provocante e competitiva con le amiche postando le sue immagini sui social-network oppure “accaparrandosi” il ragazzo più attraente (Djole/Vukasin Jasnic), prendendoglielo in bocca nei bagni della scuola senza stare troppo a pensarci sopra.

Intorno a lei i coetanei non sono meno disorientati: fanno irruzione notturna nei locali della scuola o tirano banchi dalle finestre alla luce del giorno.

Balli e cori, discussioni, risse o atti sessuali: ogni cosa o azione - che sprigioni vitalità o sia totalmente priva di senso, non importa - viene immortalata nei video girati attraverso l'obiettivo degli inseparabili telefonini, in uno stato di noia (e)statica.

Dopo il “Bling Ring” di Sofia Coppola, testimonianza cinematografica di ragazzi che, come fossero state “gazze ladre” rubavano – preda di qualcosa ben più preoccupante che un semplice raptus ipnotico - oggetti luccicanti e griffati con il nome delle grandi marche, ecco l'altra faccia della “civiltà dell'immagine e del nulla” che cresce e vorrebbe disperatamente prender forma senza riuscire a trovarla, costretta ad accontentarsi di scadenti gratificazioni - reggiseni appuntiti e magliette di bancarella – ed attesa al rientro a casa da appartamenti poco accoglienti, dove li aspetta il confronto con gli “irritanti” problemi familiari.

La Milos descrive senza remore e con estrema efficacia questi giovani “in latitanza permante da loro stessi”, incapaci di toccarsi “dentro” o di ardere nel contatto fisico, ignari di come comunicare o consolarsi e che sanno tirarsi su il morale solo offrendosi l'un l'altro l'ennesima pista di cocaina, che usano il loro corpo come fosse solo un accessorio, distante dal loro tessuto arterioso e totalmente disconnesso dai propri sentimenti.

La scelta stilistica di “Clip” è coraggiosa, estrema nella forma per quel che sono i canoni consueti del cinema commerciale: mostra senza paura il sesso orale e la crudezza dei rapporti di ogni tipo; sosta insistentemente nel vuoto che abitano i suoi protagonisti, mirando anche a trasmettercene il senso agghiacciante di monotonia e spaesamento.

Lo sguardo spietato nel descrivere il mondo dell'adolescenza ricorda Larry Clark o Harmony Korine ma senza il loro compiacimento voyeuristico, né l'appariscenza; in più qui si certifica il bisogno crescente dei ragazzi - non sempre giustificato - di riprendere ogni cosa, l'affermazione – come fosse indispensabile – di un mondo alternativo virtuale, di un immateriale rifugio dove “recarsi” per cercare effimere soddisfazioni, che diviene consueto destinatario e nuovo custode designato di ogni frammento pubblico o intimo del quotidiano.

Nel vuoto pneumatico non sembrano scorgersi segnali di speranza ma dal grigiore generale sentiamo salire flebili lamenti di dolore. Questi ragazzi non sembrano privi di sentimento ma incapaci di averne consapevolezza, del tutto inadatti a perseguire e realizzare le loro stesse aspettative, disorientati nei desideri e nelle ambizioni e costretti a trovare realizzazione e stima per se stessi o per gli altri mediante atti confusi e ripetitivi, abitudinari, spesso degradanti o privi di senso, connessione o continuità con il contesto generale della loro realtà.

Bellezza e felicità, desiderio e passioni, sembrano chimere o stelle comete non solo distanti anni luce ma persino invisibili ai loro occhi che - come quelli di Jasna quando vengono immortalati dalla camera della Milos - comunicano un senso di impotenza e di tristezza che fa male ed al tempo stesso ci rivolgono una implorante richiesta di aiuto, che fuoriesce come da un assurdo ed apatico silenzio.

Belgrado è lontana, ma non sarebbe per nulla fuori luogo identificare in quel desolante paesaggio di nulla e di cemento un parallelo con le periferie delle nostre metropoli, specchiarci dentro i disagi delle nostre generazioni dal presente perduto e dal futuro imperscrutabile, abbandonate da coloro che hanno ancora più colpa, sarebbe a dire da una società egoista e distratta e da chi avrebbe dovuto fornirgli il necessario aiuto a farsi strada nel mondo, in primo luogo i genitori ed i parenti più stretti.

Adolescenti teneramente spacconi, intrappolati nel reale come nel virtuale ma soprattutto nell'incapacità di decodificare il mondo e se stessi, mortificati nella ripetizione meccanica e dalle umiliazioni alle quali si sottopongono senza nemmeno comprenderne appieno i danni, per nulla interessati a sapere che giorno è oggi e quale anno sarà domani.

Ragazzi con la vita frammentata come le piccole “Clip” che girano e continuamente depositano nel mondo parallelo di internet si dimenano come in gabbia ma illusi di esser liberi, a volte collidono con ferocia e usano violenza tra di loro; sboccano sangue e con le labbra rosse di rabbia o che alitano desiderio ora si baciano: certamente torneranno poi a picchiarsi oppure a baciarsi ancora.


Forse davvero non avvertono nessun dolore, ma nemmeno hanno qualcuno accanto che sia in grado di dirgli che potrebbero cominciare ad esser felici se solo potessero provarne.

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