VISITATORI

lunedì 4 marzo 2013

THE SESSIONS di Bob Lewin


Mark O’ Brien (John Hawkes) divide il suo tempo steso sopra una lettiga o chiuso in un polmone d’acciaio. Il mondo esterno ha per lui dei limiti imposti in quanto a libertà e  possibilità di ampliarne la conoscenza.
Una acuta forma di poliomelite lo ha reso totalmente immobile e per lunghi tratti della giornata è schiavo di una macchina di ferro ma la sua testa pensa e ragiona come quella di chiunque altro, consentendogli ad esempio di frequentare con profitto l'università.
La sua bocca  non è paralizzata come il resto del  corpo, così può raccontare a coloro che gli vivono accanto dell’universo che è dentro di lui – anche questo solo parzialmente esplorato -  oppure semplicemente con un delicato sorriso riuscire a sottolineare gli infiniti accenti che le parole non riescono ad esprimere.
Alla soglia dei quaranta anni è ancora vergine -  nonostante abbia già provato a chiedere ad una ragazza di sposarlo - e sente crescere in lui una curiosità naturale ed istintiva alla quale vuole dare soddisfazione, non prima però di aver chiesto consiglio e “via libera” al suo prete confidente (William H.Macy), avendo ricevuto una educazione fortemente cattolica e professando ancora la sua fede. 
Una terapista sessuale  sensibile e particolare, una donna molto professionale di nome Cheryl Cohen Green (Helen Hunt) sarà uno dei suoi incontri più lieti ed è con lei che si addentrerà alla scoperta del suo corpo e delle possibilità di “comunicare , non solo fisicamente”, con quello di una donna.
Centra davvero il bersaglio il film di Bob Lewin, capace di muoversi tra argomenti scomodi - più di qualcuno sicuramente li definirebbe scottanti -  come sesso, handicap e religione, senza fuggire da questi  nè rifiutando in alcun modo di negare la realtà che compongono,  evitando di  mascherarla con inutili artifici e non tentando di rinchiuderla in improbabili nascondigli,  riuscendo anzi con efficacia a far emergere sostanza e verità.
Né un sorriso di troppo, né una sola lacrima vengono estorti a mezzo di facili pietismi,  semmai risulta  evidente una naturalezza invidiabile nel trattare la storia e di questa agiatezza della pellicola è Helen Hunt il più evidente biglietto da visita, che fa dono senza alcuna inibizione oltre che della sua ottima prova d’attrice anche  del  suo corpo nudo, bello ed a digiuno di incontri con il chirurgo plastico. 
“The sessions” – premiato dal pubblico al “Sundance” – parrebbe ad un primo sguardo solo il racconto di una singola esistenza - con i suoi risvolti  personali e le sue singolari eccezionalità - ed invece a ben vedere si spinge fino al punto di diventare una storia universale, in grado di cogliere aspetti comuni a tutti gli esseri umani e non soltanto di quelli alle prese con delle situazioni oggettive che li rendono “parzialmente diversi”, tenuti al margine da una società  pronta ad accogliere solo determinati standard di individui “privi di  complicazioni aggiunte”.
Mark parte avendo inizialmente come obiettivo quello di “toccare una donna e perdere la sua verginità” - conservata fin troppo a lungo - ma attraverso il rapporto con Cheryl otterrà qualcosa di molto più autentico e si ritroverà a dover addirittura considerare che, come il sesso, “altre cose gli sono piaciute allo stesso modo”, come a voler in fondo significare che non era certo quella l’unica vetta da scalare o da raggiungere.
In un motel, come  amanti clandestini qualsiasi, i due protagonisti esploreranno i punti cardinali della sfera emozionale dell’uomo che sono gli stessi per chiunque e prevalentemente oscillano tra  amore, affetto, commozione, sesso e tenerezza.
Nell'insolito rapporto Cheryl conduce da “esperta” Mark alla scoperta del corpo di entrambi non senza dover constatare alla fine di aver ottenuto anch’essa qualcosa di molto rilevante nello scambio, ad esempio dalle parole del suo “paziente/cliente” che volano alte ben al di sopra dell’immobilità dei suoi arti e si tramuteranno per lei in violente scosse emotive.
“The sessions”, oltre a saper aggirare molto bene e senza alcun inciampo ogni dettaglio moralistico e convenzionale,  racconta l’amore e l’attrazione dell’essere umano nelle sue  molteplici forme che non si fermano certo al mero piacere fisico, mettendo in campo tutte le sue  complicate “negoziazioni”, gli imbarazzi, i rifiuti e non ultime le inaspettate scoperte e gli incontri - anche fortuiti e forniti all'improvviso dal destino - che rendono ogni esistenza un viaggio incredibile, sempre aperto alla  speranza per tutti.
Il film di Lewin – al quale il regista offre probabilmente un approccio corredato di una consapevolezza ed una  sensibilità determinanti, essendo anch’egli affetto da una forma meno grave di poliomelite - è liberamente ispirato alla vita del vero Mark O’Brien, un poeta e giornalista immobilizzato dalla malattia fin da bambino.
La sua vita  fu già portata all’attenzione del pubblico  da Jessica Yu, vincitrice dell’oscar di categoria nel 1996 con il corto-documentario “Breathing Lessons”;  stavolta la genesi parte da un articolo dello stesso O' Brien dal titolo  “On seeing a sex surrogate”.
Magari  “The sessions” non sorprende per la sua fattura e per dirla tutta  nemmeno affonda appieno tra gli infiniti spunti di riflessione che il tema offrirebbe ma senza dubbio stupisce per la sua leggerezza unità alla buonissima incisività, oltre alla totale assenza di elementi ipocriti e ricattatori, proponendosi come una piacevole escursione cinematografica perfettamente in equilibrio tra commozione, riflessione ed una inaspettata spensieratezza. 

Nessun commento: