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venerdì 11 ottobre 2013

ANNI FELICI di Daniele Luchetti


Guido (Kim Rossi Stuart) è un giovane scultore e pittore. Nel suo studio trasforma i corpi delle modelle in lampade moderne e trasgressive. La sua vita è perennemente sospesa tra il mondo affettivo e le ambizioni creative. Visceralmente è convinto che tutto quel che è convenzionale non possa esser bello, che ogni cosa che riesca facile sia sbagliata.

Sua moglie Serena (Micaela Ramazzotti) più che dell’arte è innamorata dell’artista. I suoi desideri semplicemente coincidono con la felicità del marito e - gelosie a parte - ha come unico cruccio quello di non esser mai davvero all’interno del “cerchio” dove ardono le passioni del suo uomo: difficile stargli vicino nel modo giusto, senza sbagliare il tempo.

Due i figli della coppia: Dario, di appena una decina d’anni, è il più grande. E’ lui – divenuto oramai adulto – a commentare fuori campo i giorni lontani del suo movimentato passato in questo “Anni Felici” di Daniele Luchetti ed a prestargli la voce è proprio lo stesso regista.

Non è un caso, perché questo suo ultimo lavoro è fortemente intriso di riferimenti autobiografici: basti pensare che il titolo di lavorazione della pellicola era addirittura “Storia metaforica della mia famiglia” e se ciò non fosse sufficiente a render l’idea sappiate che il padre del regista, Luca, era anch’esso scultore, mentre il nonno – Romeo - un pittore.

Filtrando la sua vita attraverso la finzione cinematografica, Luchetti ritorna all’estate del 1974 quando egli stesso, ancora bambino, si ritrovava talvolta confinato nell’angolo di una stanza ad osservare il padre mentre frequentava esponenti di spicco dell’avanguardia artistica Romana degli anni ’70 (Pascali, De Dominicis e Pistoletto, tra gli altri).

Ma a dominare la scena ci sono soprattutto “due genitori a mano armata”, eredi diversi della libertaria ed infiammante stagione del “sessantotto”: inevitabile rimanere coinvolti dentro tutte le loro discussioni, difficile rimanere alla larga dalla loro piccole e grandi esplorazioni, impossibile evitare poi le tensioni e le ricadute derivanti da tutto questo.

In quel periodo sarebbe stata approvata la legge sul divorzio, la rivoluzione sessuale avrebbe continuato a muovere i suoi passi e le posizioni femministe - ancora per poco tempo - avrebbero continuato ad avanzare: erano giorni pieni di entusiasmo, di passione e voglia di cercare risposte, dalla mente e dall’anima ma anche dal corpo; forse non propriamente o “solamente” felici ma durante i quali si avvertiva, costante, la tensione e la voglia di muovere verso il proprio sentire, di andare incontro al senso pieno delle cose e di “graffiare” la vita con le emozioni.

Nonostante tanto impeto e commovente limpidezza, poteva comprensibilmente capitare che le difficoltà della vita costringessero l’arte – e l’artista – ad “abdicare” ad integrità e purezza per sottostare ai bisogni ed alle urgenze del sostentamento quotidiano: non si trattava esattamente di “vendersi” ma perlomeno di “venir comprati”!

Pochi gli incorruttibili e gli indisponibili a qualsiasi compromesso, sempre fieramente in lotta per affermarsi in ambienti di nicchia, combattendo la “dittatura” dei galleristi e dei critici e pronti a dilatar le fauci in faccia al capitale ed alla borghesia.

Quando il piccolo Dario - alle prime armi con la sua cinepresa Super 8 (l’inseparabile regalo di nonna) - abborderà casualmente il remunerativo mondo della pubblicità guadagnando al primo colpo ben 1.800.000 lire (toccò sorte analoga allo stesso Luchetti?), inevitabilmente alimenterà qualche rabbia e sconcerto nel padre Guido, un “integralista” mai davvero arreso ad accettare l’eterna commistione tra creatività e denaro.

In mezzo a questo effervescente contesto - dove si agitavano tormenti e vitalità prorompente - “Anni felici” srotola la sua storia, mostrandoci gli eventi dal suo privilegiato e sentimentale osservatorio, quello di un nucleo familiare fin da principio agitato dal temperamento artistico di Guido e dalle sue disordinate spinte emotive ed istintive, poi in balia delle scoperte inattese di Serena (assieme all'amica Helke – Martina Gedek), infine di ogni nuovo slancio e di tutte le ulteriori consapevolezze acquisite, vere o presunte.

Rossi Stuart e la Ramazzotti – spesso inquadrati in primo piano - cercano generosamente di porgerci le loro sfumature più nascoste, dipingendo al meglio le passioni irruente, le tenerezze impreviste, le spigolose insicurezze.

Luchetti (sceneggiatore assieme a Stefano Rulli, Sandro Petraglia e Caterina Venturini) è bravo a non caricare i suoi protagonisti con responsabilità troppo pesanti – non per questo volendogli sfuggire – ed a lasciare il suo film protetto da un clima di sostanziale leggerezza, riuscendo a sciogliere le asprezze delle tematiche forti dentro toni vicini alla commedia.


Se è vero che l’arte ha bisogno di stimoli e vitalità e che spesso si nutre più nel travaglio che non nella pace o nell’appagamento, “Anni Felici” - nonostante una certa spensieratezza - sembra rispettare la regola: la pellicola è ben foraggiata da un vissuto di quelli che hanno poi segnato ogni giorno a venire, corroborata (talora con qualche piccola convenzionalità) da un sempre piu’ navigato e disinibito mestiere nel saperlo raccontare.

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