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mercoledì 26 giugno 2013

HOLY MOTORS di Leos Carax


Che il cinema sia qualcosa che appartiene a noi tutti, questo  film che resuscita Leos Carax nel suo ruolo attivo di regista lo dimostra ampiamente e seguendo ispirazioni sorprendenti.
Forse è “Holy Motors” a non essere un film facile  “per” tutti anche se, nonostante questa considerazione, va “necessariamente consigliato” ad ogni appassionato delle settima arte e classificato indubbiamente tra gli “imperdibili”.
Innegabilmente ostico e perso nei meandri della sua idea con la quale intende magnificare tutto quel che il cinema può darci, ogni sensazione ed elargizione di bellezza, Leos Carax  (il suo nome d'arte è un anagramma cinematograficamente sognante di Oscar e Alex Dupont, il nome di battesimo del regista) ci invita a seguirlo e soprattutto ad assecondarlo senza  porci troppe domande e sorvolando su alcune mancanze o conseguenze logiche.
La libertà è totale, nulla è vero ma tutto provoca emozione, riflessione e scuotimento: le immagini sono dolci e mai oltre il limite (anche se danno talvolta l’impressione di superarlo), quando cadono petali di fiore o indugiano su un membro in erezione.
Il suo protagonista (Denis Lavant) ha nove appuntamenti ai quali non puo' mancare e naviga la città con la sua limousine: è un attore che non presta solo la sua recitazione ai personaggi ma tutta la sua carne ed ogni particella di emozione, si sfibra e si rigenera “con noi e per noi”.
Ora è una vecchia mendicante, poi inscena una danza avvolgente, a tratti elegante ed a tratti erotica che la “motion capture” restituisce in una nuova forma, generata però dallo sforzo dell'uomo, anzi dell'artista che profonde tutto il suo impegno e dona tutto se stesso.
Nel mezzo della pellicola, per chi avesse smarrito la strada, un dialogo illuminante con un “ospite” che entra nella limousine/camerino: “Ti piace il lavoro che fai? Sai che alcuni non credono a quello che vedono? Cosa ti fa andare avanti?” “Continuo per il motivo per il quale ho cominciato: per la bellezza del gesto!”
L'autista (una donna/Edith Scob), che una volta era una ballerina, continua a portarlo in giro per la città, tra i palazzi e le ombre della notte che avvolgono pian piano tutto tranne le gioie, gli struggimenti e le sofferenze che continuano (o vengono interpretate e “restituite”) sul tetto dei vecchi magazzini “Samaritane” (dove troviamo Kilye Minogue” che puo' esser Eva oppure Jean, hostess oppure donna) oppure in misteriosi anfratti nascosti.
Fuma, beve, si consuma per tutto il giorno il protagonista del film di Carax, segue la sua vocazione senza poter deviare mai dal percorso, a capofitto compie la sua missione, fino al termine del giorno e della notte, quando riposeranno anche le tante autovetture che convoglieranno nel garage “Holy motors”, pronte ad “addormentarsi”, non prima di aver scambiato le loro impressioni sulla giornata (un ennesimo omaggio cinematografico al “Cars” della Pixar?).
Venti minuti si possono recuperare in vent'anni, le due ore di questo film scorrere in un attimo o esser estenuanti per tutta la durata del loro tempo: puo' accadere solo nel cinema, probabilmente!
Una visione non basta, forse nemmeno due per poter scovare i cento omaggi e le moltissime imbeccate poetiche e del pensiero: è una sfida, un viaggio che scava oltre ogni strato del trucco e della pelle.
Ci vuole forse un po' di coraggio per mettersi in viaggio ma è un film che ad ogni minuto che passa si insinua sotto la nostra pelle e che solo i più innamorati possono “amorevolmente infliggersi” e non smetter mai di vedere sospirando.

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