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venerdì 8 febbraio 2008

PARANOID PARK di Gus Van Sant


Inquadratura fissa di un ponte…macchine che corrono sopra le sue corsie… immagini “accelerate”…musica “a contrasto”…SENSO DI STRANIAMENTO IMMEDIATO…

Lo si capisce immediatamente che con “Paranoid Park” siamo capitati a “lezione di cinema e di stile” da Gus Van Sant: è un “lavoro da professionisti”, e ci sono  in campo tutti i mezzi del mestiere usati con “istinto, sapienza ed oculatezza” (Super8, Steadycam, montaggio “strappato”…)

Descrivere una generazione, “da dentro” senza esserci dentro…dipingere i colori dell’alienazione quotidiana, del disadattamento, della “lucida follia”… ARTE COMUNICATIVA E “VISIVA” DEL CINEMA….

Alex (un bravissimo Gabe Nevins) è un giovane studente, un adolescente…”uno skater”…
Si trascina (annoiato?.... non sapremmo dirlo!...) lungo il corso della vita….”Estraneo a se stesso”: la vita, LA SUA, è un affare che non lo riguarda poi così direttamente. Lo attraggono solamente, ma senza “entusiasmo vitale” i “duri e puri” di Paranoid Park”, uno “spazio-quartiere” dove si impara a “volare su tavole di legno”, palestra di follia, sguaiato contesto di ribellione, degrado, DIVERTIMENTO, SVAGO, rifiuto sociale, abbandono ed “inconsapevole disperazione”.
Suo padre e sua madre stanno divorziando (“Un padre e una madre che si separano non è la cosa piu’ grave che ti puo’ capitare: c’e la guerra in Irak, la gente che muore di fame…”).

Non puo’ “permettersi” una guida sicura questo ragazzo, deve convivere con le sue mancanze di sicurezza, i suoi dubbi atroci: i “grandi”, anche quelli giovani ed in fase di mitizzazione di “Paranoid Park” fuggono ben prima di lui quando le cose precipitano. Suo padre piu’ che un educatore somiglia ad un inconsistente “centro di assistenza a gettone”.

Ma (purtroppo) non è un gioco la vita, dove puoi alzarti dal tavolo, saltare un giro, passare la mano: ogni mossa, ogni gesto ha una conseguenza…

Ed il “caso” travolge tutto, irrimediabilmente….
In una notte alla ricerca di “emozioni facili ed a buon mercato”, saltando sui treni merci in corsa… un custode troppo zelante e di “antipatica intraprendenza”… una spinta….un gesto maldestro, involontario, istintivo… un altro treno in corsa!...

Non c’e’ cattiveria in Alex mentre sotto la sua esistenza si apre la gigantesca botola dell’incubo ma soltanto “irresponsabile vaghezza”, tutto il “vuoto pneumatico” della vita che gli nega quelli che sono i piu’ tradizionali appigli.

In balia della corrente, senza intenzione, senza “decisione”; per i ragazzi, e non solo a “Paranoid Park”, talvolta (oramai sempre più spesso…) la vita è qualcosa di più grande di loro…nessuna consapevolezza, nessuna maturità, sbando totale misto a delirio ed innocenza…. mancanza di riguardo…. (irriverenti, ridono di un “drammatico” corpo tagliato in due sulla ferrovia…).

Mangia senza intenzione o appetito Alex, interrompe il pasto in un batter di ciglia ma si alza da tavola e cammina poi con innaturale lentezza quando il detective lo chiama per porgli alcune domande di prassi: occhi fissi, risposte precise, fredde, da automa (primo piano ESEMPLARE sulla sua impassibilità)…. Atti straniati, freddi, innaturali.


Mentre suo fratello di 13 anni racconta barzellette sboccate lui lascia che  l’apatia lo alieni  lentamente dalla vita, le cui sensazioni “sono consegnate” sotto forma di parole semplici ma agghiaccianti al suo diario.

L’obiettivo (vago, indefinito…quanto interessante?...) è, forse, solamente la “scopata sicura” (“farla è sempre meglio che no”).

MAGISTRALE lavoro di Van Sant, che finalmente sembra aver definitivamente abbandonato i “Geni Ribelli di poca profondità” ed invece, proseguendo la strada imboccata con “Elephant” coglie tutta l’essenza dello spaesamento come del lancinante dolore e delle difficoltà degli adolescenti in genere e nello specifico di quelli Americani.

Glaciale quanto introspettivo nel suo “descrivere e filmare”, consacra il suo “genio” riportandoci attraverso gli occhi di Alex connotati, ansie e debolezze di tutta una “tribu’ generazionale”.

Non si ferma ne al “fatto” (il casuale incidente/omicidio) ne a come, in fondo, “ci si arriva”, ma vuol puntare il riflettore sul dopo, sulla incapacità di realizzare, “esternare”, sulla allucinante “PARANOICA” prosecuzione della vita quotidiana, “distrattamente e svogliatamente” distribuita tra sesso, gioco e scuola e nient’altro.

Da “dentro” come Lynch, assai “piu’ convincente e molto meno ammiccante” di Larry Clark, aiutandosi di tanto in tanto con le note della “giostra Felliniana”, assai utili a creare ulteriore “deformazione”, Van Sant muove flessuosamente le sue immagini “asciutte e devastanti” tra le parole del diario del suo protagonista, indaga tra le atmosfere prodotte da società e famiglie “sulfuree, evanescenti, frantumate e disgreganti”, rende perfettamente la sensazione di una “doccia che è una pioggia di aghi” che si conficcano dentro mente e corpo di un ragazzo travolto dall’esistenza, ineludibile dolore e triste anticamera di un amaro procedere del destino.

Sprofondiamo assieme a lui,  lentamente, inesorabilmente, nell’incubo, attraverso il varco di una “innocenza malata”, senza cuore, tra disperati tentativi di protrarre artificialmente la “normalità”, difesa estrema, ingenua  alternativa alla fine, al baratro.

Filma tutta l’impotenza dell’ “assassino-bambino”, incapace di razionalizzare,
sfogare….liberarsi; brucia la sua lettera-confessione, ardono le parole come se bruciasse la sua possibilità di comunicare e di rinascere, vicolo cieco, fiammeggiante e “terminale”, struggente capolinea di una ennesima “cronaca dell’assurdo”.

Sfugge a questo  “solenne finale d’immagine” Van Sant inserendo a seguire fotogrammi da un altro “paio di set”, con “Alex stordito ed addormentato e rumori di fondo di skaters”.
CAPOLAVORO “PITTORICO-GENERAZIONALE” !

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