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martedì 29 gennaio 2013

QUALCOSA NELL'ARIA di Olivier Assayas


Cosa ne è stato della rivoluzione culturale (sociale, politica…filosofica) che agitava il finire degli anni ’60 è la realtà odierna a dircelo, meglio di qualsiasi film e purtroppo senza grandi possibilità di smentita.

Con il suo “Qualcosa nell’aria”, Olivier Assayas - che quella stagione la abitò da protagonista nella surriscaldata Francia, avendo giusto l’età nella quale i sogni fermentavano quotidianamente assieme all’impeto, la rabbia e l’impegno sociale – prova a ricomporre il quadro d’insieme, riversando i suoi ricordi, le sue convinzioni ed i suoi ideali dentro una pellicola, nel tentativo di cogliere i molteplici aspetti di un periodo agitato e tumultuoso, disseminato anche di errori, abbagli e delusioni ma certo pieno di calorosa passione.

Qualche anno dopo il maggio francese – era il 1968 e nel film siamo nel 1971 - alcuni ragazzi di un liceo Parigino sono ancora nel guado dell'esistenza che separa le sponde dell'impegno politico collettivo da quelle di una ricerca artistica ed un percorso di vita individuale.

Blaise Pascal dai libri - per bocca del professore - rimarca la fragile inconsistenza della loro vita, niente di piu' che un passaggio temporale verso il cielo o l'inferno, mentre sono l'impegno quotidiano o gli scontri di piazza a scorticare la loro pelle viva: è l'onda d'urto della realtà che ogni giorno li nutre di stimoli ad al tempo stesso rischia di travolgerli.

Il ferimento piuttosto grave di un vigilante della scuola, durante un' incursione notturna, separerà i destini del gruppo: qualcuno si allontanerà dalla Francia verso l'Italia per “ragioni di opportunità”, altri verso Londra (Laure/Carole Combes), culla della controcultura che nasconde anche il dono avvelenato dell'eroina; poi le monete per tre volte indicheranno il Nepal e la vita di alcuni dei ragazzi viaggerà incontro a nuove distanze.

Assayas, attraverso le figure giovanili ed irrequiete tratteggiate dai suoi attori, delinea - con un trasporto che talvolta raffredda fin troppo con la sua puntigliosa regia e le interpretazioni molto composte dei suoi attori - un periodo storico di svolta e formazione, quando i fatti sembravano dover finalmente seguire il passo delle idee.

Il termine rivoluzione non sembra per il regista Francese una parola né archiviata, né del tutto sopita e con il suo “Apres Mai” – il titolo originale è assai più significativo ed identificativo – prova a ricordare dove si è interrotto il cammino (suo e di altri), quali furono le ragioni e dove diramarono le strade partendo dal loro epicentro di fuoco, quello che sembrava dovesse far saltare in aria il mondo come una polveriera.

C'era qualcuno che cercava davvero di proiettare la realtà oltre il grigiore di una stanca e ripetitiva quotidianità ed ambiva a scuotere le masse, altri che finirono per vivere totalmente nell’immaginazione non riuscendo nemmeno ad aprire la porta quando il futuro bussò chiedendo di entrare.

I protagonisti del film di Assayas – un piccolo campione che vuole essere rappresentativo di tutta un'epoca – sono uomini e donne che, pur lasciando trasparire un vigore interiore che vorrebbe tracimare all'esterno, sembrano a tratti alieni, avulsi da loro stessi o smarriti e che si animano solo nell’operosità, alle prese con un ciclostile o quando debbono fronteggiare le cariche delle forze dell’ordine.

L’edonismo era lontano, sconosciuto o in secondo piano; c'era semmai voglia di sperimentare e conoscere, scoprire se stessi ed il proprio corpo, allargare il campo d’azione della propria mente e la percezione del circostante, inevitabilmente aprendo anche voragini nelle quali con estrema facilità si poteva scivolare dentro: così fu per alcuni che, seppur durante una ricerca generosa ed istintiva, lasciarono troppo spazio alle droghe che finirono per prendere il sopravvento.

Quali scelte parevano possibili? Vivere il presente per marciare coerenti e senza compromessi verso un obiettivo comune oppure prediligere di lasciar affiorare giorno per giorno l’anima senza controllare nulla, tra coraggio e confusione, spesso finendo incontro al risveglio e la disillusione.

Christine (Lola Crèton) persevererà in qualche modo nel suo impegno, inseguendo gli ideali; Gilles (Clement Metayent) rifiuterà dogmi e violenza, abbandonerà la passione della pittura e lavorerà nel cinema, ritrovandosi infine su un set dove la star ancheggia sui tacchi a spillo e non distingue la destra dalla sinistra (una allusione politica o solo la difficoltà nel comprendere il lato giusto dal quale abbandonare la scena?), una figura rivelatrice di nuove superficiali inconsistenze che avanzano e finiranno per imporsi.

Come nei “Dreamers” di Bernardo Bertolucci ma con un visione molto piu' ampia e dettagliata dello scenario generale, “Qualcosa nell'aria” è una fotografia di giorni importanti del passato recente, dalla “lungimiranza spericolata” e che ancora si agitano tra le maglie del nostro presente senza avere più lo stesso vigore di allora.

E' il ritratto di una fase storica dove sembrava delinearsi con chiarezza che non si dovesse subire la stanchezza mortifera dell'abitudine e l'esigenza della vita pareva imporsi come il vero programma rivoluzionario: davvero i sogni parevano a portata di mano, toccarli e poi realizzarli qualcosa di possibile.

Forse per Assayas e molti altri della sua generazione questa riflessione potrebbe essere anche - o soltanto - una questione di nostalgia, ma è in tutti quelli nati negli anni successivi che potrebbe affiorare una sorta di invidia, mista ad una consapevole e troppo quieta disperazione: quella di non aver mai potuto nemmeno provare a immaginare e costruire un mondo migliore.

1 commento:

ulisse ha detto...

il roscio è l'unico che merita rispetto