Resuscitare
la commedia all’italiana, da diversi anni a questa parte sembra
esser diventata una sorta di “emergenza nazionale di minoranza”:
i tentativi di soccorso si sono succeduti con vario impeto ma quasi
mai sono arrivati a buon fine.
Ci
prova stavolta l’esordiente
Sidney Sibilia con il suo
“Smetto quando voglio”: in produzione Matteo Rovere assieme alla
“Fandango” di Domenico Procacci.
Nel
paese dei “cervelli in fuga” – la nostra Italia, per l’appunto
- c’è ancora chi decide di rimanere: attenzione però, perchè
qualcuno tra questi – colpito dallo sconforto interiore e dalle
ristrettezze economiche - potrebbe cominciare a prodigarsi in
mansioni non proprio consuete ed attività ai margini della
legalità.
Nel
film di Sibilia sette capaci laureati - con le ambizioni
anestetizzate e travolti dalle difficoltà quotidiane - anziché
metter a frutto il loro ingegno nel campo di propria competenza sono
ridotti a barcamenarsi come qualsiasi disperato del nuovo millennio
“senza arte né parte”.
Due
latinisti (Mattia/Valerio Aprea e Giorgio/Lorenzo Lavia, figlio di
Gabriele), si arrabattano a lavorar di notte presso una pompa di
benzina, pagati a nero dal principale Cingalese; un antropologo
(Andrea/Pietro Sermonti) tenta di riciclarsi presso uno
“sfasciacarrozze”, arrivando persino a dichiararsi “pentito”
dei suoi studi giovanili; un archeologo classico (Arturo/Paolo
Calabresi) gira con il furgone del Ministero (che si rivelerà assai
utile in seguito…) e sorveglia in cantiere i suoi operai, troppo
impetuosi con il martello pneumatico; un laureato in economia
(Bartolomeo/Libero De Rienzo), convinto che a poker si possano
contare le carte si diletta a giocare – a corto di contante –
sfidando pericolosamente la pazienza di burberi energumeni
“sinti-circensi” mentre un chimico geniale (Alberto/Stefano
Fresi) è costretto nella cucina di un ristorante cinese, sognando
di scalare un giorno da lavapiatti a cameriere, per poter ambire
finalmente ad un salario da settecento euro al mese!
Completa
il quadro un brillante neurobiologo (Pietro Zinni/Edoardo Leo),
autore di un algoritmo rivoluzionario verso il quale però non sembra
esserci grande interesse da parte delle istituzioni che assegnano
riconoscimenti e fondi, cosìcchè a lui ed alla sua compagna
(Giulia/Valeria Solarino) - che di mestiere fa l’assistente sociale
e si occupa del recupero dei tossicodipendenti - non rimane che
pagare le rate dell’ascensore ed il sogno di una nuova
lavastoviglie a far da propellente erotico.
Proprio
al professor Zinni verrà l’intuizione fulminante di teorizzare una
“particolare molecola” ottenendone una “droga spaziale e
definitiva” che, velocemente, si trasformerà in denaro sonante.
Raccoglierà attorno a se i suoi “colleghi” e li trasformerà in
complici, assemblando una “estemporanea combriccola” che sedurrà
in un batter d’occhi “tossici clienti” di diversa estrazione
sociale.
Implicazioni
morali a parte, tutto sembrerebbe finalmente veleggiare con il vento
in poppa, anche perchè “il losco traffico” - dal momento che la
formula del “prodotto” non è ancora stata catalogata negli
elenchi del Ministero della Salute relativi alle nocive “smart
drugs” – risulterebbe essere addirittura legale. Ma, nemmeno a
dirlo, ben presto cominceranno i guai...
Come
recita la locandina “meglio
ricercati che ricercatori” e
così ecco che questi giovani che sanno “solo studiare” mettono a
punto (ovvero “studiano”) un piano per riprendersi la “dignità
scientifica” che gli spetta, assieme al giusto corrispettivo
economico.
Questa
banda di “Dottori alla canna del gas” che si trasforma in un
“gruppo di compravendita” di sostanze psicotrope richiama subito
alla mente film come “I soliti ignoti” o “La banda degli
onesti” oppure, nella moderna fluidità dello stile, il più
recente “Full Monthy”, paragoni pregevoli rispetto ai quali non
c’è certamente intenzione di plagio ma al massimo un deferente
omaggio.
Sidney
Sibilia, classe ‘81, dal canto suo ha sperimentato sulla propria
pelle quanto sia difficile sbarcare il lunario: infatti, prima di
approdare dietro alla macchina da presa, ha lavorato a Londra presso
un fast food, nei villaggi turistici ed infine nello studio di una
agenzia pubblicitaria.
La
genuinità del suo approccio, unita al lavoro professionale del cast
ed alla buona cura della sceneggiatura (dello stesso Sibilia assieme
ad Andrea Garello e Valerio Attanasio) ci regala un
film fresco ed intraprendente, forse non sempre in grado di
divertirci come vorrebbe o di mantenere il picco del suo potenziale.
“Smetto
quando voglio” è comunque una salutare ventata di comicità al
netto di facili espedienti e volgarità, in grado di delineare con
gusto e perspicacia il quadro inquietante della nostra disoccupazione
giovanile ed il dramma delle risorse sprecate, utilizzando la giusta
dose di ironia per cogliere più di un aspetto della tematica.
Manca
il fuoriclasse “vero”, quello che sappia strappare risate
all'unisono, quindi si lavora “in orchestra” e lo si fa
egregiamente, raggiungendo probabilmente la vetta nel frangente della
rapina in farmacia, fatta con “armi catalogate all’Hermitage”;
divertenti anche i tentativi di “raccogliere prove empiriche”
da parte del “chimico Alberto”, tra discoteche ed avances
omosessuali sul divano, oppure l'accenno all’uso dei prefissi
“Boliviani” come escamotages per evitare intercettazioni
telefoniche. Sorprenderà infine scoprire quanto il pericoloso “Er
Murena” (un improbabile e sfregiato malavitoso interpretato da Neri
Marcorè) abbia in comune con i nostri “criminali/ricercatori”
rispetto a quel che avevamo considerato!
Nonostante
qualche prevedibilità di troppo e le risate a intermittenza “Smetto
quando voglio” è da considerarsi un riuscitissimo lavoro
artigianale, che traccia un solco semplice quanto coraggioso, da
imitare e migliorare: dategli
fiducia e fate un salto in sala, prima che i soliti “spacciatori di
cine-cialtronerie” vi risucchino nuovamente cervello e sorrisi con
la loro disgustosa “roba avariata”.
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