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giovedì 18 aprile 2013

UN GIORNO DEVI ANDARE di Giorgio Diritti


Dopo la morte del padre e lasciatasi alle spalle un matrimonio finito Augusta (Jasmine Trinca), una ragazza di trent'anni,  abbandona l'Italia e naviga il Rio Negro assieme e Franca (Pia Engleberth), una suora che dal santuario di San Romedio (Trentino) si è spinta  fino al Sud America per evangelizzare gli Indios.
Augusta però è in cerca di un senso per la sua vita che trascenda la religiosità e forse ha bisogno di trovar prima se stessa per poter poi sentire Dio bussare alla sua porta, così lascerà la sua compagna di viaggio per trasferirsi a Manaus tra gli uomini, le donne ed i bambini che vivono nella comunità della favela.
“Un giorno devi andare” - il nuovo film di Giorgio Diritti – ha un “abbraccio ampio”,  che va dal pensiero laico a quello religioso: guarda alla violenta grandezza della natura quanto alla sua inarrivabile bellezza, congiungendone il respiro con quello delle storie distanti che affollano il mondo e talvolta si sfiorano soltanto - o sono “connesse” senza neppure saperlo - mentre altre volte finiscono per incontrarsi.
Quella di Augusta è raccontata attraverso  una alternanza continua tra Manaus e l'Italia,   dove vive la madre della ragazza.
Così  facendo affiora visibilmente il loro rapporto sofferto che sta cercando ancora di rispondere alle travolgenti interrogazioni del dolore – la scomparsa per l'una del padre e  del marito per l’altra, oltre alla reciproca lontananza -  ed anche la necessità per gli esseri umani – in alcuni casi inderogabile - di non rimanere obbligatoriamente ancorati al vincolo degli affetti quando ad altro chiamati per ritrovare lo slancio perduto: perché la vita deve fluire ed il cordone ombelicale, quando è il momento, deve esser tagliato, persino quello con Dio se non sentiamo più “la sua voce”.
La protagonista del film di Diritti  avverte forte il bisogno di “dover andare, di dover essere e di dover sperare”, fino a spostare l’epicentro della sua vita in un posto certo non adatto ad una donna ma dove anche il solo fugace incontro con gli occhi di una piccola bambina che “bruca” chicchi di riso dal tavolo potrebbe avere il potere di “adescarla nuovamente alla vita”.
Piu' che di risposte, per replicare all'abitudine che appiattisce il quotidiano, la vita ha urgenza della tensione delle domande e questo il regista Bolognese sembra saperlo fin dall'inizio della sua carriera, non tradendo certo in questa occasione le sue convinzioni.
Aiutato da una Jasmine Trinca bravissima e finalmente matura, soprattutto dai suoi tanti volti muti ma decisamente espressivi,  perduti tra continui tormenti e sporadiche estasi,  “Un giorno devi andare” procede  componendosi in  una elegia cinematografica dove però né l'angoscia, né la malinconia riescono mai a prender  il sopravvento.
Molto più di Malick e del suo “Albero della vita”, Diritti riesce a cantare l'armonia e la sofferenza del mondo, interrogandosi sui dubbi che mettono a repentaglio il senso stesso della vita ed unendo questi alla maestosità della natura, certo adottando uno stile piu' “docilmente” narrativo e meno pretenzioso di quello del regista americano ma raggiungendo di contro una maggiore compiutezza  e, pur partendo da una storia comune, estendendo il valore dei suoi contenuti verso una ampiezza di tipo universale.
Lungo il cammino di questa storia echeggiano “voci indefinite, sospiri e richiami della vita”, accenni importanti sul sentimento ferito di una comunità di persone minacciata dai soliti interessi economici o dalle disattente politiche di governo. Poco lontano dalla favela, appena oltre il confine del campo da calcio circondato dalle palafitte piantate sul fiume, svettano i grattacieli che  sembrano osservare muti e possiamo provare ad immaginare le persone che li abitano: certo ci somiglieranno un po'!
Ad Augusta bastano un paio di piatti da orchestra ed un corteo spontaneo in strada per formare una banda musicale gioiosa e metter da parte il dolore; il tempo di una corsa sulla spiaggia con un bambino a far riaffiorare il sorriso sulle labbra assieme alla giocosità misteriosa ed intermittente della vita.
In un film molto bello, che offre spazio ed accoglienza a significati non necessariamente ancorati ad una confessione religiosa - ma semmai profondamente insiti nella natura stessa dell'essere umano - la preghiera piu' bella è del tutto laica e la troviamo  quasi alla fine della storia, relegata nel silenzio della veglia in un ospedale.   
Persa tra gli alberi e sotto nuvole enormi, la vita di Augusta – come quella di ognuno di noi -   è come una piccola barca che naviga il fiume ed a tratti potrebbe ritrovarsi arenata tra le secche: da qualche parte però presto pioverà ed alzandosi l'acqua farà tornare a scorrere i giorni verso un orizzonte indecifrabile ma sempre incredibilmente vivo.

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