VISITATORI

venerdì 10 gennaio 2014

IL CAPITALE UMANO di Paolo Virzì


Il capitale umano” è il titolo di un romanzo di Stephen Amidon.

Paolo Virzì trae da questo libro le basi per il suo nuovo film, trasferendone l'ambientazione dall'America del Connecticut al piccolo paese – immaginario - di Ornate in Brianza, limando il racconto e ricreandone i personaggi con l'aiuto in sceneggiatura di Francesco Bruni e Francesco Piccolo.

Dei cento colori scoppiettanti delle sue precedenti commedie il regista Livornese trattiene solamente “un po' di giallo e di nero” e confina il suo racconto in un perimetro delimitato, dentro il quale si agitano “spiriti” claustrofobici ed invisibili: ansia, competizione ed incertezze, mercati “volubili”, gli impatti inaspettati delle “maggiorazioni sballate”, rendite instabili per “posizioni” incerte.

Dino (Fabrizio Bentivoglio), Carla (Valeria Bruni Tedeschi) e Serena (Matilde Gioli) osservano il mondo con occhi diversi ed il loro approccio alla realtà è quel che ne consegue. Il primo è disposto a giocarsi tutto - persino il destino della propria famiglia - pur di arrivare a guadagnare soldi facili: vanno bene le “regole” che più possono fargli comodo a seconda dell'occasione, senza curarsi minimamente della correttezza o della dignità. L'altra rischia l'asfissia nel suo recinto ovattato e protetto e cerca di uscirne muovendo passi incerti in direzione di smarrite sortite filantropiche ed estemporanee escursioni sentimentali. Infine la più giovane: ha assaggiato già il sapore scipito del denaro (con annesso l'odore degli interni in pelle ed il canto del motore del fuoristrada) e le è bastato guardarsi dentro un disegno - un ritratto bello e crudele – per tornare indietro, verso l'istinto sopito ed i palpiti del cuore.

Dino Ossola, immobiliarista cinquantenne, è il padre di Serena ed è sposato con Roberta (Valeria Golino), che non è la madre della ragazza e di mestiere fa la psicologa. Carla invece è la moglie del ricco e spregiudicato finanziere Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), il cui figlio Massimiliano (Guglielmo Pinelli) ha una relazione con Serena.

La loro storia gira attorno ad un incidente stradale notturno del quale è stato vittima un cameriere che - tornando dal lavoro in bicicletta - viene investito e lasciato agonizzante ai margini dell'asfalto. Di come siano andati davvero i fatti occorsi a questo personaggio “dimenticabile” (paradossalmente presto dimenticato anche dallo spettatore, nonostante sia il fulcro della vicenda) vengono rilasciati particolari “in piccole dosi” lungo la pellicola, suddivisa in tre capitoli che ogni volta ripercorrono quanto accaduto – e non soltanto – cogliendone la prospettiva dalle diverse angolazioni dei protagonisti, fino ad arrivare all'esito finale.

Lentamente salgono in superficie suggestioni che creano malessere e piccole malinconie di fronte alle quali ci sentiamo impotenti e prigionieri. Virzì più che cementare il filone dell'investigazione e del mistero - del quale si occupa per lui un accigliato commissario dalla barba incolta (Bebo Storti) - sfrutta tutto quanto la situazione generale può offrirgli per osservare introspettivamente le persone dal punto di vista umano ed offrire nel contempo un quadro complessivo del Paese-Italia e delle azioni/relazioni di chi ci vive e ne disegna il frastagliato profilo.

Auto scure ed eleganti salgono in fila avanzando nella neve lucida e bianca, portando al tavolo delle riunioni affaristi sempre più somiglianti a giocatori d'azzardo; istituzioni distratte lasciano che i teatri divengano fatiscenti, immaginando per locali gloriosi che furono calcati da attori famosi ed ospitarono sul palco opere importanti solamente improbabili suddivisioni in appartamenti da vendere, l'ennesimo supermercato o frettolose ristrutturazioni dove ospitare poi cori di “voci padane”: a discutere del futuro incerto dell'arte aspiranti attrici che tempo addietro hanno rinunciato alla loro occasione, “dilettanti della realtà”, finti innamorati della prosa e falsi romantici della vita, recensori annoiati e caustici della “Pre-Alpina”.


Virzì si abbandona scientemente ad un fruttuoso “spaesamento”, lontano da set e luoghi amici, da vecchi vezzi ed abitudini collaudate e si incammina con successo verso un orizzonte stilistico differente, colpendo il bersaglio nel tratteggiare nefandezze e debolezze, schierando in campo buoni e cattivi senza distinzione alcuna di casta o di classe sociale, lasciandoci osservare come la posta in gioco venga vinta o perduta nel rimescolarsi di avvenimenti concatenati e sui quali spesso non è possibile avere il controllo assoluto, alludendo al “Capitale umano” non solo come la negoziazione del valore trattato quale risarcimento dalle compagnie assicurative ma anche come il prezzo salato che puo' trovarsi a pagare un singolo ragazzo o persino una intera Nazione sulla cui rovina altri hanno scommesso senza scrupoli.   

Nessun commento: