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mercoledì 23 maggio 2012

POLVERE di Niccolò Bruna e Andrea Prandstraller


Amianto e mesotelioma, in pratica sinonimo di  “Eternit”: parole simbolo di una tra le molte ferite dell’Italia industriale ma anche priva di senso della responsabilità che va dal Nord alla diossina dell’ICMESA di Seveso all’abbraccio mortale dell’ILVA nel Sud di Taranto.

Sono vocaboli  ingombranti con i quali noi Italiani abbiamo dovuto gioco forza sviluppare una  non desiderata confidenza e dimestichezza da almeno mezzo secolo, corredo ineludibile  di vicende cha hanno visto in prima linea alcuni comuni del nostro paese, primo fra tutti Casale Monferrato.

Ne troviamo traccia già nelle testimonianze del repertorio in bianco e nero dell’Istituto Luce degli anni ’50 e ’60, come se si trattasse delle guerre o del grande boom; inizialmente  un  racconto che comincia  festoso nel solco del progresso economico e del benessere ma che procedendo rivela un volto aggressivo e maledetto: l’amianto provoca il cancro che in questo caso significa anche “malattia o morte sul lavoro” e, di colpo, siamo costretti a prendere atto delle malefiche relazioni tra industria ed asbestosi.

Dopo che irrompono sulla scena accadimenti dolorosi come questo ci aspetteremmo espulsi per sempre dalla scena mondiale alcuni giri di affari ed invece arriva questa pellicola ad inquietare le nostre fragili tranquillità sulla materia mostrandoci, con una panoramica a tutto tondo, situazioni ed   informazioni alle quali ben prima avremmo forse dovuto approcciarci.

Qualora non ne fossimo stati capaci, ecco che  ora si rivelano e scopriamo  (sorpresi?)  che quella dell'amianto, a tutt’oggi,  è addirittura una industria florida ed in diversi angoli del mondo! 

“Polvere”, il film-documento di Niccolò Bruna ed Andrea Prandstraller,  è un “compendio di indagine” prezioso ed importante che prende le mosse dalle aule del tribunale di Torino, dove si è celebrato il più grande processo del mondo in materia di rapporti tra fabbrica ed amianto e dove è stato raggiunto, nel febbraio scorso, il primo grado di giudizio.

Dopo due anni di dibattito e con alle spalle una mole di lavoro davvero ragguardevole da parte del P.M. Raffaele Guariniello, si è approdati ad una sentenza di condanna che infligge 16 anni ciascuno ai  patron di “Eternit”, il magnate svizzero Ernest Schmidheiny ed il barone Belga Jean Louis deCartier de Marchienne, mettendo nel contempo assieme un sommario di  numeri davvero eclatanti:  645 udienze, oltre 2100 morti ed 800 persone malate, 80 milioni di euro di indennizzi per oltre 5000 parti civili.

La pellicola però dopo un po’ si allontana  dal suolo nazionale e con vivacità indagatrice inizia a risvegliare il nostro stupore, raccontandoci  di come ad oggi  “solo” 53 paesi nel mondo abbiano messo al bando l'amianto, questo nonostante sia ancora in grado di mietere 100.000 vittime ogni anno come fosse una “silenziosa Hiroshima”.

Seguendo le orme delle fabbriche di Eternit  dismesse nei paesi che le hanno dichiarate fuorilegge scopriamo  rinascite sorprendenti: dopo la messa al bando degli anni novanta, alcuni impianti chiusi hanno traslocato altrove e ad esempio dall’ Italia sono rinati a nuova vita in altri luoghi: è il caso di Haiderabad, in India.

Due tonnellate di milioni l'anno: questa la stima relativa al volume della produzione di “cemento misto ad amianto” che si produce soprattutto in paesi quali l'Ucraina, la Russia, L'India, l'Egitto, la Thailandia, la Cina ed il Brasile.

E proprio in Brasile si sofferma parte della pellicola di Bruna e Prandstraller, il terzo o quarto produttore e tra i più grandi consumatori, nonostante quattro dei suoi Stati abbiano paradossalmente anch’essi bandito l’uso l'amianto, ma non la vendita.

Invece  nello Stato del Gola (e siamo sempre in Brasile), dove la miniera gestita dall'impresa “Sama” è attiva dal 1966, ci si trincera  dietro leggi  compiacenti e facendosi scudo delle ridicole affermazioni dei quadri dirigenti che parlano di “uso controllato del materiale”.

Nel mentre lobby potenti “sedano” ministeri ed amministrazioni locali oltre ad aver risarcito a tutt'oggi oltre 3000 lavoratori,  facendo ben attenzione che questi però dichiarino, con fortissimi dubbi sulla veridicità dei fatti,  di aver subito il danno quando ancora non erano noti i rischi.

Anche in India le cose non vanno meglio e chi rilascia l'intervista è stavolta un medico che ha poi intrapreso anche una carriera politica ed ora parla di “utilizzo responsabile del prodotto”, discorrendo di  una sicurezza di fatto inesistente  ma al tempo stesso affermando una realtà in parte aberrante ma  pure comprensibile quando afferma che: “finchè la gente guadagnerà 2/3 dollari al giorno, il business dell'amianto esisterà in questi luoghi”.

Oggi altri investitori (Cinesi) stanno già stimolando gli appetiti Canadesi che difatti preparano i finanziamenti per la riapertura di una grande miniera nazionale.

“Polvere” torna infine inevitabilmente a darci conto delle famiglie dei nostri connazionali, quelli che hanno visto tanti colleghi perdere la vita solamente per lavorare e che hanno vissuto in prima persona i tempi in cui venivano negate e ridicolizzate le loro istanze verso i vertici dell'industria.

Solo con l’avvento dello  “Statuto dei lavoratori” negli anni '70 si sarebbero cominciate a  mettere in discussione le condizioni di lavoro ma non  ancora la dannosità della tipologia di certo materiale, protraendo così per altri anni ancora il contagio mortale, finanche ad estenderne il rischio ai familiari.

Toccante il racconto di chi preoccupato ricorda quando tornava  a casa dopo una giornata di lavoro ed abbracciava sua figlia che poi, per gioco, si divertiva a spolverare dai suoi capelli i resti di alcuni granelli rimasti sparsi come forfora: dalla capigliatura del babbo le cadeva addosso solo  “polvere”.

Nessuno potrà dare scongiurato per anni il pericolo di nuovi casi di malattia perché il mesotelioma, che aggredisce grazie alle fibre aerodisperse dall’amianto, è capace di attendere anche  decenni prima di mostrare il suo tratto cattivo ed implacabile.

Chiude l'immagine di una fiaccolata la cui lunghezza rende una minima idea di quanta angoscia e tristezza rechi con se: una fila di persone copre le strade di silenzio, dignità, rabbia e sete di giustizia,  pone rose bianche in fila per ricordare, non dimenticare e senza voce urlare la propria afflizione per una strage “dilazionata nel tempo” che rischia di passare presto nel dimenticatoio e che nello stesso momento in cui ne stiamo piangendo le vittime sta già continuando, “carsica e spietata”, a diffondere il suo contagio di morte altrove.

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