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sabato 7 luglio 2012

7 DAYS IN HAVANA di Autori Vari



Gioie e dolori della capitale Cubana: 7 giorni della settimana (daLunesaDomingo”) per 7 cortometraggi commissionati a registi diversi nellambito di un progetto diHavana Club International”, azienda Franco/Cubana produttrice del famoso Rum, teso a promuovere valori e radici dellisola Caraibica.

Partendo dai testi dello scrittore autoctono Leonardo Padura ecco una rappresentazione poliedrica di una delle mete turistiche più battute e desiderate del pianeta: disponibile ed accogliente, fogna e paradiso, molto spesso vinta dal suo dover immancabilmente ondeggiare tra stereotipo e mito.

Difficile snidare quel che di leggendario e di falso si annida nei ritratti della città proposti da questa pellicola e parecchio complicato anche sottrarsi ad un inspiegabile senso di nostalgia e calore al quale viene indotto per vie disparate persino chi non ne aveva mai sentito parlare e meno che mai ci aveva messo piede.

Ecomunque un popolo bello e che profuma di pulito quello che ci restituiscono i brevi racconti di “7 days in Havana”, che sempre e comunque sembra sventolare il vessillo, sdrucito e scintillante, della spontaneità e della solare offerta di amicizia.

Pablo Trapero (“Jam Session”) più degli altri prova a sottolineare questa caratteristica di grande e disponibile umanità e dopo averdialogatocon Kusturica, per questa volta davanti allobiettivo anziché in regia, passa rapido la mano ai suoi colleghi senza molto altro da aggiungere.

Julio Medem (“La tentacion de Cecilia”) invece affoga presto nel suo tema, insistendo troppo nel sottolineare il rincorrersi e l'alternarsi di contrasti e desideri; il suo è forse lepisodio più scontato e meno originale, incapace di raccontare qualcosa di davvero nuovo oppure di distinguersi con accenni significativi tramite uno stile personale.

Diversamente Elia Suleiman (“Diary of a beginner”), che come suo solito gioca con luoghi, protagonisti ed immagini persottrazione ed isolamento, in poche istantanee declina piccole gioie, tristezze e contraddizioni della leggendaria Cuba e della sua rivoluzione oramaiistituzionalizzata.”

Ai suoi antipodi Gaspar Noè (“Ritual”) indaga invece tra ritmo ossessivo e luci buie il volto oscuro de LHavana, non sapremmo dire con quanto compiacimento. Solitamente il regista Argentino trova la sua forza nelleccesso: stavolta però coglie la giusta misura e rende un buon servigio al film nel suo complesso.

Il suo cortometraggio pedina una adolescente omosessuale nel suo percorso tra punizione e purificazione, umiliazione ed espiazione.

Bravo è Benicio Del Toro (“El Yuma”) in apertura, ordinato, semplice ed efficace dietro la macchina da presa: dalla mattina ci accompagniamo assieme ad un giovane americano che la prorompente bellezza femminile da ogni angolo vuole adescare. Chiude la sua storia con un orgoglioso sberleffo al troppomachismodel quale sembrerebbe ancora esser intrisa lisola caraibica.

Dulce Amargo è invece il titolo dellepisodio di Juan Carlos Tabio, che racchiude nel titolo linnegabile oscillazione emotiva che spesso deve subire la vita nella capitale; buoni gli spunti che si perdono però in uno sviluppo troppo disciplinato e poco originale ed incisivo: una occasione sprecata!

Infine Laurent Cantet (“La Fuente”), tra ironia, vitalità e religione da par suo regala una prova corale, sufficientemente descrittiva dellanima calorosa di questa gente e dei luoghi che abita: dalMalecon” – così è chiamato il famoso lungomare de LHavanaalle case pastello; poi le indolenze, le abitudini, i miti religiosi (la vergineOshun”, dea delle acque e della fecondità) e le festose esternazioni.

Alla resa dei conti, per qualità e personalità si alza una spanna sopra tutti sicuramente Suleiman e la sua sintesi semplice e poetica, stramba e stralunata ma non per questo meno attenta e capace di cogliere tutto quel che è essenziale, anzi facendolo emergere con la sua naturale inclinazione a tagliare il superfluo.

Subito dopo Noè e Cantet. Degno di nota anche Benicio del Toro.

Sette piccole storie con sullo sfondo variopinte cartoline semoventi, a volte troppo turistiche, a volte portatrici di dettaglisocio-antropologicima senza particolari velleità; alcune hanno il giusto colpo dali e potranno continuare a librarsi in volo anche oltre lorizzonte della sala cinematografica, altre un attimo dopo che si sono accese le luci in sala stanno già ripiegando verso un ordinato ed onorevole oblio.

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