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venerdì 28 dicembre 2012

LO HOBBIT - UN VIAGGIO INASPETTATO di Peter Jackson


Come ben sanno i “devoti ed appassionati” di J.R.R. Tolkien il libro fondante de “La saga dell'anello” - e dove in principio viene rivelato lo sconfinato e fascinoso teatro de “la terra di mezzo” - è un libricino di appena poco più di trecento pagine: “Lo Hobbit”.

All'inizio della storia, in un buco della terra de “la contea” viveva Bilbo Baggins, tranquillo e spensierato; nel mentre, senza che questi ne avesse il benchè minimo sentore, la città fortezza di Ereborn, colma d'oro e di diamanti, veniva colpita da distruzione e fuoco per opera di Smaug, il terribile drago sputafiamme.

I nani, ovvero gli abitanti di Ereborn, sono così cacciati dalla loro stessa casa. Alcuni di loro si riuniranno però tempo dopo, chiamati a raccolta da Gandalf  “il Grigio”, per organizzare la riconquista del loro regno: luogo di ritrovo, prima di partire per la grande avventura piena di difficoltà e pericoli, la casa del pacifico Hobbit Bilbo Baggins: ad ora di cena ed a sua completa insaputa!

Era inevitabile che Peter Jackson mettesse mano al “libro origine” della terra di mezzo, vuoi per il successo miliardario e planetario dei primi tre episodi cinematografici da lui diretti, vuoi perchè proprio questo era all'inizio il suo maggior desiderio, prima ancora di girare la trilogia de “Il Signore degli Anelli”.

Stesse location, stessi sceneggiatori (Philippa Boyens, Fran Walsh e lo stesso Jackson) più Guillermo Del Toro - che a dire la verità nel progetto iniziale avrebbe dovuto trovarsi in cabina di regia – e grande dispendio di mezzi e di tecnologia, se possibile ancora più che in precedenza, con fotogrammi sparati sullo schermo alla velocità di 48 al secondo!

Ma la scelta di suddividere in tre parti anche questa storia, avendo a disposizione molte meno pagine che nella precedente occasione alle quali attingere – anche se si è provveduto a rinvenire appunti e compendi vari - sembra essere solo la prima delle difficoltà tra le quali Jackson e soci hanno dovuto districarsi e ne abbiamo una chiara percezione soprattutto nella prima ora della pellicola, che trascorre quasi per intero  passando in rassegna tutti i nani ed i vari “ospiti” che si presentano al desco dell’inebetito Bilbo.

Per farci trascorrere questo lungo frangente mangereccio senza darci troppo tedio, mentre si gozzoviglia della grossa svuotando una nutritissima dispensa, vola qualche battuta da osteria fuori testo e Gandalf all'occorrenza “infioretta” futili amenità sull'origine del golf.

Poi, all'indomani, i vecchi guerrieri (o quella che si appresta a divenire la compagnia della leggenda) saranno pronti a partire verso la “terra promessa” sotto la guida di Thorin Scudodiquercia (interpretato dal nuovo arrivo Richard Armitage) ed assieme a loro, ovviamente,  un titubante “mezzo uomo” avvezzo più al tiro alle castagne che a battersi con ascia o spada.

Il viaggio verso le “terre selvaggie” viene proposto da Jackson con un uso ridondante di maestose riprese aeree che, a dire il vero, più che condurre il suo lavoro a guadagnarsi definitivamente la patente di epico e leggendario stancano un po’  l'occhio dello spettatore mentre rimbalza freneticamente tra cielo e terra spossandosi nel vorticoso sali-scendi.

Anche la prima trilogia non era certo avara nel proporre imponenti scenari ed un massiccio uso di vertiginose riprese dall’alto ma riusciva probabilmente a bilanciarle con momenti piu’ intimi e “realistici”, grazie ai quali virtuosismo e concretezza giungevano alla  loro posizione di equilibrio.

Chiaramente non si risparmiano incontri con Orchi e Troll “repellenti e citrulli”, questi ultimi alle prese con le loro “pericolose e vomitevoli” ricette; nel lungo peregrinare nel  bosco faremo la conoscenza anche di uno strano personaggio che si fa trainare da una slitta di conigli, coglie funghi allucinogeni e fa l'aerosol ai porcospini: è lo stregone Radagast “il Bruno”, sulla cui trasposizione in carne ed ossa Jackson sembra un pochino calcare la mano in quanto a facezie, fino a farcelo sembrare quasi un fumato hippie con stracci da barbone piuttosto che un misterioso tipo dai poteri magici.

A dire il vero in questo “Lo Hobbit” si mantiene un passo davvero adeguato solo quando ci si immerge nei combattimenti, al solito frenetici, caotici e visionari come nei precedenti episodi e, soprattutto, quando entrano in scena i personaggi di “Azok il profanatore”, un orco pallido e cattivissimo che cavalca un bianco mannaro ed infine quando (ri)compare l'attesa primadonna “Gollum” (fantastica animazione digitale che parte dalle movenze dell’attore Andy Serkis), che sfiderà agli indovinelli lo scaltro Bilbo nello stesso frangente in cui questi si approprierà di “sua maestà l'anello” e ne scoprirà alcuni dei suoi magici poteri.

Il resto è già storia cinematografica alla quale sinceramente questo “nuovo primo episodio” per il momento poco aggiunge, a parte nuovi paesaggi incredibili  ed un turbinare di nomi fantasiosi di strani personaggi che,  sciorinati tutti assieme, rischiano di disorientare i neofiti del tutto a digiuno della saga, costretti magari ad annaspare tra diverse incomprensioni, rimandi e persino un po' di noia.

Mentre è lontano da venire il momento topico – rimandato ai prossimi episodi - quando l'ultima luna d'autunno cederà il passo al primo sole d'inverno così che la porta della montagna potrà mostrare come accedere oltre il suo valico, la lotta tra bene e male fa soltanto capolino tra gli scintillanti avvenimenti e Gandalf intanto ritaglia per noi qualche parola intensa giusto dal cuore filosofico e  morale del racconto, quando allude alle piccole cose come la gentilezza o i gesti quotidiani che tengono a bada l'oscurità, ovvero una metafora fantasy dell'umana solidarietà e della irrinunciabile nobiltà d'animo senza le quali la vita sarebbe un insostenibile esercizio di puro egoismo fine a se stesso.

Poi sono ancora ragni giganti, orde ruggenti di orchi contro la “feccia nanica”, ponti sospesi nel vuoto ed enormi pietre rotolanti che sbaragliano corpi d'ogni forma per l'aria, come fossero inanimati birilli.

Mentre Gandalf dedica più volte il suo tempo (e quello dei 164 minuti del film) a contare  i nani  (sono in tredici, non v’è dubbio!...) “Lo Hobbit” pare dimenarsi sullo schermo in una specie di “agitato stallo”, indeciso se il tempo di partir per l'avventura sia già scoccato o facendoci sperare di aver solo rimandato l'appuntamento al prossimo Natale.

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