VISITATORI

mercoledì 26 dicembre 2012

LA BOTTEGA DEI SUICIDI di Patrice Leconte


La crisi ti opprime ed angustia la tua vita? In fondo al viale c’è la bottega della Famiglia Touvache che ti aiuterà  a risolvere “definitivamente” il problema: perché una volta morti non ci sarà più di che lamentarsi!

Nel loro “Magazines des suicides” potrai trovare certo  una soluzione per abbandonare le tue sofferenze: dalla classica corda in canapa con nodo scorsoio già pronto (o in un sintetico più economico)  ad una pistola fornita di una sola pallottola (a cosa dovrebbe mai servire la seconda?); se gradite una dipartita indimenticabile e di grande levatura a soli ottocento euro (..!..) ecco  un “seppuku” in stile giapponese altrimenti vi conviene accettare l’offerta di un sorso di “Veleno Nr.5” oppure, se siete in coppia, c’è pronta per voi l’offerta di San Valentino: “Death for two”.

Insomma, suicidi per tutti i gusti ed in confezione regalo (che fa piu’, ehm, allegria…) e se la vostra vita è stata un fallimento, beh, fate almeno che la vostra morte sia  un successo!

Per i Touvache - papà, mamma e due bambini perennemente con il broncio, che quando soffiano sulle candeline per il loro compleanno festeggiano un anno in meno che gli resta da vivere -  il macabro business continua a gonfie vele e mentre i clienti riempiono le casse da morto loro riempiono di fruscianti bigliettoni la cassa del negozio.

Fino a che un giorno nasce il terzogenito Alan, un bambino “incomprensibilmente” allegro e dal sorriso insopprimibile…

“La bottega dei suicidi” (tratto da un romanzo di Jean Tulè) vorrebbe esser una godibile commediola nera e magari strizzare pure un pochino l’occhio a Tim Burton e le sue atmosfere cupe - ma sempre prodighe di invenzioni poetiche, fantasiose e magiche - e per il tratto del disegno al connazionale Sylvain Chomet.

Ma non basta qualche battuta azzeccata e nemmeno uno straccio di “invenzione vera” per ottenere un buon  risultato e difatti il film di Leconte tira i remi in barca fin da principio, rassegnandosi prima a mostrarci in sequenza un piccolo campionario di aspiranti suicidi, accogliendo poi l’arrivo dell’elemento destabilizzante – e salvifico - ovvero il neonato ostile alla tristezza ed ai musi lunghi e dirigendosi poi tra musica, odor di crepes e bolle di sapone verso un  finale di certo non sorprendente.

Sembra in verità di transitare dall’inizio verso la fine saltando a piè pari un qualunque ipotetico sviluppo nel mezzo, porzione di tempo abbandonata dalla sceneggiatura dove si accenna solo alla rinfusa e con vaghezza al rimorso, alla gioia di vivere che è contagiosa e, manco a dirlo, all’amore che tutto risolve.

Inoltre Leconte sceglie di intervallare la sua animazione a tempo di “musical”, affidando ad Etienne Perruchon il compito di riempire il pentagramma e tenendo per se stesso quello di scriver le parole, ma entrambi volano troppo basso per poter lasciare il segno ed anzi, tediandoci persino con composizioni e vocaboli ordinari di nessun impatto emozionale.

Resta inspiegabile l’abbaglio della censura Italiana che aveva inizialmente imposto un divieto addirittura ai diciotto anni provocando il ritiro della distribuzione del film.

La motivazione recitava incredibilmente così: “…la leggerezza con cui è trattato il tema dei suicidi e la facilità d’esecuzione, con forti rischi di emulazione da parte di un pubblico piu’ giovane, quali gli adolescenti (…?!...) che attraversano un’età critica. Per di piu’ la rappresentazione sotto forma di cartone animato costituisce un veicolo che agevola nel pubblico piu’ giovane la penetrazione di tale messaggio pericoloso.”

A conti fatti e dopo aver visionato una pellicola che con fin troppa cautela e nessuna inventiva o ispirazione poetica tenta di ergersi al di  fuori delle convenzioni, occhieggiando con distrazione al politicamente scorretto,  le grottesche ed insensate parole dei nostri “padri controllori” sono di gran lunga l’argomento più interessante del quale dibattere attorno a questo film.

Nessun commento: