Prima della globalizzazione e delle imponenti migrazioni di massa da ovunque provenienti per arginare il disperato bisogno di lavoro delle genti ad ogni latitudine del pianeta, di una cinese che gestiva una osteria a Chioggia avrebbe potuto scrivere un romanzo un qualche scrittore..... e farne poesia....
….... e forse, chissà, anche una “piccola romantica leggenda”…
Oggi, se dall’est arrivano uomini e donne con gli occhi a mandorla, questo basta già e di molto a “bollarli” solo come “immigrati/extracomunitari” in odore di mafia e clandestinità e poca speranza rimane a questo punto di poter conoscere altro di una persona così “schiacciata” da un marchio preventivo ed ingombrante……”declassificante”…
“Io sono Li”, prima opera cinematografica che porta il regista Andrea Segre dal documentario al lavoro con attori veri e propri, non si sogna neppure di negare questo stato di cose, ne prende anzi consapevolmente atto e ne da ampia descrizione tra le righe del suo racconto ma nemmeno rinuncia a credere che sia impossibile un incontro “candido e pulito” tra persone e culture lontane, così nel fragoroso silenzio della piovosa laguna veneta, giusto poco dopo il diradarsi delle prime nebbie del mattino vediamo materializzarsi le figure di Shun Li (Zhao Tao) e di Bepi (Rade Sherbedgia), lei cinese, fino a ieri operaia tessile nella periferia Romana, in attesa che arrivi “La Notizia” e che per farla giungere piu’ presto che si puo’ e riabbracciare suo figlio sarebbe disposta a trasferirsi nel Nord-Italia (…a Chioggia…), oppure ovunque e per fare qualsiasi lavoro; lui invece è un pescatore “in disarmo”, di origini slave e soprannominato “il poeta”, forse piu’ per il candore del suo animo che non per le estemporanee rime che regala con il sorriso ai suoi compagni di tavolo…
La loro non sarà una storia d’amore ma un “toccarsi dentro” che sa di antico e di indispensabile, un qualcosa che sa di fresco e di pulito, lontano da qualsiasi interesse o scambio, un raggio di sole nel grigio che vien su dai canali dove sostano i pescherecci dondolanti, un lampo di luce calda che, se diverrà fuoco, allora arderà per sempre….
L’America è lontana e decadente e così sembra esserlo anche l’Europa e il Nuovo Impero del Dragone, per nulla riconoscente con coloro ai quali tutto deve del suo successo economico; spinge da noi i suoi figli che lo hanno innalzato a potenza mondiale del nostro presente, ne mortifica le ambizioni e la loro vita quotidiana che, qui nel Nord dell’Italia, puo’ facilmente imbattersi con quella di pescatori dalle barbe ispide e dalle gole arse dal fumo e dal vino, gente ruvida che ha il sale sulla pelle come sulle ferite…
Segre, senza affondare mai sui toni ma semplicemente esaltando con levità ora gli accenti della sotterranea chiusura ed intolleranza, ora quelli della gentilezza che non si cura del contorno gretto e materialista che la circonda, raffigura con efficacia e con l’ausilio di una sensibilità che in troppi hanno oramai perduto, uno spaccato d’Italia alle prese con “il nuovo che avanza” e che anzi sembra “invadere” ma in realtà porta con se solo il cambiamento, del quale è necessario prender atto e che nel contempo chiede che ci si risolva a comprenderlo, ad affrontarlo nelle sue pieghe meno visibili per poterlo alfine vivere da dentro e non solo a distanza, “esternamente”, sempre arroccati su una linea difensiva destinata comunque a sgretolarsi con il tempo oppure nello spazio di un attimo, come un incantesimo che svanisce e d’un solo colpo riveli la realtà che aveva fin allora mascherato…
“Io sono Li” è il tipo di racconto capace di identificare il “coro degli angeli” anche nelle parole di una mamma che parla al telefono con il proprio figlio invisibile e distante ed in una lingua sconosciuta; sa che allargare le braccia di fronte al mare mentre un tiepido sole ti carezza la fronte è un “bisogno che confina da vicino con il sogno” e non ha nessun distinguo rintracciabile tra etnie e culture ma risiede, da sempre, semplicemente nel nostro “essere umani” di fronte all’esistere delle cose del mondo, vive dentro noi stessi che ne facciamo parte e ne siamo compresi…
La fotografia dell’ottimo Luca Bigazzi introduce Segre ai “nuovi segreti” della regia e regala a noi spettatori un dedalo di vicoli bui e canali che trasudano vita assieme agli interni di una osteria passata di mano in mano ma che ha conservato ad ogni passaggio le tracce di chi la ha abitata ed ancora la rende viva nel presente e che, senza rendersene neanche conto, si prepara ad esser teatro del tempo che verrà…
L’acqua alta che vien dal mare, bagna i pavimenti dei locali ma non lava via le storie ed i ricordi……., non tutta questa massa liquida torna poi al grande blu infinito….un pochino ne rimane intrappolata in laguna, forse a far compagnia agli altri “prigionieri” di una vita che talvolta sembra smarrire il suo senso e fa disperare, affogandoci nell’incertezza…
Sibila una frase “il poeta QuYuan”: “Del quadrato si puo’ fare un cerchio?....”….
…..Forse si, potremmo pensare, proprio mentre le montagne lontane si fanno visibili nel fenomeno incredibile e quasi miracoloso dello “stravedamento”, creando un panorama di acqua e neve che sembra fondere assieme per un attimo oriente ed occidente sullo stesso orizzonte…
Con i casoni sull’acqua, le lanterne “luminose che galleggiano sui canali, le lingue rapide, perfide e veloci della gente che inganna la vita ed anche se stessa come con le parole passate di bocca in bocca tra due che nemmeno ne vogliono cogliere il significato ma che gioiscono al solo riceverle o donarle, mischiando tutto questo con i problemi dell’ integrazione e la complessità del vivere, Segre plasma con la “nuda” gentilezza che sa offrire il suo mestiere un film delicato, importante, di un suggestivo ed acutissimo sentimentalismo, capace di aprirsi anche molto oltre e di leggere fin dove i nostri sensi, molto piu’ ancora che il nostro sguardo, riescono ad arrivare….
In fondo, i grandi occhi neri di Shun Li che annegano sperduti quando pensa al suo bambino lontano o che, placidi, si illuminano di fronte al “miracolo” di Venezia”, le sue giornate prigioniere di tempi “assillanti e costrittivi” e le sue percezioni intorpidite dalla routine, dalla paura e dalla fatica ma sempre pronte a risvegliarsi quando ce ne sia un motivo, molto hanno da condividere con ognuno di noi…
Al nord, lontano da stravaganti “Padanerie” ancora batte il cuore di una Italia viva ed in grado di tramandare la testimonianza di umanità appresa dai nostri avi…
Un popolo di “Santi, navigatori e poeti…..talvolta oggi di creduloni, quando gridano forte i professionisti della paura”, ma certo ancora in grado di commuoversi, di galleggiare a piedi nudi sul mare, la dove c’era chi ora mancherà per sempre e adesso tutto è fuoco e fiamme, ogni cosa brucia ed anzi risplende, quasi fosse una gigantesca candela a pelo d’acqua, un ultimo omaggio all’uomo, il simbolico e toccante bacio dell’addio….
……. cosi' come non si fa piu’ e dovremmo invece esser ancora capaci di fare…
FRANCO - 20 SETTEMBRE 2011
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