Cosa
ne è stato della rivoluzione culturale (sociale,
politica…filosofica) che agitava il finire degli anni ’60 è la
realtà odierna a dircelo, meglio di qualsiasi film
e purtroppo senza grandi possibilità di smentita.
Con
il suo “Qualcosa nell’aria”, Olivier Assayas - che quella
stagione la abitò da protagonista nella surriscaldata Francia,
avendo giusto l’età nella
quale i sogni fermentavano quotidianamente assieme all’impeto, la
rabbia e l’impegno sociale –
prova a ricomporre il quadro d’insieme, riversando i suoi ricordi,
le sue convinzioni ed i suoi ideali dentro una pellicola, nel
tentativo di cogliere i molteplici aspetti di un
periodo agitato e tumultuoso, disseminato anche di errori, abbagli e
delusioni ma certo pieno di calorosa passione.
Qualche
anno dopo il maggio francese – era il 1968 e nel film siamo nel
1971 - alcuni ragazzi di un liceo Parigino sono ancora nel guado
dell'esistenza che separa le sponde dell'impegno politico collettivo
da quelle di una ricerca artistica ed un percorso di vita
individuale.
Blaise
Pascal dai libri - per bocca
del professore - rimarca la
fragile inconsistenza della loro vita, niente di piu' che un
passaggio temporale verso il cielo o l'inferno,
mentre sono l'impegno quotidiano o gli scontri di piazza a scorticare
la loro pelle viva: è l'onda d'urto della realtà che ogni giorno li
nutre di stimoli ad al tempo stesso rischia di travolgerli.
Il
ferimento piuttosto grave di un vigilante della scuola, durante un'
incursione notturna, separerà i destini del gruppo: qualcuno si
allontanerà dalla Francia verso l'Italia per “ragioni di
opportunità”, altri verso Londra (Laure/Carole Combes), culla
della controcultura che nasconde anche il dono avvelenato
dell'eroina; poi le monete per tre volte indicheranno il Nepal e la
vita di alcuni dei ragazzi viaggerà incontro a nuove distanze.
Assayas,
attraverso le figure giovanili ed irrequiete tratteggiate dai suoi
attori, delinea - con un
trasporto che talvolta raffredda fin troppo con la sua puntigliosa
regia e le interpretazioni molto composte dei suoi attori - un
periodo storico di svolta e formazione, quando i fatti sembravano
dover finalmente seguire il passo delle idee.
Il
termine rivoluzione non sembra per il regista Francese una parola né
archiviata, né del tutto sopita e con il suo “Apres Mai” – il titolo originale è assai più significativo ed
identificativo – prova a
ricordare dove si è interrotto il cammino (suo e di altri), quali
furono le ragioni e dove diramarono le strade partendo dal loro
epicentro di fuoco, quello che sembrava dovesse far saltare in aria
il mondo come una polveriera.
C'era
qualcuno che cercava davvero di proiettare la realtà oltre il
grigiore di una stanca e ripetitiva quotidianità ed ambiva a
scuotere le masse, altri che finirono per vivere totalmente
nell’immaginazione non riuscendo nemmeno ad aprire la porta quando
il futuro bussò chiedendo di entrare.
I
protagonisti del film di Assayas
– un piccolo campione che vuole essere rappresentativo di tutta
un'epoca – sono uomini e donne
che, pur lasciando trasparire un vigore interiore che vorrebbe
tracimare all'esterno, sembrano a tratti alieni, avulsi da loro
stessi o smarriti e che si animano solo nell’operosità, alle prese
con un ciclostile o quando debbono fronteggiare le cariche delle
forze dell’ordine.
L’edonismo
era lontano, sconosciuto o in
secondo piano; c'era semmai
voglia di sperimentare e conoscere, scoprire se stessi ed il proprio
corpo, allargare il campo d’azione della propria mente e la
percezione del circostante, inevitabilmente aprendo anche voragini
nelle quali con estrema facilità si poteva scivolare dentro:
così fu per alcuni che, seppur durante una ricerca generosa ed
istintiva, lasciarono troppo spazio alle droghe che finirono per
prendere il sopravvento.
Quali
scelte parevano possibili? Vivere
il presente per marciare coerenti e senza compromessi verso un
obiettivo comune oppure prediligere di lasciar affiorare giorno per
giorno l’anima senza controllare nulla, tra coraggio e confusione,
spesso finendo incontro al risveglio e la disillusione.
Christine
(Lola Crèton) persevererà in qualche modo nel suo impegno,
inseguendo gli ideali; Gilles (Clement Metayent) rifiuterà dogmi e
violenza, abbandonerà la passione della pittura e lavorerà nel
cinema, ritrovandosi infine su un
set dove la
star ancheggia sui tacchi a spillo e non distingue la destra dalla
sinistra
(una allusione politica o
solo la difficoltà nel comprendere il lato giusto dal quale
abbandonare la scena?), una
figura rivelatrice di nuove superficiali inconsistenze che avanzano e
finiranno per imporsi.
Come
nei “Dreamers” di Bernardo Bertolucci ma con un visione molto
piu' ampia e dettagliata dello scenario generale, “Qualcosa
nell'aria” è una fotografia di giorni importanti del passato
recente, dalla “lungimiranza spericolata” e che ancora si agitano
tra le maglie del nostro presente senza avere più lo stesso vigore
di allora.
E'
il ritratto di una
fase storica dove sembrava delinearsi con chiarezza che non si
dovesse subire la stanchezza mortifera dell'abitudine e l'esigenza
della vita pareva imporsi come il vero programma rivoluzionario:
davvero i sogni parevano a portata di mano, toccarli e poi
realizzarli qualcosa di possibile.
Forse
per Assayas e molti altri della sua generazione questa riflessione
potrebbe essere anche - o soltanto - una questione di nostalgia, ma è
in tutti quelli nati negli anni successivi che potrebbe affiorare
una sorta di invidia, mista ad una consapevole e troppo quieta
disperazione: quella di non aver mai potuto nemmeno provare a
immaginare e costruire un mondo migliore.
1 commento:
il roscio è l'unico che merita rispetto
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