Paolo
(Giuseppe Battiston) è un omaccione piuttosto egoista, cinico e
bugiardo. Passa le sue giornate ciondolando nell’osteria
(…”osmiza”…) del vecchio amico Gustino (Teco Celio), dal
quale talvolta cerca rifugio, a notte fonda quando ha bevuto
troppo e deve abbandonare in tutta fretta la guida del suo furgoncino
giallo, per evitare che i vigili – appostati al varco sulla strada
– gli sequestrino la patente.
Lavora
di malavoglia nella cucina di una mensa per anziani ed
occasionalmente prova - con una corte puerile e patetica - a
riconquistare i favori della sua ex-moglie Stefania (Marjuta Slamic),
che però non vuol più saperne di lui ed ora vive assieme ad
Alfio (Roberto Citran), un uomo tranquillo che compone e colleziona
curatissimi uccelli di ceramica.
Paolo,
alla morte della lontana zia slovena Anja, non erediterà denaro
bensì un cane di ceramica ed un nipote adolescente dal nome
singolare: Zoran (Rob Prašnikar). Il giovane parla un italiano
colorito ed aulico, asserendo di averlo imparato leggendo
“capolavori” come “Lampi sull’Isonzo” di Giulio Previati e
“Lacrime di Fanciulla” di Enrico Cosulich (allo spettatore
scoprire se i due libri esistono realmente o sono un parto
immaginario degli sceneggiatori) e soprattutto ha una particolare
abilità nel cogliere il centro del bersaglio al gioco delle
freccette, bravura che lo “zio Paolo” reputerà propizia per dare
una svolta alla propria grama vita.
Il
film di Matteo Oleotto è ambientato al confine con la Slovenia, in
un paese del nord vicino Gorizia, città dove questi è nato; con
semplicità ed un umorismo caustico (dal retrogusto “etilico”…)
il regista cerca di cogliere alcune delle molteplici sfumature
nascoste dei suoi luoghi natii, le atmosfere quasi arcaiche e le
particolari solitudini di quelle lontane zone dell’Italia, i
caratteri ombrosi della gente o quelli invece gioviali, maturati tra
le odorose fragranze del vino.
I
suoi protagonisti si incontrano spesso in particolari luoghi
di ritrovo come le “Osmize”, locali di antica tradizione
dell’altopiano carsico, dove si vendono e si consumano vini e
prodotti tipici direttamente nelle abitazioni o nelle cantine dei
contadini che li producono.
Giuseppe
Battiston è il mattatore straripante (e “straripato”!) di questa
pellicola e regala al personaggio di Paolo Bressan la sua
“pachidermica bonarietà” assieme ad una punta di cattiveria,
ponendo l’accento su quell’egoismo insensibile tipico di coloro
che sono stati colpiti duro dalla vita e non hanno saputo rialzarsi e
reagire.
Lo
strano ragazzino erudito e dal viso dolce ed occhialuto suo malgrado
lo porterà - forse non del tutto casualmente - a dover guardare in
faccia la pochezza della sua realtà, troppo spesso aggirata solo con
le armi della menzogna o di mezzucci ed espedienti occasionali,
costringendolo infine a riconsiderare il suo approccio con la
vita.
“Zoran
– Il mio nipote scemo” si avvale delle armi di una commedia
corrosiva, avendo come obiettivo anche quello di colpire
“distrattamente” al cuore dei nostri sentimenti che, a dire il
vero, per lunghi tratti sfiora solo marginalmente - tergiversando
perlopiù tra situazioni divertenti e battute acide e beffarde -
riuscendo però, proprio sul finale, a centrare anche questo
bersaglio, quando ogni cosa si scioglierà in una fragorosa risata
dal sapore fresco e liberatorio.
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