L'inizio
della storia è musica, baci ed abbracci.
Ed
ancora alcool e risate con gli amici, palloncini colorati e lunghe
corse in bici.
Ma,
come già si riusciva nettamente a presagire dal veloce prologo del
film, qualcosa non girerà per il verso giusto e così, molto
presto, “Romeo e Juliette”, come nel destino scritto una volta e
per sempre dall'eterna penna del “Bardo”, conosceranno la
tragedia che gli è consueta e che stavolta si presenterà sotto le
sembianze di ostili corridoi d'ospedale ed un tumore nel cervello di
un bambino da poco venuto al mondo.
Difatti
c’è poco da girarci attorno: “La guerra è dichiarata” è il
racconto/resoconto di un dramma pesante, peraltro vero e vissuto in
prima persona dalla regista e dagli sceneggiatori della pellicola,
ovvero dai protagonisti Valèrie Donzelli e Jèrème Elkaim, che
ancora portano addosso i segni di quel che ora tramutano in cinema
di bella fattura.
Ma
da una traversia di tale entità i due non si sono lasciati spazzar
via ed ora per raccontarcela
tracciano una linea ben definita da farci seguire, in modo da
evitarci possibili fraintendimenti: in forma di cinema “dichiarano”
quindi convinti che pure se è vero che l’amore da solo non basta
per aggirare gli ostacoli e raggiungere gli obiettivi, altrettanto
lo è che l’esistenza è prodiga di speranze ed arrendersi o
ingrigire i giorni che scorrono tallonati dal dolore non aiuta né la
rende migliore.
Suggella
un silenzioso “patto per la vita” il mare blu di Marsiglia che
si infrange sulle onde.
Così
il film della Donzelli, forte anche della patente di credibilità che
possono aver conseguito solo
coloro che quel calvario lo hanno camminato per davvero, procede
risoluto per addentrarsi lungo il suo tortuoso cammino.
La
strada che ci mostra non è certo quella dove poter volare sulle ali
di un ottimismo a prescindere, che sarebbe assurdo e fuori luogo, né
quella dove tutto viene indiscriminatamente colorato di tinte
allegre per sovrastare il buio che avanza.
Semplicemente,
nel riportarci gli
avvenimenti, viene messa in campo una grande attenzione al non
disunire le circostanze: la
malattia non viene isolata dalla vita che va avanti, non ci si
concentra solo sulla mestizia e sul dramma ma si lasciano aperte le
finestre che sconfinano su tutti gli altri numerosi elementi e
dettagli significativi del quadro.
Non
che intorno la situazione non precipiti: il conto in banca è in
rosso, la casa andrà venduta, i giorni sono sfregiati dall'umore
nero ed addirittura giungerà
poi il tempo dello sconforto, della prostrazione e della separazione
ma, non solo per esorcizzare quanto per rendere al meglio il
complesso degli avvenimenti, la Donzelli mostra ogni cosa solo
connessa con il suo insieme.
Non
elide le piccole normali magie che aiutano a restare a galla quando
l'esistenza ti scivola via fra le dita: un semplice bacio, piccole
battute di spirito e stupidaggini con la persona amata, la figura
(importante) di quegli amici che continuano a condividere con te le
giornate facendo finta di niente, non con questo volendo ignorare la
disgrazia ma così comportandosi cercando di non moltiplicarla,
creando ulteriore sconforto e depressione.
Ne
viene fuori una pellicola anomala ed anche una lezione buona per
tutte le occasioni dove la vita dovesse
voltarci le spalle e, sotto il profilo squisitamente narrativo, non
soltanto libera, ispirata ed inevitabilmente sincera ma anche per
niente intrisa di pietà e lontana da ogni lacrimoso ricatto.
Sul
piano prettamente cinematografico la Donzelli lascia ardere il fuoco
sacro della sua regia senza tirar le briglie, pescando nella “novelle
vague Francese” ma lontana dallo stagnare nei suoi stereotipi;
spazia senza remore tra le pareti ampie della sua creatività
artistica e della sua dimensione umana, concedendo spazio tanto alle
parole cantate che alle musiche di Bach e Vivaldi.
Lascia
correr via alcune situazioni al limite o verso toni di una irrituale
ilarità per la tematica trattata;
monta anche misteriose forme magmatiche che sembrano un piccolo
mistero per immagini conficcato giusto tra la morte e la vita: ma
sono solo cristalli di zucchero!
“Perchè
è capitato a noi?” chiede Romeo e la sua Juliette prontamente gli
risponde:”Perchè ce la possiamo fare!”
E
forse ce la potrebbe fare davvero chiunque, questo è il grande
messaggio, purchè affronti con
dedizione e coraggiosa consapevolezza ogni cosa, a patto di esser
disposto a passare dalla distruzione alla eventuale resurrezione e
pur concedendo questo senza aver nessuna sicurezza che gli sforzi
profusi saranno premiati.
Si
tratta dell’adottare un punto
di vista, ovviamente, come i tanti che inevitabilmente siamo
costretti a scegliere nella vita e magari, proprio quello proposto
stavolta potrebbe esser quello buono per riuscire ad attraversare il
tunnel buio della malattia.
Ognuno
infatti, al termine della storia, potrà vedere un finale diverso:
alcuni un lieto fine, altri una conclusione sofferta e indecifrabile;
chi addirittura, di quel sole che splende ancora sulla spiaggia
nonostante sia arrivato il tramonto, non sarà capace di veder
brillare nemmeno uno dei suoi raggi.
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