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lunedì 5 novembre 2012

LE BELVE di Oliver Stone


A Laguna Beach in California, si coltiva - e si smercia - una marijuana impareggiabile e paradisiaca che vale tremila dollari al kilo.
Gli artefici di questo miracolo sono Chon (Taylor Kitsch) e Ben (Aaron Johnson): il primo è un reduce delle nuove guerre americane che durante la sua avventura in Afganistan ha scoperto dove si trovano i semi migliori del mondo (trentatré per cento di “Thc”, ovvero di principio attivo) mentre il secondo è un biologo che invece delle attività criminali sembra avere più a cuore  i destini del meno fortunato continente Africano.
Sono uno “terra” e l’altro “spirito” ma tutti e due dividono assieme i medesimi traffici e la stessa villa e così pure l’identica donna, la bella  “O/Ophelia” (Blake Lively);  meditano presto di abbandonare il campo per godersi la vita.
Ma non è il paradiso questo bensì il mondo visto dalla parte del diavolo che, come ben si sa, non appaia pentole e coperchi; così ecco arrivare le irrinunciabili “lusinghe” ed offerte dei narcos Messicani, comandanti dalla “madrina (Salma Hayek), i quali in caso di difficoltà non mancheranno di avvalersi dei servigi del loro uomo di fiducia, il sordido  Lado (Benicio Del Toro), un uomo dai metodi decisi e sbrigativi, buono per ricomporre  ogni tipo di “divergenza”!
Seguirà uno scontro all’ultimo sangue (o quasi) tra fiere fameliche pronte a tutto, filmato da un Oliver Stone professionalmente al meglio della sua forma, sarebbe a dire grande  dispensatore di  adrenalina estetica e cinematografica: lo Statunitense autore dei premiati  “Platoon” e “Wall Street” sfoggia  nel frangente scampoli di ottima regia ma  soprattutto si dimostra  sufficientemente saldo nel governare le sue pulsioni artistiche, come sempre estreme e ribollenti – soprattutto quando, non come in questo caso,  si intersecano con il “pathos” della politica -  fino a trovare l’ideale  “riposo” in un equilibrio dove efferatezze, sangue e violenza si amalgamano docilmente con l’ironia ed il ridicolo scherno, elargite in dosi perfette e con lodevole tempismo.
Il gioco riesce soprattutto grazie  ad un tris di attori al top sopra ai quali svetta senza rivali Benicio Del Toro, impareggiabile nella parte del  “laido-Lado”, un memorabile scagnozzo che esegue senza troppo fiatare ogni volontà della sua “Regina”, anche questa  caratterizzata al meglio da una Salma Hayek che sa conferirgli spessore e simpatia al tempo stesso, specie in occasione della sua visita  a “Gringolandia”; chiude un grasso e pelato John Travolta, il poliziotto Dennis, scaltro e furbo più di tutti, in poche mosse dilagante a  tutto schermo. 
“Le belve” – tratto dal romanzo “Savages” di Don Wislow, a detta di molti il miglior scrittore in attività del mondo dopo il ritiro di Philip Roth - è’ un cocktail shakerato con grande movimento di polso e giocato sul  filo di  “assurde plausibilità” che mettono insieme nello stesso improbabile ambiente – certo in forma spettacolare e romanzata “ad hoc” -  briciole di umanità e buoni sentimenti assieme a gesta sanguinarie e di famelica crudeltà (dal retrogusto “pulp”)  e con queste credenziali chiede il visto allo spettatore che, alla resa dei conti, annuendo ottiene l’accesso  ad un gradevolissimo gala cinematografico,  filmato con  mano frizzante,  del quale però tutto si deve prendere e nulla lasciare, evitando di lesinare applausi o perdendosi in minuzie ed appunti inopportuni per questo “tipo di gioco e di contesto”.
Chi è un purista e nutre sempre e comunque il bisogno di starsene senza sconti abbarbicato  alla realtà, il cui  il bagaglio di dolori e sofferenze  mai potrà realmente sciogliersi solo in deliziose scintille, giri alla larga da questo film!
Doppio “dulcis in fondo”, ovvero finale con due opzioni possibili:   si tratterà di propensione all’epilogo bulimico oppure semplicemente di un istintivo trasporto a consegnarsi ad un finale aperto senza l’obbligo di doverne “sentenziare” uno?  Meglio le pallottole che fischiano fra tradimenti e duelli all’ultimo sangue oppure lasciare il campo alle debolezze  di una mamma e di due giovani amanti in apprensione che riscoprono il  loro cuore battere all’impazzata, mentre  empietà criminali e malvagità  d’ogni genere gli scivolano a lato?
Stone non è tipo da porsi troppe domande di questo genere e nel momento in cui ha qualcosa da dire – e da dare - non si ferma di fronte a confini di alcun genere  né si lascia intimorire da superate convenzioni: da lui possiamo aspettarci generosità e nelle più riuscite occasioni la saturazione sfavillante di ogni angolo dello schermo,  non certo morigerati racconti per educande; meno che mai si allontanerà dai sicuri cortili del suo mestiere per sollevarsi fino a guardare allo stile eterno dei giganti della settima arte.

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