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mercoledì 6 novembre 2013

BLANCANIEVES di Pablo Berger


Biancaneve nasce “anche” a Siviglia, all’inizio del secolo scorso: si chiama “Carmen” ed è figlia del leggendario torero Antonio Villalta (Daniel Gimènez), uno che combatte contro sei bestie alla volta.

Ma la sua venuta al mondo avviene in un giorno disgraziato: sua madre (Inma Cuesta) morirà nel darla alla luce mentre il padre perderà l’uso delle gambe; finirà poi per consegnarsi nelle grinfie della suadente infermiera Encarna (Maribel Verdù), perfida e scaltra abbastanza da farsi sposare dallo sventurato che ridurrà, in breve, ad un fantoccio in suo potere.

Anche “Carmencita”, dopo la morte della nonna (Angela Molina) sarà obbligata a trasferirsi dalla matrigna che la costringerà a subire angherie e soprusi, arrivando poi fino al punto di incaricare il suo amante/servitore di portarla nel bosco per ucciderla.

Sulle ali dell’abbuffata in patria di Premi Goya (ben dieci tra i quali “miglior film”) e forte della sua candidatura all’oscar 2014 in rappresentanza della Spagna, arriva in Italia “Blancanieves” del regista Pablo Berger, un fiaba surreale dall’anima (bianca e) nera.

Prendendo spunto dal racconto dei Fratelli Grimm il regista di Bilbao crea un film che sembra arrivare direttamente dall’epoca del muto, ricco di atmosfere gotiche; celebrativo della tauromachia, nelle intenzioni vorrebbe poi veleggiare dalla favola verso chissà quali altri lidi, passando attraverso licenze fantasiose e venature macabre.

Ma “Blancanieves” si arenerà presto a causa di una alquanto monotona prevedibilità: nella prima parte difatti vediamo perfettamente rispettato “il clichè di genere”, con la piccola bambina (interpretata dalla brava Sofia Oria) vessata dalla matrigna cattiva, costretta ad umilianti lavori ed impotente nell’aiutare il padre; poi, una volta che questa sarà cresciuta e sfuggita al controllo della perfida donna, arriva puntuale il cambio di passo ed ecco che Carmen incontrerà sul suo cammino sei (e non sette!...) “nani toreador”, i quali faranno affiorare le sue abilità nascoste fino a condurla ad esibirsi nella stessa arena dove ebbero origine le sue disgrazie (una sublime quanto facilmente ipotizzabile apoteosi della rivincita).

In opposizione a queste evoluzioni del racconto piuttosto scontate verrà in soccorso il finale della storia che ha un suo apprezzabile spunto creativo e si mostrerà capace di offrire un sussulto di originalità e di struggente sentimentalismo; prima di questo però, solo qualche piccolo siparietto di Encarna alle prese con il pavido amante Genaro Bilbao (Pere Ponce) - suo succube schiavo fino ad esserne letteralmente ridotto al guinzaglio – aveva stuzzicato la nostra attenzione.

Nella fiaba moderna la “regina” anziché il trono si vedrà sottrarre dalla figliastra “Biancaneve” la fama e l’ambita copertina della rivista “Lecturas” - simpatica intuizione anche questa - ma niente di più oltre quanto appena accennato troverete di stimolante e di davvero creativo nella pellicola di Berger, ricolma di eleganti merletti e velette nere e fin troppo straboccante di occhi sgranati ed espressioni “esageratamente piene”, tutte uguali l’una all’altra.

Coraggiosamente muto ed in bianco e nero, concepito senza parole come un melodramma dalle tinte funebri che strizza l’occhio – per stessa ammissione del regista – ai “Freaks” di Tod Browning, “Blancanieves” patisce soprattutto di una originalità assai intermittente e, nella seconda parte, della prestazione di una protagonista spesso non all’altezza: la bella ma non altrettanto brava Macarena Garcia, alla quale è affidato il ruolo di Carmen una volta cresciuta.


Berger però afferma incredibilmente di trovar la Garcia capace di “trasmetter con gli occhi” come la Renèe Falconetti della “Passione di Giovanna d’Arco” di Dreyer; questione di gusti ma anche di sguardi: magnetici e magnifici quelli dell'attrice degli anni venti, pallidi ed inutilmente lacrimosi quelli della nuova musa dei giorni nostri!

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