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lunedì 18 febbraio 2013

VOL SPECIAL di Fernand Melgar



Dopo la meritata attenzione ricevuta al 64° Festival di Locarno e grazie alla distribuzione di “ZaLab”, arriva in Italia, per qualche breve apparizione sparsa nelle sale della penisola,   il “film-documentario” del regista Svizzero Fernand Melgar: “Vol Special”
La pellicola è interamente girata all'interno del “Centro di Detenzione Amministrativa” di Frambois, in Svizzera.
Grazie al film di Melgar possiamo provare a comprendere cosa siano questi luoghi, dove esseri umani etichettati come “illegali” (intendendoli come privi di documenti regolari) possono rimanere rinchiusi  fino a  due anni solo in attesa che sia emesso un primo giudizio!
Spesso, trascorso questo tempo, la maggior parte dei detenuti – che le autorità preferiscono chiamare “residenti” - vede prolungarsi in modo indefinito  la  permanenza, nella maggior parte dei casi andando comunque incontro ad un  successivo decreto di espulsione.
Qualora questi non vogliano volontariamente rispettare l’ordine di rimpatrio verso il  loro paese d'origine viene attuata l'aberrante procedura del “volo speciale”, ovvero gli espulsi vengono scortati in manette fino all'aeroporto dove un velivolo li condurrà fuori dai confini, lontano da un suolo dove per loro  è divenuto illecito permanere e risiedere; eventuali reazioni violente o recalcitranti ribellioni sono preventivamente neutralizzate con disumani  mezzi di contenimento quali cinghie e legacci.
I “Centri di Detenzione Amministrativa” Svizzeri sono grosso modo l'equivalente in “bella copia” dei nostri “Centri di Identificazione ed Espulsione (C.I.E.)”, dei “non luoghi” dove regole e procedure scandiscono il passare dei giorni e lo sconforto e la disperazione si possono attenuare  facendosi compagnia l'un con l'altro,  ingannando il trascorrere del tempo con una partita a carte oppure a biliardino.
In questa sorta di  “limbo infernale” - che stampa ed opinione pubblica di tutta Europa si preoccupano assai poco di considerare e che a tutti gli effetti è assimilabile ad una prigione -  vivono privati della loro libertà non pericolosi criminali ma uomini che hanno una famiglia e magari una casa, tra cui molti che per alcuni periodi hanno svolto regolarmente una professione pagando le  dovute tasse ma poi, persi o non recuperati i requisiti previsti dalla legge, si sono ritrovati “clandestini”, forse persino a loro stessa insaputa.
Sono “viaggiatori colpevoli d'aver viaggiato” ed ai  quali gli “Stati-Nazione”, impietosi e prepotenti, decidono   di vietare alcuni fondamentali diritti  in relazione alle  condizioni di volta in volta maturate nei confronti della legge e delle sue successive variazioni.
Melgar porta il suo occhio tra questa gente rinchiusa,  “temporaneamente costretta  a subire una interruzione della propria esistenza”. Passa un anno a realizzare il suo lavoro, trovando anche il modo di entrare in confidenza con molti dei protagonisti del suo documentario,  dei quali ci fa condividere sorrisi ed amarezze, pensieri, emozioni e testimonianze..
La sua pellicola si insinua sotto la nostra pelle come un dolore sottile ma costante, semplicemente mostrando le procedure assurde ed i regolamenti asettici e  proprio grazie a tanto ordine unito alla disarmante quiete della struttura di Frambois ogni cosa trova, paradossalmente e per contrasto, il modo di  risaltare ancor di più  in una prospettiva negativa.
Osservare come  questo “lavoro” - che svolgere dovrebbe essere  semplicemente insostenibile per la sensibilità media di un essere umano -  venga in ogni sua fase  “addomesticato”, riducendosi a poco meno di una difficoltosa procedura da svolgere, toglie presto il velo sulle piccole e grandi aberrazioni che si consumano  nella   “prigione gentile”, che finisce per mostrare  così  tutta  la sua crudeltà e la sua freddezza, rivelandosi suo malgrado anche attraverso  i volti ed i comportamenti di ognuna delle figure professionali che vi operano.
Non è  casuale che “l’ottica della situazione e dell’azione” vengano deformate  fino ad arrivare a concedere solo uno spazio infinitesimale all'emozione umana, costringendo il più possibile  l’espletamento delle operazioni in schemi che favoriscono l’inabissarsi di ogni turbamento e facilitano l’affiorare  tutt’al piu’ di un dispiacere di circostanza, magari misto alla rigenerante – e giustificante - consapevolezza di aver adempiuto al proprio dovere.
