La
città è un incendio permanente ma in realtà è il mondo che sta
andando a fuoco
e ad ogni secondo che passa brucia soldi ed arde fino alla
distruzione l'essenza stessa dell'essere umano: è New York ma
potrebbe essere ovunque.
Limousine
bianche e lunghe, simboli dell'opulenza, si muovono come
claustrofobiche case semoventi ingombrando
le strade
accanto
alle auto dei taxisti che provengono da svariati universi di orrore e
disperazione.
Insonorizzate
ed asettiche, lontane da ogni rumore e da qualunque realtà,
trasportano lentamente da un capo all'altro della città giovani
rampanti della finanza allevati dai lupi: ma questi rampolli sono belve alle quali si stanno alterando persino gli istinti del sesso e della
fame.
E'
un mondo dove si emerge con una parola e si precipita dopo aver
pronunciato una sillaba!
Calcolo
e controllo, numeri e statistica, informazione e matematica:
il cuore si affaccia ancora timidamente ma solo sul monitor di un
check-up.
L'acquario
è fuori o dentro il vetro? Difficile stabilirlo.
Uomini
che possono comperare una cappella con i dipinti di Rothko e
trasferirla dentro i loro appartamenti (“E gli altri? Che se la
comprino!”) o far costruire poligoni di tiro accanto agli ascensori
che salgono al ritmo di Erik Satie e del rap-sufi cercano inconsapevolmente antidoti
alla disillusione, controveleni ad una vita/non vita, ricca di lusso,
denaro e potere ma dall'abbondanza che non scintilla ed odora anzi di
putrescenza.
Però
attenzione, perchè chi
non è indifferente è vulnerabile e quindi puo' esser vittima del
dolore!
Da
un libro del 2003 - percettivo e profetico - ad opera del grandissimo
scrittore Americano Don De Lillo
(vincitore in Italia del “premio Bacchelli” nel 2000 con
“Underworld”), il maestro canadese David Cronenberg dipinge una
tela cinematografica “totale” ed epocale,
emanante una luce scura che tutto investe ed ogni cosa attanaglia.
Nell'arco
di una sola lunga giornata Robert Pattinson/Erick Packer segue le
orme che furono di “Ulisse” e di Joyce
ma stavolta è lo Yuan (nel romanzo era lo “Yen”) ad imprimere la
svolta al destino: nella landa delle passioni perdute e dell'assenza
di rimorso la smisurata ambizione spezza le vite ed amplifica il
senso di smarrimento.
“Cosmopolis”
anziché premonitore come il romanzo dal quale è tratto risulta oggi
contemporaneo, inquieta e disorienta,
investe lo spettatore mostrandogli la pacata e montante follia che lo
circonda, provocandogli un insostenibile e glaciale straniamento.
Non vuole fornire soluzioni, non può provvederci di risposte, lo
scenario d'altro canto è sterminato e immenso, omnicomprensivo.
E'
una analisi immaginifica a tutto campo dove il tetro del nostro
presente
incombe
come un cielo nero gonfio di tempesta che precipita rovelli e
concetti, un diluvio di parole e filosofia,
rivoli
di verbo forse in quantità superiore a quanta il cinema ne possa o
ne debba contenere
ma che la pennellata sicura dell'artista che riesce ad immaginare ed
a “tenere assieme” il quadro, in qualche modo fa convivere ed
armonizza, giusto al confine della sopportazione.
Anche
stavolta il regista Canadese lascia che “i corpi e la carne”
cedano il primo piano e questo è per lui decisamente inusuale ma, a
differenza del precedente “A dangerous method”, i protagonisti di
questo nuovo lavoro nella loro freddezza sono tutt'altro che sicuri o
alla ricerca di certezze ed avvertiamo forte il loro disagio, il
turbamento e l'astrazione, la lontananza da ciò che li circonda e da
loro stessi.
Ci
trasmettono ansie assassine, scosse elettriche e vertigini mortifere
che le sole parole non potrebbero darci e difatti in qualche misura
queste rimangono sorprendentemente sottomesse all'atmosfera ed
all'immagine, nonostante i dialoghi siano traboccanti: in altre
parole il film è forte di una sua “autonomia visionaria”
sufficientemente indipendente dalla parola, ovvero ha compiuto per
intero il passaggio dal testo scritto alla forma cinema.
“Tutti
verremo assorbiti da flussi di informazione”: è evidente che
Cronenberg sta semplicemente indagando, come suo solito, l'ennesima
mutazione umana,
forse l'ultima!
Il
mondo fuori impazza nelle imponenti e continue proteste globali che
l'attimo dopo sono già dimenticate; tutto attorno respira, ansima,
ribolle, si sgretola e poi crolla: i fuochi del presente che brucia
sono bagliori di futuro.
In
“Cosmopolis” c'è abbastanza dolore ed inquietudine da far
deflagrare il pianeta in un istante
ma proposto in una forma che tende a farci forzatamente osservare
l'apatica normalizzazione delle cose e dei fatti, quella che ci
impedisce di considerarli nella loro essenza e di reagirvi contro.
L'uomo
affascinato dalle armonie parallele tra la natura ed i dati ha messo
in un cantuccio l'importanza dell'asimmetria ed ora, sotto il
tranquillizzante aspetto dei lati uguali ecco che riemergono i tic,
il capriccio, l'imperfezione, l'inalienabile pericolo dell'anomalia.
La
rasoiata finale ci aspetta nell'incontro tra Robert Pattinson e Paul
Giamatti – un duello verbale e cerebrale -
dove si assiste alla caduta di Icaro, giungono al termine del
percorso illusioni ed ossessioni e l'ambizioso affresco globale mette
sul tavolo alcuni dei fragili inneschi ed elementi che governano la
rivolta ed il potere, la debolezza e la forza, la beffa, il dolore e
l' apparenza.
“Cosmopolis”
è una meravigliosa e lugubre decodificazione del nostro tempo, del
finale di secolo appena trascorso e di quello che è appena cominciato, un
apologo sul capitalismo che si sta inabissando sulla strada del non
ritorno ma continua a dibattersi generando mostri e
destabilizzazione.
Il
lavoro di Cronenberg è una vertigine difficile da introiettare e può
fortemente respingere coloro
che non sanno interpretare il presente che prelude al futuro e tutti
quelli che non desiderano riconoscersi o riconoscere la realtà: è
sempre uno sgradito ospite quello che viene a raccontarci chi siamo
ed i fatti nostri entrando senza nemmeno bussare alla porta di casa.
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