Claire
(Marie Gillian) e Philippe (Vincent Lindon) sono
due magistrati che ancora
credono nella giustizia e che “un caso”, del Tribunale di Lione e
non solo del destino, mette in relazione.
Nascerà
tra loro una sorta di amore inconfessato e platonico, bello ed
intenso ma funestato ed al
tempo stesso arricchito dalla realtà che preme ai suoi confini.
Irrompe
subito una malattia fulminante (un blastoma al cervello) che di colpo
sconvolge l’esistenza e muta ogni prospettiva
mentre funge da collante la lotta appassionata e professionale
contro i contratti capestro degli istituti di credito che applicano
agli sprovveduti clienti tassi da usura.
Minacciosi
inganni sperduti nel testo si nascondono nei caratteri a “corpo
cinque”, raggiri ignobili dei quali però il credito al consumo
Francese (e di qualunque altra nazione) non può fare a meno per
consentire al proprio “Pil” di respirare indispensabili boccate
d’ossigeno, non sapremmo quanto davvero salutari e soprattutto per
chi.
Di
queste “trappole legali” fa le spese in prima persona Cèline
(Amandine Dewasmes) la cui piccola bambina frequenta le scuole
assieme alla figlia di Claire e che, inseguita dai creditori che
prima le avevano concesso “facile accesso alle riserve di denaro”
oltre che da uno sfratto, prima intimato e poi reso esecutivo,
finirà per diventarne amica e poi addirittura una particolare
“sostituta o erede”.
Nel
suo “Tutti i nostri desideri” Philippe
Lioret mette in campo “elementi densi e di grande rilevanza umana”,
che possano dar fuoco alle polveri della sua pellicola la quale, con
tutta evidenza , vuole offrirci in egual misura una storia
sentimentale, predestinata fin da principio alle lacrime,
intersecandola con tematiche sociali di più ampio raggio.
Per
buona parte del film questo cammino parallelo sembra marciare in
maniera sufficientemente credibile e spedita e riuscire a soddisfare
la condivisione dei suoi comuni intenti, dando vita ad un racconto
commovente quanto interessante per la sfera delle riflessioni che si
propone di esplorare in ambito di giustizia, diritti e vita della
collettività.
Scartabellando
tra le carte della legge e
frapponendosi al potere soverchiante dei codici e dei cavilli i
protagonisti del film individueranno persino una sorprendente via
che possa ottener salvezza per le vittime, fingendo di chieder alle
istituzioni tutela a riguardo della concorrenza sleale tra i
carnefici.
Anzi,
per dire il vero, questa brillante idea diverrà una sorta di
regalo di addio, il dono generoso di chi, tra i protagonisti della
vicenda, è chiamato a reggere in solitaria tutto il peso
scompensante del dolore unito al silenzio, costretto ad una
marginalità forzata quanto insopportabile da un ruolo non scelto è
che, suo malgrado, è chiamato a recitare.
Nel
frattempo aleggiano attorno al racconto riflessioni sul superfluo
e su come solo quando la fine ci sembra più vicina comprendiamo di
aver fatto solo la metà delle cose che avremmo voluto realizzare
nella vita; piccoli quanto grandi lancinanti segnali di sconforto
arrivano mentre passivamente osserviamo i nostri figli dedicare
troppo tempo alla televisione, ora che siamo dolorosamente in grado
di meglio constatare il tempo vitale che a quell'inutile altare
stanno sacrificando.
Tutti
questi pensieri vorrebbero ed in verità dovrebbero mischiarsi, anzi
addirittura coagularsi, con il quadro d’insieme,
che
sarebbe un gradino più ambizioso della sfera intimista e si
proporrebbe di mostrare, con ampiezza di veduta, gli orizzonti
dell’amore e della sofferenza così come quelli della rettitudine e
dell’equità sociale.
Ma,
specie nell’ultimo segmento, dopo che un incauto bagno al lago
nell’acqua gelida costringerà a prender atto di spiacevoli
certezze su presente e futuro ed a condividere forzatamente segreti
indicibili, ecco che il film di Lioret sembra incanalarsi, quasi
troppo presto pacificato e stanco, a rimorchio di coordinate scontate
e calcando con fin troppa insistenza su alcuni particolari di “facile
taglio” (la canzone di Rickie Lee Jones, il profumo alla violetta),
che finiscono per screditare un po’ il racconto che nel mentre
comincia ad annaspare tra buonismo ed atmosfera melò.
Tutto
questo finisce per spingere parzialmente nell’ombra lo spessore
complessivo del soggetto, facendone evaporare realismo e credibilità
ed a causa di una troppo
forte saturazione delle tinte il film subisce un negativo effetto di
contrasto che, in parte, ne “scolora” la sua propensione
realista.
Alcuni
momenti della storia “vicina e distante” tra Claire e Philippe
sembrano essere la parte più riuscita: due persone folgorate sul
percorso della vita e che quasi senza rendersene conto camminano
fianco a fianco un lungo pezzo di strada assieme, mentre gli
avvenimenti solcano in profondità il presente ed ipotecano il loro
futuro più prossimo, distribuendo carichi di peso tremendi e
differenti da sopportare.
Rimane
il rammarico, dopo aver ipotizzato altri orizzonti, nel vedere un
film dagli intenti pregevoli, a tratti in grado di suscitare
passione e coinvolgimento, ripiegare le ali e convergere nella parte
finale su uno schema molto convenzionale che, inevitabilmente,
finisce per inquinare molto del fresco fino a quel momento respirato
tramutandolo in un odore che sa un po’ stantio.
1 commento:
il mio desiderio più grande in questo momento è che mi portino la lavatrice....sto aspettando da 2 ore...
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