L’amore ai tempi del colera…..anzi, quelli dell’A.I.D.S…..
Nella Cina rurale di vent’anni fa (1990) c’è chi vende sangue infetto per arricchirsi e così la peste del nuovo millennio si diffonde in un piccolo villaggio che d’un solo colpo diviene un piccolo agglomerato sociale di reietti rifugiato in una scuola.
Però il giovane Deyi e la bella QinQin, dopo esser stati messi al margine dei loro matrimoni infelici, scoprono cosa è l’amore e pure che questo assieme alla gioia di vivere è piu’ forte di ogni malattia e conta assai di piu’ della quotidiana paura di morire….
Gu Changwei lascia raccontare ad un ragazzino sul quale dopo pochi minuti cala il coperchio della bara (...dovremmo forse stupircene come fosse una “fantasiosa e geniale intuizione”?...) una storia fitta di “colpe, amore, bassezze ed espiazione” che vorrebbe esser romantica e senza dubbio lo è, ma forse fin sopra l’apice del sostenibile soprattutto se a fargli da contorno c’è uno stridere di buoni sentimenti, angherie, sensi di colpa e piccole ruberie descritte tutte con la piu’ banale delle rappresentazioni, gettateci in faccia non tra le pieghe di una narrazione in grado di scoprircele attraverso vari stadi di eleganza ed intensità ma invece, come si accennava, attraverso situazioni scontate e prevedibili raffigurazioni…
Ma così facendo Gu Changwei brucia “a fuoco alto” tutto il capitale di valori ed umana dignità”, nonché ovviamente quelli estetici e formali, che la sua pellicola vorrebbe esprimere, e del contrasto forte di una malattia impietosa ed assassina che avrebbe avuto il compito nel meccanismo narrativo di mettere in risalto tanto gli sciacalli e gli approfittatori quanto coloro che, non solo non si disperdono nella bufera e nel disastro, ma anzi riescono a rafforzarsi addirittura divenendo “migliori”, rimangono risultati dall'effetto semplificativo e troppo convenzionale, appena in grado di “stuzzicare l'appetito” ma non certo di soddisfare la fame dei cinefili dal palato fine...
Così di questo “Love for life” che avrebbe voluto proporsi come “parabola d’amore universale” contro ogni nefandezza del genere umano, di questo canto contro tutti quelli che non sono nati nel lusso e per rivalsa della disgrazia ambirebbero a poco altro che poterci almeno morire, magari in una ridicola bara di pelle e legno intagliato, rimane poco piu’ di un “abbraccio gelato” capace di portare il sollievo all’innamorato arso vivo dal “fuoco della morte” e molte lacrime, forse troppe, che rigano ad “intervalli regolari” le gote lisce della bella QinQin, simbolo “esteticamente immacolato” (e anche qui il tono manca di misura come un pochino dappertutto in questo lavoro….) della donna prima vessata, poi amante innamorata, poi moglie e madre allo stesso tempo…..e cos’altro potremmo aggiungerci?....
…..davvero “Non uno di...... piu’!...“ (….altro pianeta la Cina del maestro Zhang Yimou del quale Gu Changwei è stato direttore della fotografia....) a questo “pout pourri” già troppo appesantito da qualsivoglia direzione lo si voglia prender in esame….
Non v’è dolo in questo tentativo di ricerca “poetica e romantica” e pure è condivisibile quanto corrisponde a verità e sarebbe a dire che “ogni giorno conta”….
……..ma conta ben di piu’, al cinema o in un romanzo, come sappiamo abbandonare le forme descrittive piu’ elementari per poter fare largo alle emozioni e la verità per mezzo di un immaginario che sappia sempre costruire di nuovo “il vecchio racconto” che ci portiamo dentro da sempre ed ovunque….
Dell’amore e di tutte le bassezze che lo combattono, da sempre perdenti, qui troviamo solo sbiadite rappresentazioni già viste altre mille volte e che si prova a ricaricare con un’enfasi a tratti traboccante fino ai limiti del sopportabile, supportate da niente altro che una discreta tecnica al servizio di un buono studio compositivo delle immagini…
….e non devo dirvelo certo io che non bastano un vestito rosso e fieri sorrisi che vanno incontro al dolore a far splender nel cielo la primavera dell’anima…..
FRANCO - 03 NOVEMBRE 2011
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