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venerdì 7 settembre 2012

BELLA ADDORMENTATA di Marco Bellocchio


Se nella già tanto divisa opinione pubblica degli italiani c’è stato un tema importante che negli ultimi anni ha animato  spalti ruggenti e contrapposti, quello è stato certo il caso di Eluana Englaro, con tutto il profondo e virulento  corredo delle sue implicazioni sulla questione dell’eutanasia.
Marco Bellocchio decide di farsene “carico cinematografico” con il suo “Bella addormentata”, forte di uno Stefano Rulli alla sceneggiatura – assieme a  Veronica Raimo - e di un cast davvero ben nutrito.
Eppure, fatto salvo l’onore dovuto all’onestà ed al coraggio profuso nell’avventurarsi a “mani nude” tra tanti forti contrasti e contraddizioni, va detto subito e senza girarci intorno che il risultato lascia piuttosto delusi.
Soprattutto sembra presto avere la  meglio su di noi un  fastidioso senso di “bulimia da luogo comune”, unito all’aggravio del non poter disporre di una sagace “speleologia artistica”  davvero capace di tirar fuori, dalle pieghe del dramma e del dolore, una chiave di lettura differente sull’argomento,  utile ad approfondire o stilisticamente nuova ed  indipendente dalla mera cronaca dei fatti.
In verità un simile approccio verrebbe anche tentato – ma dirlo riuscito sarebbe altra cosa - ed unitamente va detto che le prove degli attori, pure se non indimenticabili, sono senz’altro  buone: su tutte a nostro giudizio quella di Maya Sansa, ma di certo anche Servillo ed Herlitzka; ben calati nel ruolo anche Riondino e la Rohrwacher. Un pochino sottoutilizzata   forse Isabelle  Huppert, della quale ricorderemo solo (o soprattutto) il   viso bellissimo e spettrale e si dovrebbe magari  sorvolare sull’imbarazzante Brenno Placido che recita “Il pianto della Madonna” di Jacopone da Todi.
Nella costruzione narrativa – che rimane molto indefinita - i personaggi sono  ognuno latore di un differente punto di vista ed   avrebbero molto da dire, ma il dramma, inteso in senso artistico, è che  sono costretti a farlo dovendosi avvalere di dialoghi che, spiace constatarlo, sono il vero punto debole della pellicola, incapaci di originare poco di più che  un collage di frasi fatte pari al  resoconto, per giunta niente affatto ineccepibile, dei pensieri più ricorrenti sul tema, scontati  in qualche caso al  punto tale da arrivare a toccare  punte di vera e propria urticante banalità.  
Più confortante, ma non troppo,  il fronte delle immagini: buone alcune “istantanee” come ad esempio quella della folla assiepata attorno all’ambulanza ad inizio pellicola; certamente più incisive alcune allegorie politiche (il fuoco di fila degli “yes man” al cellulare) assieme alle sordide meschinerie di partito – anche se nemmeno queste riescono ad esser sempre esenti dal difetto di esser fin troppo didascaliche –  e di sicuro rimangono forti ed invariate nella loro capacità di fare breccia tutte le immagini del repertorio, dalle dichiarazioni del’ex premier Berlusconi, ad Emma Bonino sommersa dai rumoreggiamenti di fondo del Senato che le inveisce contro fino allo “show” dell’Onorevole Quagliariello, a poche ore dalla morte della Englaro, che manda knock-out il microfono.
“Colpi cinematograficamente  bene assestati” sono il viso bellissimo e fisso di una giovane ragazza tra i rumorosi e cadenzati respiri artificiali delle macchine che la mantengono in vita oppure il  discorso tra ironia e scaltrezza ad un bagno turco “senatorio” che ricorda ambientazioni da antica Roma – decontestualizzandola da questo film poco riuscito sembrerebbe poter essere una “visione interessante” - ma non bastano a risollevare le sorti di “Bella Addormentata”.
Bellocchio stenta a trovare la sua libertà espressiva, quella  che spesso lo ha contraddistinto a prescindere dalla compiutezza della sua opera e  si perde nella spossante e mediocre rigidità generale – peraltro sorprendente, tenuto conto dei noti professionisti che ci hanno lavorato - della sceneggiatura e dei dialoghi.
Così ecco che  la sua mano di regista vacilla  nel descrivere,  tra  disordine  e limite, tutti i pensieri, la rabbia e lo sdegno che aveva da raccontare e,  assieme al quadro collettivo di una nazione, pure  tutte le piccole intuizioni felici sbiadiscono e si confondono lungo la pellicola.

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