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domenica 27 maggio 2012

COSMOPOLIS di David Cronenberg



La città è un incendio permanente ma in realtà è il mondo che sta andando a fuoco e ad ogni secondo che passa brucia soldi ed arde fino alla distruzione l'essenza stessa dell'essere umano: è New York ma potrebbe essere ovunque.

Limousine bianche e lunghe, simboli dell'opulenza, si muovono come claustrofobiche case semoventi ingombrando le strade accanto alle auto dei taxisti che provengono da svariati universi di orrore e disperazione.

Insonorizzate ed asettiche, lontane da ogni rumore e da qualunque realtà, trasportano lentamente da un capo all'altro della città giovani rampanti della finanza allevati dai lupi: ma questi rampolli sono belve alle quali si stanno alterando persino gli istinti del sesso e della fame.

E' un mondo dove si emerge con una parola e si precipita dopo aver pronunciato una sillaba!

Calcolo e controllo, numeri e statistica, informazione e matematica: il cuore si affaccia ancora timidamente ma solo sul monitor di un check-up.

L'acquario è fuori o dentro il vetro? Difficile stabilirlo.

Uomini che possono comperare una cappella con i dipinti di Rothko e trasferirla dentro i loro appartamenti (“E gli altri? Che se la comprino!”) o far costruire poligoni di tiro accanto agli ascensori che salgono al ritmo di Erik Satie e del rap-sufi cercano inconsapevolmente antidoti alla disillusione, controveleni ad una vita/non vita, ricca di lusso, denaro e potere ma dall'abbondanza che non scintilla ed odora anzi di putrescenza.

Però attenzione, perchè chi non è indifferente è vulnerabile e quindi puo' esser vittima del dolore!

Da un libro del 2003 - percettivo e profetico - ad opera del grandissimo scrittore Americano Don De Lillo (vincitore in Italia del “premio Bacchelli” nel 2000 con “Underworld”), il maestro canadese David Cronenberg dipinge una tela cinematografica “totale” ed epocale, emanante una luce scura che tutto investe ed ogni cosa attanaglia.

Nell'arco di una sola lunga giornata Robert Pattinson/Erick Packer segue le orme che furono di “Ulisse” e di Joyce ma stavolta è lo Yuan (nel romanzo era lo “Yen”) ad imprimere la svolta al destino: nella landa delle passioni perdute e dell'assenza di rimorso la smisurata ambizione spezza le vite ed amplifica il senso di smarrimento.

Cosmopolis” anziché premonitore come il romanzo dal quale è tratto risulta oggi contemporaneo, inquieta e disorienta, investe lo spettatore mostrandogli la pacata e montante follia che lo circonda, provocandogli un insostenibile e glaciale straniamento. Non vuole fornire soluzioni, non può provvederci di risposte, lo scenario d'altro canto è sterminato e immenso, omnicomprensivo.

E' una analisi immaginifica a tutto campo dove il tetro del nostro presente incombe come un cielo nero gonfio di tempesta che precipita rovelli e concetti, un diluvio di parole e filosofia, rivoli di verbo forse in quantità superiore a quanta il cinema ne possa o ne debba contenere ma che la pennellata sicura dell'artista che riesce ad immaginare ed a “tenere assieme” il quadro, in qualche modo fa convivere ed armonizza, giusto al confine della sopportazione.

Anche stavolta il regista Canadese lascia che “i corpi e la carne” cedano il primo piano e questo è per lui decisamente inusuale ma, a differenza del precedente “A dangerous method”, i protagonisti di questo nuovo lavoro nella loro freddezza sono tutt'altro che sicuri o alla ricerca di certezze ed avvertiamo forte il loro disagio, il turbamento e l'astrazione, la lontananza da ciò che li circonda e da loro stessi.

Ci trasmettono ansie assassine, scosse elettriche e vertigini mortifere che le sole parole non potrebbero darci e difatti in qualche misura queste rimangono sorprendentemente sottomesse all'atmosfera ed all'immagine, nonostante i dialoghi siano traboccanti: in altre parole il film è forte di una sua “autonomia visionaria” sufficientemente indipendente dalla parola, ovvero ha compiuto per intero il passaggio dal testo scritto alla forma cinema.

Tutti verremo assorbiti da flussi di informazione”: è evidente che Cronenberg sta semplicemente indagando, come suo solito, l'ennesima mutazione umana, forse l'ultima!

Il mondo fuori impazza nelle imponenti e continue proteste globali che l'attimo dopo sono già dimenticate; tutto attorno respira, ansima, ribolle, si sgretola e poi crolla: i fuochi del presente che brucia sono bagliori di futuro.

In “Cosmopolis” c'è abbastanza dolore ed inquietudine da far deflagrare il pianeta in un istante ma proposto in una forma che tende a farci forzatamente osservare l'apatica normalizzazione delle cose e dei fatti, quella che ci impedisce di considerarli nella loro essenza e di reagirvi contro.

L'uomo affascinato dalle armonie parallele tra la natura ed i dati ha messo in un cantuccio l'importanza dell'asimmetria ed ora, sotto il tranquillizzante aspetto dei lati uguali ecco che riemergono i tic, il capriccio, l'imperfezione, l'inalienabile pericolo dell'anomalia.

La rasoiata finale ci aspetta nell'incontro tra Robert Pattinson e Paul Giamatti – un duello verbale e cerebrale - dove si assiste alla caduta di Icaro, giungono al termine del percorso illusioni ed ossessioni e l'ambizioso affresco globale mette sul tavolo alcuni dei fragili inneschi ed elementi che governano la rivolta ed il potere, la debolezza e la forza, la beffa, il dolore e l' apparenza.

Cosmopolis” è una meravigliosa e lugubre decodificazione del nostro tempo, del finale di secolo appena trascorso e di quello che è appena cominciato, un apologo sul capitalismo che si sta inabissando sulla strada del non ritorno ma continua a dibattersi generando mostri e destabilizzazione.

Il lavoro di Cronenberg è una vertigine difficile da introiettare e può fortemente respingere coloro che non sanno interpretare il presente che prelude al futuro e tutti quelli che non desiderano riconoscersi o riconoscere la realtà: è sempre uno sgradito ospite quello che viene a raccontarci chi siamo ed i fatti nostri entrando senza nemmeno bussare alla porta di casa.

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