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giovedì 9 maggio 2013

MUFFA di Ali Aydin


Negli anni novanta, durante il conflitto Turco-Kurdo, molti giovani oppositori del governo di destra scomparvero misteriosamente.
A partire dal 28 maggio 1995, le madri di questi “kayip” (scomparsi) cominciarono a riunirsi in piazza ad Istambul.
Per molti anni da quella data – all'incirca quattro - tutti i sabati si ritrovarono assieme per manifestare il loro dolore e cercare di attirare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla scomparsa dei loro cari e sulla colpevole sordità delle istituzioni. Nel 2009 sono tornate a riunirsi ed ancora lo faranno.
Di questi “ennesimi desaparecidos” - dei quali molte persone nel  mondo nemmeno sospettano l'esistenza -  vuole oggi parlarci il giovane regista  turco Ali Aydin (classe 1981) con il suo film “Küf  - Muffa”, presentato alla 27^ Settimana della Critica e vincitore del premio “Opera Prima” all'ultima Mostra del Cinema di Venezia.
La sua pellicola  non rievoca gli avvenimenti nè assembla materiale di informazione o di repertorio: dei fatti salienti si accenna in  poche righe scritte e giusto in apertura. Molto più semplicemente “Küf” si concentra sul suo protagonista Basri (Ercan Kesal), un impiegato delle ferrovie addetto al controllo dei binari, che da diciotto anni scrive petizioni al governo per avere notizie del figlio Seyfi, misteriosamente scomparso, ricevendo in cambio derisorie risposte e sevizie clandestine.
Basri è anche vedovo e la sua vita è oramai ridotta ad un cammino solitario tra le macerie del presente irrimediabilmente contaminato dagli inestinguibili ricordi  del passato che, in assenza di definitive certezze, non riescono a trovare quiete e per i quali lui cerca a tutti i costi un ragionevole riposo con ostinata tenerezza.
Nella casa dove vive da solo l'unica voce che gli tiene compagnia è quella della vecchia radio lasciatagli proprio dal figlio e dalla quale arrivano – rivolti soprattutto a noi spettatori - echi frammentati che rilasciano indizi sulla Turchia d'oggi ancora ostaggio dei pesanti e poco onorevoli fardelli della sua storia recente e per questo motivo  incapace di accorciare la distanza che la separa da un  futuro comune con l'Europa.
Nel film di Aydin vediamo muoversi intorno a Basri – e non sembra essere un caso -  una società ostile e piuttosto arida,  tutta declinata al maschile e dove le figure  ambigue e profittatrici sembrano essere le uniche ad occupare la scena.
“Küf” è un pedinamento doloroso e devastante lungo i binari dell'esistenza del suo protagonista, un percorso che appare senza una vera via d'uscita e che è tenuto vivo soltanto da una speranza sterile e testarda, destinata  presto o tardi a dover fare i conti con un tragico epilogo, ma che risulta esser l'unica guida possibile in una vita decapitata da un avvenimento brutale  quale è la repentina scomparsa di un figlio, senza alcuna spiegazione.
Aydin utilizza le armi della rarefazione del tempo e di gesti ed immagini compassate per rendere ancora più spossante e penoso il nostro approccio a questo tipo di realtà, immergendoci in un dramma dimenticato e lontano, avvicinandoci alla conoscenza di ferite profonde e  mai rimarginate che questa pellicola spera forse di riportare all'attenzione della distratta coscienza collettiva.
Inquadrature fisse e dialoghi secchi come quelli dove Basri si ritrova faccia a faccia con il Commissario (Muhammet Uzuner) ne sono un esempio.
Manca forse qualche lampo accecante, una qualche immagine o una gemma preziosa che ci venga offerta da qualcuno degli attori protagonisti –  peraltro tutti molto bravi – e che possa rendere indimenticabile questo racconto  e la sua ineludibile tristezza.
Comunque, nella sua angosciante linearità, “Küf” risulta  impeccabilmente pulito, simbolicamente doloroso e bello.

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