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giovedì 30 gennaio 2014

DALLAS BUYERS CLUB di Jean-Marc Valleè


Ron Woodroof (Matthew McConaughey) è un elettricista che vive le sue giornate affaccendato tra rodei e scommesse, cercando di far cadere le donne nel suo letto ed ingurgitando droghe, assieme a generose sorsate di alcool.

Poi un bel giorno crolla in terra e i medici dell'ospedale gli dicono che, per esser ancora vivo, il numero dei suoi linfociti è sorprendentemente poco nutrito, che ha contratto il virus dell' “H.I.V.” ed ha “trenta giorni al massimo per sistemare le sue cose”.

E' il 1985 e le cure ufficiali a disposizione sono poco più che un placebo; in alternativa è possibile sottoporsi a sperimentazioni rischiose (se non addirittura dannose, come quella con l’antivirale’ “AZT”).

Ron però è quel tipo di uomo che ritiene sia meglio “morire con gli stivali” addosso piuttosto che andarsene un po' alla volta, attaccato ad una flebo di morfina; così comincia ad erodere velocemente il terreno della sua scarsa conoscenza e con grande ingegno e forza d'animo lotta per guadagnarsi anni “supplementari” di vita (vivrà fino al settembre del 1992), trovando il modo di procacciarsi per proprio conto delle medicine in grado di garantirgli la sopravvivenza e cure efficaci.

Dallas Buyers Club” di Jean-Marc Vallèe è tratto da una storia vera ed ha come protagonista un Matthew McConaughey talmente innamorato e “devoto” alla sceneggiatura (di Craig Borten e Melisa Wallack) da essersi sottoposto per mesi ad una dieta ferrea, dimagrendo oltre venti chili per divenire estremamente credibile nel suo ruolo.

La gestazione del film non è stata esente da grandi difficoltà: prima di trovare qualcuno disposto a metter a disposizione i cinque milioni di dollari necessari a produrre la pellicola si sono succeduti oltre un centinaio di rifiuti, dovuti forse alla scomodità della tematica, che racconta gli inizi del dilagare dell’ A.I.D.S. come “paura di massa” (il 1985 è l’anno in cui morì Rock Hudson) ed i loschi interessi delle case farmaceutiche connessi all'estendersi del virus.

L' “angelo salvatore” di Woodroof vive in messico e veste i panni di un medico radiato dall'albo tre anni prima. Contemporaneamente negli U.S.A., a far da sfondo alla storia, vediamo prodursi in un “balletto mortale” - sulla pelle di pazienti valutati “diecimila dollari l'anno” - la “Food and Drug Administration” e le grandi aziende in competizione nell'accaparrarsi i profitti derivanti dall' enorme “business della cura”.

Viaggiando tra Giappone ed Israele, dalla Cina ad Amsterdam e seguendo l'esempio di altri che l'hanno preceduto in Florida ed a New York, Ron metterà in piedi, tra varie difficoltà, un “club di compratori” (cittadini-malati si iscrivono e diventano soci, conseguendo il diritto a ricevere un kit di farmaci pro-capite)

Diventerà di fatto uno “spacciatore illegale di medicine”, ovvero guadagnerà denaro salvando al tempo stesso vite umane – numerosi saranno coloro che verificheranno l'efficacia delle cure – muovendosi al limitare di una legge commista a troppi interessi, semplicemente priva di buon senso o del più elementare rispetto verso i suoi cittadini.

Assieme a Rayon (Jared Leto), un travestito conosciuto in ospedale, Ron supererà di gran lunga la soglia dei “trenta giorni” (ed anche gran parte dei suoi pregiudizi omofobi da bullo maschilista) e riuscirà ancora una volta a cavalcare un toro, a bere una birra o portare una donna a cena davanti ad un buon bicchiere di vino, conquistando preziosi scampoli di vita e felicità che sembravano essergli preclusi per sempre.

Dallas Buyers Club ha una sua forza viva anzitutto nella prova di Ron e Rayon, i suoi emaciati e consunti protagonisti , che sprizzano piccole scintille di buon cinema fin dal loro incontro tra i letti dell'ospedale.

Con buon senso d'equilibrio Vallèe riesce a tenere a bada gli eccessi del prorompente e rinato McConaughey (una vera e propria seconda carriera dopo il “Killer Joe” di Friedkin) ed anche a non enfatizzare troppo la parte del racconto che riguarda i grandi interessi di denaro, puntando più sulle sfumature umane che non sulle invettive accusatorie, politiche ed economiche.

Poggiando molto sulla figura di un “santo e truffatore” come quella di Woodroof - e senza tentare di volerne smussare i lati meno edificanti - il risultato finale risulta “sporco” al punto giusto e privo di “facili lacrime” e sdolcinature.

Dallas Buyers Club” è un film che usa il cinema anche come veicolo d'informazione e di denuncia, ponendo efficacemente l’accento su come, irresponsabilmente, “piccoli e grandi avvoltoi” di varia stazza releghino in secondo piano la vita delle persone al fine di raggiungere i propri interessi.

Valleè non disdegna di regalarci una “carezza” in mezzo a tanta spregiudicatezza e sofferenza: occupa lo spazio di appena pochi secondi ma è piacevolmente evocativa un'immagine che vede stringere il campo su McConaughey, esitante nella penombra di luci artificiali e soffuse, mentre annusa la vita ed è circondato dal battito d'ali di mille farfalle.

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