Quale
il
messaggio
delle
nuvole?
Quali
i
segreti
dietro
il
colpo
d’ali
del
falco?
Queste
le
domande
ed
i
pensieri
di
un
pazzo
che
volle
farsi
“cavaliere
errante”
per
liberare
il
mondo
dalle
ingiustizie
e
dai
soprusi,
spazzar
via
i
vizi
e
riportare
in
terra
la
virtù,
i
valori
della
fedeltà
e
della
lealtà,
del
coraggio
e
dell’onestà,
andando
a
cercare
il
regno
di
“un’isola
meravigliosa”,
lontana
dal
mondo
e
da
tutti
i
suoi
guai.
Don
Chisciotte
segue
la
sua
urgenza
di
“raccontare
agli
occhi
tutto
ciò
che
nasconde
il
ventre
della
terra”
così’
come
Mimmo
Paladino
- esponente
della
“transavanguardia
italiana”-
asseconda
la
necessità
di
sovrapporre
e
transitare
il
suo
messaggio
artistico
verso
un
approdo
cinematografico.
Il
suo
“Quijote”
(presentato
nel
2006 al
Festival
del
Cinema
di
Venezia)
è
un’opera
anch’essa
errante,
tra
cinema
e
arte,
un
dialogare
di
linguaggi
differenti
che
segue
logiche
oniriche
e
fantastiche
molto
piu’
che
quelle
dell’omologazione
stilistica,
meno
che
mai
dei
suggerimenti
del
mercato.
Paladino
persegue
il
suo
obiettivo,
tira
dritto
senza
badare
a
molto
altro
che
al
suo
ideale
estetico
e
propone
una
sequela
di
visioni
d’arte
moderna
dove
incastona
i
suoi
“attori
serventi”
- tra
gli
altri
Peppe
Servillo
nel
ruolo
di
Don
Chisciotte
e
il
suo
fido
scudiero
Sancho
Panza
affidato
invece
ad
uno
stralunato
Lucio
Dalla
– usando
lo
schermo
come
fosse
una
tela
o
lo
spazio
buono
per
una
installazione.
Vengono
proposte un insieme di suggestioni che vanno dagli attraenti panorami
del Beneventano - terra di nascita del regista nato a Paduli –
fino agli echi letterari di Joyce, passando per la citazione
cinematografica di Ingmar Bergman e del suo “Il settimo sigillo”,
con la morte (che è “solo puntale e non certo spietata”)
impersonata da Remo Girone.
“Quijote”
e’
un
lavoro
fatto
di
figure,
ombre
e
paesaggi,
di
una
staticità
che
forse
alberga
impropriamente
il
territorio
cinematografico
e
sceglie
di
rinunciare
quasi
del
tutto
alle
sue
possibilità
dinamiche,
regalando
in
cambio
allo
spettatore
parole
auliche
o
popolari,
quadri
visionari
ed
estetici
dal
forte
gusto
pittorico.
Il
respiro
d’insieme
è
teatrale
ed
assieme
astratto
ma,
una
inquadratura
dopo
l’altra,
conquista
lo
spettatore
che
abbia
il
gusto
ed
il
piacere
di
abitare
quel
territorio
di
immagini,
rimandi
e
citazioni
che
scavano
e
ci
penetrano
con
ferma
ed
inarrestabile
convinzione.
“Quijote”
è
“cinema
d’artista”,
una
ibridazione
di
illusioni
pittoriche
e
composizioni
raffinate,
dove
trovano
posto
lo
sbigottimento
dell’uomo
che
guarda
alle
cose
attraverso
gli
occhi
di
un
gigante
o
di
un
pazzo
- fino
a
scorgerne
la
vera
natura
- assieme
allo
“stupore
e
la
meraviglia
del
mondo”,
che
rimandano
al
personaggio
di
Federico
II
(“Stupor
mundi”).
Don
Chisciotte ed il suo universo sono trasportati in una nuova
dimensione, in un gioco di contaminazione che corteggia occhi, mente
ed anima del cinefilo e dell’esteta.
Paladino
asserve
il
mezzo
cinematografico
al
suo
scopo
con
sufficiente
bravura
ed
una
dose
invidiabile
di
spericolato
coraggio,
cogliendo
un
risultato
dal
sapore
straniante
e
pure
coinvolgente,
capace
di
rileggere
una
figura
senza
tempo
utilizzando
nuove
coordinate
artistiche
di
indubbio
valore.
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