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domenica 17 giugno 2012

IL MUNDIAL DIMENTICATO di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni

 

Nel 1942, il visionario, filantropico e fantomatico Conte Otz decise di contrastare l'imbecillità degli uomini impegnati nella “guerra mondiale” organizzando nella Patagonia Argentina il mondiale di calcio che una “F.I.F.A.”,  prona ai regimisporticidi”, aveva deciso di non far disputare.

Assegnò, allo scopo di consegnare la manifestazione alla storia,  il compito di effettuare le riprese ad un cineoperatore di provinciaa dire il vero un fotografo di matrimoni – tale Guillermo Sandrini, appassionatamente proteso sulle orme di Leni Riefensthal e pronto a sperimentare spericolate ed innovative tecniche cinematografiche come quella di volare assieme alla sua camera appeso a dei palloncini  oppure affacciarsi con il suo obiettivo come venendo fuori da una botola sul prato verde, ben deciso a proporsi al mondo come l’inventore del “cine-casco” o della “cine-pelota”.

Di li a poco la  Coppa Rimet sarebbe giunta in Sud-America ad animare la contesa.

Roba da non crederci e difatti non è necessario che lo facciate: basta soltanto che accondiscendiate  con un pizzico di riverenza a tanta amorevole fantasia e vi gettiate  tra le braccia di questo Il mundial dimenticato”, documentario leggendario che partendo dal racconto di Osvaldo Soriano “El hijo de Butch Cassidy”, contenuto nel libro  “Cuentos de los años felices”, tradotto in Italia nella raccolta  “Pensare con i piedi” – Einaudi 1995, prova a mutare in forma di cinema una stuzzicantechimera calcisticache gli appassionati di questo sport non potranno fare a meno di apprezzare.

Solo lasciandosi condurre per mano dai due registi e sceneggiatori Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni  tra queste squadre surreali formate da militari, pescatori, esiliati, rivoluzionari in fuga equalche professionista” si potrà godere appieno dei duelli tra la mitica “tigre degli indios”, il portiere locale dallo sguardo magnetico e dalla porta inviolabile in grado di paralizzare “ipnoticamente” i  suoi avversari ed appunto alcuni di questi come il centravanti con gli occhiali “Klaus Kramer”, amante di Helena Otz, nipote del Conte e contesagli da Sandrini,  inviato oltre le Ande dal Reich per riportare nel vecchio continente in fiamme nuova gloria.

El fùtbol encantador” degli Indios Tehuelches ed acrobati, stile irregolare e magia: sarà esistito davvero lo squadrone di casa, quei dinamici Mapuche che le malelingue dicevano gettassero peperoncino negli occhi dell'avversario?

Certamente si: parola di Gary Lineker, Jorge Valdano e Roberto Baggio, e così pure l'arbitro che al posto del cartellino rosso usava la pistola: d'altro canto cosa aspettarsi dal figlio di Butch Cassidy!

“Il mundial dimenticatomischia il sapore letterario ad una divertita finzione cinematografica non priva di piccoli colpi di genio ed inventiva dal sapore fresco e genuino e,  sfiorando appena missionari Polacchi dal giocoimprudentemente evangelicoe Francesi alle prese con una diarrea virale, costruisce un racconto per romantici puri e calciofili da biblioteca, aggiungendo persino un pizzico di rivendicazione sociale – la vittoria contro gli invasori “latifondisti inglesi” ben prima della famosa “Mano di Dio” di Maradona -  forse benedetta  da una “qualche entità soprannaturale che al momento opportuno si preoccupò di scatenare la tempesta sul campo da gioco.

Gli albori del  “fair play” e della prova video: addirittura sospesa la  partita  in attesa di sviluppare la pellicola per poter verificare la validità di un goal fantasma; segnali premonitori del mondiale Inglese del 1966 ma anche della mitica azione di Rivera e compagni in Messico '70 in un’altra semifinale Italia-Germania che, se avessimo potuto vederla davvero, non ci avrebbe fatto trepidare di meno.

Per condire meglio il tutto anche  un Pisano di 88 anni (Bruno Bardi) nella parte del “giocatore emigrante” Bruno Battilocchi, pronto a riesumare tattiche e ricordi “mai esistiti” e, per finire,  una “presa”  di Voltaire ad insaporire la ricetta.

Nessun computer o effetto speciale avrebbe mai potuto ricreare meglio questo (finto) documentario: artigianale, ricco di creatività e passione, capace di render plausibile persino quel che sappiamo perfettamente non poter esser vero ma che per affetto o per diletto accettiamo con felicità fanciullesca e gioia incondizionata.

Lo scrittore Osvaldo Bayer, uno dei tanti tra quelli che si sono prestati a ricostruire dubbi, ricordi e presunte verità, all'inizio del filmcertificacon esattezza quanto possano esser labili i confini della realtà dichiarando netto: “C'è sempre qualcosa di vero nella fantasia”.

Impossibile dargli torto ed a questo punto diventerebbe  lecito anche domandarsi  cosa diavolo avranno  veramente trafugato quei ladri nel 1983 quando in Brasile misero le mani sul trofeo sportivo più prestigioso del mondo per fonderlo e farne lingotti d'oro: sarà stata davvero la mitica  “Coppa Rimet” oppure quella originale è ancora “conservata”, chissà dove,   nascosta dalla “natura indomita” della Patagonia?  

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