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mercoledì 3 aprile 2013

NADEA E SVETA di Maura Delpero


Maura Delpero è una regista ed anche una insegnante.
Anni addietro ha fondato una scuola rivolta alle donne dell’Est che lavorano in Italia come badanti e collaboratrici domestiche, per aiutarle ad  imparare la lingua Italiana.
Un giorno, osservando il “paesaggio umano” delle tantissime di loro intente a mangiare (parlare e telefonare)  riunite in un parco di Bologna – la città dove la Delpero vive – rimane affascinata da questa immagine che lei stessa definisce “di una forza rivelatrice” e che quel giorno le “ha fatto vedere il film”.
Comincerà a frequentare le loro chiese, le loro balere e ad entrare in confidenza con alcune di queste, che si apriranno con lei raccontandole le loro storie.
Nasce in questo contesto “Nadea e Sveta” (premio “Cipputi” al Festival di Torino 2012), storia di due amiche Moldave che vivono in Italia, paradigmatica di molte altre simile alla loro.
Nadea è la più grande delle due e lavora con una signora anziana: ma forse non ne ha più voglia e presto tornerà al suo paese. Anche Sveta - che ha appena ricevuto i documenti che la mettono in regola - ha nostalgia di casa dove ha lasciato la sua piccola figlia Eloiza Clementina con la nonna: ora puo’ tornare a trovarla.
Il ritorno a casa e l’incontro sono realmente seguiti e filmati dalla Delpero che per tre anni circa (dal 2009 al 2012) ha lavorato al suo progetto cinematografico che “aveva bisogno di tempo perché c’erano cose da attendere, che dovevano succedere e che bisognava aspettare”.
L’occhio della camera riprende questa relazione che ritrova il suo tempo quotidiano da vivere nuovamente assieme ma fatica a riprendere il passo dell’ abitudine, che la lontananza ha disallineato.
Le tensioni a tavola all’ora di cena sono esemplari di questo stato delle cose: la figlia si deve riabituare alla mamma e Sveta si deve riabituare persino alla Moldavia che ora le sembra diversa e non le suscita più la stessa nostalgia di prima.
La Delpero sceglie di render testimonianza con discrezione e grandissima aderenza alla realtà ed anzi facendo di questa cinema nel momento stesso in cui la vita scorre davanti ai suoi occhi.
Niente scene madri: nessuna ripresa di arrivi o ritorni all’aeroporto piuttosto l’inquadratura di una valigia rossa ed a seguire il rumore lontano e sibilante di un aereo che uniti assieme trasmettono una idea di migrazioni e partenze; il pulmann, con la sua musica, i pacchi di cartone imballati con lo scotch marrone  e l’obbiettivo che segue le curve tortuose della lunga strada verso casa (è il ritorno di Nadea)  danno invece molto forte l’idea  di viaggio e di distanza.
“Nadea e Sveta” è una pellicola costruita probabilmente grazie alle “folgorazioni” conseguenti alle piccole e preziose porzioni di passato vissuto comunemente assieme  (la Delpero ancora oggi frequenta ad esempio Sveta e la sua bambina) ma non è solo mero documento: ci sono una sensibilità non comune ed una lucidità organizzativa nel raccontare unite ad una spiccata capacità registica che riesce a fare, ad esempio,  delle tante finestre di un palazzo o dei dettagli di una balera veicoli fondamentali della narrazione, che elevano  il racconto di due storie comuni al rango di cinema nel suo senso più pieno.
Così vicende perdute e distrattamente accantonate tornano in primo piano a destare il nostro più vivo interesse, con il corollario inscindibile delle vicissitudini di chi deve scegliere se restare altrove o tornare indietro,  magari da quegli affetti rimasti come “sospesi” per anni ad attendere una nuova occasione per  potersi ricongiungere – finalmente -  ad una vita dalla quale erano stati bruscamente allontanati.   

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