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giovedì 14 febbraio 2013

RE DELLA TERRA SELVAGGIA di Benh Zeitlin


La piccola Hushpuppy (Quvenzhanè Wallis) vive con suo padre Wink (Dwight Henry) nella “grande vasca”,  un angolo insalubre e degradato della Lousiana: mamma è andata via tanto tempo fa - forse a nuoto? - lasciandole in ricordo solo una canottiera rossa; il resto del mondo è lontano, oltre il lungo muro della diga.
Attorno a loro una comunità pittoresca di uomini e donne che la necessità quotidiana ha reso teneramente spavaldi: se avessero le ali, dentro l’uragano che sta per abbattersi su di loro ci sguazzerebbero dentro.
Alla bambina  raccontano di quando l’uomo un tempo era niente altro che cibo da colazione: perché qualsiasi cosa fa parte del grande banchetto dell’universo!
Hushpuppy  apprende rapidamente che l’intero mondo si regge sull’incastro perfetto di tutte le cose e che quando qualcosa si rompe, se riesci a riparare il pezzo, tutto puo’ tornare come prima.
Per adesso però la piccola Hushpuppy aggiusta  giusto quello che può, oltre ad occuparsi di suo padre gravemente malato; imparerà poi a pescare i pesci gatto con le mani ed infine un giorno saprà anche affrontare i terribili “Aurochs”, i giganteschi animali preistorici che forse stanno tornando a causa dello scioglimento dei ghiacci.
“Beasts of the southern wild” – questo il titolo originale - è l’esordio folgorante di Benh Zeitlin, già vincitore della “Camera d’Or” a Cannes e del “Jury Prix” al Sundance.
Zeitlin ci conduce in un agglomerato di baracche ai margini della città, in una dimensione povera dove però regna una  libertà che incute rispetto, un luogo per alcuni aspetti tribale e dove ogni giornata deve esser traghettata dall’alba alla sopravvivenza, navigando  con difficoltà l’acqua paludosa sopra pezzi d’auto galleggiante, in cerca di quel che è necessario per vivere o rattoppando le case in legno sventrate dalla furia della natura utilizzando  pezzi di lamiera.
La nostra guida  in questo “infernale paradiso” è Hushpuppy: è qui che la piccola cresce – e deve farlo in fretta! -  pensa, osserva e mostra i suoi “muscoli inesistenti” a papà.
Ogni tanto avverte il mondo - “urlando silenziosamente”  - che un giorno sarà lei a comandare e intanto impara a spezzare i granchi con le mani, sovrappone la sua fervida fantasia alla realtà – e se papà fosse diventato un albero? -  la mischia con i suoi ricordi e se non ne ha li inventa; poi quando ha paura corre a rifugiarsi sotto una scatola di cartone.
I suoi maestri – e la sua ostrica – sono dei sudici ed amabili straccioni, che all’occorrenza tutto sanno ancora  recuperare degli istinti primordiali dell’uomo e del senso vero della vita.
Non bisogna però rendere merito a “Re della terra selvaggia” solamente per una magnifica  bambina (candidata all’Oscar) , i suoi  ispirati protagonisti e la sua ambientazione perché il film di Zeitlin - oltre ad avere una sua avvenenza carsica quanto prepotente nel guadagnarsi un passo dopo l’altro la superficie - si presta ad una lettura molto piu’ complessa di quel che sembra,   che va ben al di là della sua capacità  – tra le altre cose -   di ravvivare la nostra inerzia emotiva.
E’ un grande e maturo racconto sul passaggio dall’innocenza all’età adulta, sulla vita che si confronta con le difficoltà ed il dolore e poi  con la morte e la malattia,  capace nel mentre di alzare  lo sguardo anche sugli equilibri antichi ed attuali della natura e del pianeta.
Con efficacia si concede grande libertà stilistica quando lo ritiene necessario: magnifico ad esempio il momento - che rimanda a certa letteratura sudamericana - quando viene evocata la figura della  madre di Hushpuppy, al cui passaggio l’acqua nelle pentole comincia a bollire spontaneamente, un segmento del film che “emana”  bellezza cristallina mostrando null’altro che tegami e fornelli.
Zeitlin riesce a far coesistere momenti di  irreale sospensione dalla realtà con l’asprezza della vita  e ne  distilla purissima cinematografia d’autore, sapendola condurre  fino ad un culminare radioso e di intensa poesia, quando farà affacciare alcune piccole creature dentro un bordello ed assegnando ai  volti amorevoli delle prostitute ed ai  loro abbracci il compito di diffondere generosamente  nell’aria tanto candore e  purezza che non ne esistono altrettante in tutto il paradiso.
Chiude infine  la sua pellicola con un faccia a faccia mitico, selvaggio, dal sapore ancestrale, una visionaria conclusione  fatta di emozione, sbuffi nell’aria  e carne viva di bambina.
La città intanto continua a far salire fumi velenosi da lontano ed i suoi uomini presto torneranno per minacciare o rendere esecutiva una “evacuazione obbligatoria”.
Dall’altra parte qualcuno è già pronto a  resuscitare l’eterna forza e l’antico coraggio di sempre, magari mandando giù prima un sorso di liquore, quello stesso usato per un ultimo solenne addio o da tracannare un attimo dopo aver ricacciato indietro l’ennesimo maledetto ciclone.  

1 commento:

Unknown ha detto...

Non è vero, i muscoli ce li ha, anche ben delineati, io li ho visti!