E’ in questo stato di cose che si evidenzia ancor di più  un corto circuito gravissimo e spesso decisamente sottovalutato, quello che  a cuor leggero  abbina la burocrazia e l’iter procedurale  agli esseri umani, senza preoccuparsi di distinguere la carne viva dall'inerte adempimento formale, abbassando le persone al livello di un fascicolo o di una pratica da sbrigare.
D’altro canto è questa una delle  tante forme di difesa e d’esercizio del potere scelta dal  “Grande Impero d' Europa”, quella di porre un argine  di convenzioni micidiali  che a colpi di leggi e documenti, abusi e colpi bassi respinga con efficienza il “nemico invasore”; l’ostilità verso l'immigrato è palesemente dichiarata nei fatti  ma non altrettanto c’è il coraggio di  ammetterla onestamente ed a viso aperto durante un pubblico dibattito che forse  finirebbe per turbare la coscienza di troppi tra la  vasta popolazione del continente. 
Così la battaglia procede, lunga e logorante, tra espulsioni,  respingimenti e mancati soccorsi in mare e tutto questo - assieme allo spauracchio dei “C.I.E.” o di strutture similari - diviene un monito terribile per chi volesse avventurarsi in direzione dei nostri confini. La ragion di stato e la legislazione dell’ Unione continuano intanto a mietere ogni anno centinaia  di vittime e la legge del piu' forte sembra destinata, per molto tempo ancora,  a prevalere ed a prevaricare. Nessuna traccia di vere politiche di inclusione ed integrazione sembra intravedersi all’orizzonte.
“Non sarà così per sempre, prima o poi il mondo cambierà” ammonisce il Sig.Kitima Pitchou, originario del Congo,  uno dei protagonisti della pellicola “Vol Special” , rinchiuso a Frambois da 12 anni ; nel mentre un suo compagno morirà soffocato durante un trasferimento coatto, forse per esser stato legato troppo stretto o per un uso improprio della forza da parte degli “accompagnatori”.
Allucinante dopo questo terribile episodio riconsiderare a posteriori le parole adoperate dalle istituzioni, incredibilmente vuote ed  ammantate di  falsa cordialità: “Le verrà garantita trasparenza, dignità e rispetto”.
Questa la promessa rinnovata ogni volta all’interessato quando viene avviato al “volo speciale” e di certo nessuno si azzarderà mai ad adoperare un vocabolo ingombrante come “deportazione” al posto del quale viene usato invece, provando a smorzare i toni della repulsa,  una espressione   dall'accento meno grave quale “rimpatrio forzato”.
A tal proposito meriterebbe ampio spazio una riflessione  sul significato odierno delle parole asservito all'uso e alla necessità, una “moderna deriva etimologica” volta – scientemente e non senza dolo - a travisare il senso della percezione del reale.
Anche per questo “Vol Special” è un documento fondamentale, con la sua quieta ma decisa caparbietà nell’illuminare senza clamore questioni scabrose ed ignorate dai media, che riesce a tener vivo l’interesse del suo racconto con toni pacati ma evidenziando con nettezza  le   difficoltà nel poter pretendere i propri  diritti da parte di  esseri umani resi “diversi” a colpi di carte bollate. 
Impietosamente  Melgar inquadra  le manette e persino le catene ai piedi di uomini che non hanno commesso alcun crimine eppure sono trattati come bestie, portati via nella notte senza nemmeno la possibilità di salutare coloro con i quali hanno diviso l'ultimo periodo della loro vita e così facendo muove verso un “salutare tormento” i nostri pensieri e le conseguenti inevitabili riflessioni.
Stiamo tutti coinvolti ed assieme stiamo scrivendo questa terribile ed infangante pagina di storia contemporanea, compreso chi tace e si volta dall'altra parte. Non è quindi solo della dignità di altre persone che stiamo parlando ma anche della nostra “distrazione” (…) o meglio della  noncuranza che rischia a breve di macchiare irrimediabilmente la nostra reputazione ed assieme la nostra coscienza, qualora un giorno dovessimo rilevare nel nostro comportamento superficiale di oggi, la colpa di una trascuratezza divenuta nel frattempo infamia.

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