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mercoledì 3 aprile 2013

SU RE di Giovanni Columbu


Una terra spettrale, avvolta da un inferno di nuvole e cime tempestose. Voci indistinte affiorano confusamente e parlano di una “sentenza falsa”. Cristo è già rivolto in terra e Maria lo piange: Dio ha voluto così!
Questo il breve prologo del bellissimo film di Giovanni Columbu “Su Re”, ultima rivisitazione cinematografica “intorno alla passione di Cristo”, con dialoghi in dialetto e girato in una Sardegna aspra e rocciosa che potrebbe esser ovunque, utilizzando attori non professionisti fra cui anche alcuni degenti di un Centro di Salute Mentale.
Tutto è duro come la pietra in questa pellicola dove i Vangeli sono decostruiti (e “ricostituiti”) visivamente e cronologicamente; Il Cristo interpretato da Fiorenzo Mattu è lontano da ogni precedente iconografia: sempre sofferente, ad ogni momento ansimante di paura, ad ogni sguardo sperduto e titubante.
“Su Re” nel suo procedere quasi onirico – molto più vicino all'incubo che al sogno – ripropone i quadri di una storia eterna, che non ha alcun bisogno di restare ancorata ai suoi luoghi d'origine per mantenere una forte efficacia comunicativa, tanto questa è iscritta nella nostra comune formazione culturale, sia essa religiosa o laica.
Dalla crocifissione, procedendo pressappoco a ritroso, ecco l'ascesa al Golgota, il tradimento nell'orto dei Getsemani, l'ultima cena davanti al crepitio della legna che arde.
La dimensione arcaica della Sardegna accoglie immagini senza tempo che in uno scenario costellato da un mare di pietra grigia si rinvigoriscono di una ulteriore forza rivelatrice; fatti che – ingenuamente - credevamo non avessero più nulla di nuovo da raccontarci tornano ad interrogarci vestiti di nuova pena e passione.
Tra le tante intuizioni dell’eccellente lavoro di Columbu una delle migliori è quella di spostare il piano dell'attenzione dal Cristo sulle tante figure che lo “accerchiano”: “Su Re” è una carrellata innumerevole di volti impassibili, crudeli o dall'immobile pietà, di primi piani su uomini imbelli, feroci o sperduti, che vomitano cattiveria e tracotante sicumera, poi sibilano parole come rasoiate: “dobbiamo avvelenarlo”, “legarlo mani e piedi e buttarlo in un pozzo”, “scannarlo, perchè è pericoloso”; dispregiandolo chiamano Gesù persino “cane da mondezzaio”.
“Su Re” è un film “scintillante e tetro”, uno specchio doloroso nel quale osservare la nostra disumanità: tra rumori di fronda e di uccelli si agitano al vento i veli sul capo delle donne  e le barbe bianche di uomini infami e meschini che non hanno nessuna pietà dei singhiozzi e della sofferenza altrui ed a queste rispondono anzi con il suono secco della frusta che graffia la pelle o del martello che batte i chiodi affondandoli nella carne: in fondo non vedono l'ora di veder soccombere chi aveva provato a dirsi migliore di loro e poco importa se davvero era il figlio di Dio!
Mentre “il profeta” attende il suo calvario ecco il comandamento nuovo: “amatevi gli uni con gli altri”; per alcuni  solo l’ennesima frase pronunciata da un imbonitore venuto a crear  confusione e che merita niente altro che la morte.
Nel film di Columbu la luce è una grazia che non arriva mai e quando lo fa il bianco illumina solo il desolante scenario di Cristo che sale con la sua croce verso la cima del Golgota: a breve arriveranno rumori di tuoni lontani a mettere a nudo tutto l'egoismo degli uomini assieme alla sua brutalità animalesca ed a porre  l’ennesimo sigillo su  questa storia altamente simbolica, che trascende il suo significato meramente religioso al punto da poterla considerare persino in una sua prospettiva del tutto aconfessionale.
Seguendo solamente linee semplici ed elementari e regalandogli nuova “intima maestosità” con la forza astrattiva del dialetto come con i suoi tanti volti duri  e penetranti - una iconografia nuova buona per ogni millennio a venire -  “Su Re” dedica gli ultimi fotogrammi a Giuseppe d'Arimatea che chiede degna sepoltura “per un amico” e  - mentre salgono le note del “Nunc Dimittis” di Arvo Pärt  - nei secondi finali della pellicola l’obiettivo coglie gli occhi di tre bambini che si voltano a guardarci: probabilmente nemmeno la speranza è assente in questo capolavoro Italiano, povero di mezzi e straripante di forza espressiva.

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