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domenica 15 luglio 2012

IL DITTATORE di Larry Charles



Il Dittatore/Generale Aladeen nasce già con la barba e da grande, come i suoi pari, avrà i soliti problemi con l' uranio da arricchire.

Le olimpiadi se le organizza per conto proprio e se sono su pista le vince “abbattendo” letteralmente i suoi avversari, altrimenti se le gioca alla “Wee” nei panni di un terrorista, con un videogame che prende spunto dai drammatici fatti di “Settembre Nero” a Monaco nel 1972.

Chiunque gli faccia il minimo sgarbo rischia di esser giustiziato, anche se per gli sventurati scopriremo l'esistenza di una sorprendente via d’uscita proprio negli U.S.A..

Però la sera è una solitudine vera quella che lo circonda quando abbraccia il suo cuscino mentre le donne con le quali ha giaciuto frettolosamente gli rimangono distanti, immobili sulle foto a parete della sua grande stanza.

Ma ecco che una visita nella odiata “America di Satana” cambierà la sua vita, o meglio per un bel tratto ne devierà il corso, quando per una serie di circostanze verrà “sollevato” dal suo incarico di potere e catapultato in una realtà sconosciuta.

Con Larry Charles e Sacha Baron Cohen l’eccesso è lo stile comandato, di certo un ingrediente irrinunciabile: “Il Dittatore” però non vive di soli uppercut trash da assestare ma è forte anche di un foltissimo campionario di battute brucianti e verità cattivissime e satireggianti sciorinateci sotto forma di situazioni comiche, qualcuna di queste più che godibile.

Se volessimo individuarne il difetto non dovremmo puntare dunque sulla sua inclinazione a trascendere quanto invece su una complessiva organicità e compattezza davvero troppo esili per farne un film che possa prendere le distanze dal tempo che lo ha partorito, così come dai riferimenti reali che mette in campo.

Nondimeno la pellicola rimane ostaggio, nel bene o nel male, proprio del suo stesso mitragliamento senza posa di battute.

Le imbeccate intelligenti ed acute sono molte, per quanto volutamente abbandonate ad un senso di sciatteria, nessuna però che contribuisca a tenere unito il film con uno straccio di “filo” che ne faccia davvero una storia anziché un potente palco di cabaret su schermo cinematografico.

E’ però difficile non ridere, certo anche amaro, ad esempio al cospetto dei potenti della terra che non vedono l’ora di trasformare la dittatura in democrazia per poter cominciare a banchettare tra gas e petrolio.

Ugualmente molto azzeccato è il cinese affetto da “delirio di onnipotenza con deriva omosessuale” che ci precipita in angosciosi quanto spassosi interrogativi irrisolti su quale sarà stato poi il conto pagato ad Edward Norton (oppure da Harvey Keitel) e che sicuramente avrà gettato tra panico e allarme il povero Viggo Mortesen.

L’apice del trash probabilmente lo si raggiunge durante la scena di un parto, quando Aladeen (o dovremmo chiamarlo Alison Burger?) parla al suo cellulare e tuba mano nella mano con la sua fiamma: attenzione se andrete a vedere il film perché nella circostanza appena descritta non riuscirete a cavarvela alla bene in meglio come leggendo queste ultime due righe.

Al film di Charles e Baron Cohen va senza dubbio riconosciuta una velocità aggressiva ed una agilità repentina nel suo mordi e fuggi dissacratorio che quasi sempre coglie nel segno, non sempre calcando la mano sulla volgarità o la scorrettezza ma utilizzando, certo non a piene mani, persino raffinatezze criptate per pochi eletti (vedi i riferimenti agli Yiddish): con il suo armamentario di guardie vergini, sosia ed “Everybody Hurts” dei R.E.M. cantata in arabo, davvero bombarda a tutto campo su femminismo e buone maniere, modelli alternativi e categorie protette, insomma contro tutto e tutti.

Il discorso finale, limpido e didascalico, svela con semplicità qualche agghiacciante similitudine tra il mondo occidentale e tutto quello che invece crediamo ai suoi antipodi.

Ne “Il Dittatore” c’è molto intuito e nessun argine, tanta foga e parecchio disordine: divertimento quanto basta e fin sopra i titoli di coda: dalla scoperta di un felice e soddisfacente onanismo ad una cotta tremenda per una barricadera femminista fino a che un rumore di vetri infranti non risveglia in un lampo il demone della malvagità mai del tutto sopito.

L’amore non basta e il Dittatore è un lupo feroce: non perde il pelo semmai gli taglian via giusto la la barba: ma l'antico vizio di mozzar via le teste, quello no, non lo abbandona mai.

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