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martedì 17 dicembre 2013

MOLIERE IN BICICLETTA di Philippe Le Guay


L’attore Gauthier (Lambert Wilson) da Parigi si reca fino all’Ile Du Rè per tentare di convincere lo scontroso collega Serge (Fabrice Luchini) – allontanatosi dalle scene e rifugiatosi nel suo sperduto casolare come un eremita – a partecipare ad una messinscena teatrale de “Il Misantropo” di Molière.

I due concorderanno di procedere con una settimana di prove - durante le quali, facendo testa o croce, si alterneranno quotidianamente nei ruoli di Alceste e Filinte – e al termine sarà Serge a decidere se accettare o meno la proposta di Gauthier.

Mentre le spire del testo li risucchiano e sono immersi nel tentativo di trovare il giusto sentimento ed un’anima sincera per i loro personaggi – giammai tralasciando di ricamare discorsi su quale sia l’opportuna dizione per interpretarli – visitando appartamenti in vendita, nei momenti di riposo, faranno la conoscenza di Francesca (Maya Sansa), una donna italiana da poco lasciatasi con il marito ed impegnata nel suo trasloco.

Dopo un iniziale primo incontro, piuttosto brusco e scortese, emergeranno non poche affinità tra i tre ed una particolare intesa sembrerebbe nascere tra Francesca e Serge.

Philippe Le Guay imbastisce - poggiandosi sul solido telaio dell’opera di Moliere - una commedia ricca di preziosi suggerimenti, per mezzo della quale trova modo di insinuarsi tra i vezzi e le bizze degli attori e, molto più per esteso, di tutti gli esseri umani, scandagliando da vicino le contraddittorie singolarità dei caratteri di ognuno dei suoi protagonisti.

Alceste sembrerebbe trovare la sua incarnazione perfetta in Serge/Luchini ma non poco della sua indole iraconda ed indomabile albergano - in diversa forma - anche negli altri due protagonisti: non è per caso che in diversi momenti del racconto il vecchio adagio “i simili si attraggono” sembra trovare una sua evidente conferma.

Risulterà vero altrettanto però che non basta somigliarsi per vivere assieme quieti e felici ed anzi, nella fattispecie, “i nostri” finiranno in un modo o nell’altro inevitabilmente per collidere.

Con un pochino di presunzione - e non senza punte di risentito sarcasmo e cinismo - Serge terrà sulla corda Gauthier che, a sua volta, eviterà di sottolineargli le sue mire non del tutto disinteressate: poi non mancherà di sferrare un colpo scorretto alla prima occasione buona.

Seguendo la via maestra, ovvero lasciandosi condurre dal testo di Molière, Le Guay divaga anche in altre direzioni, offrendoci qualche scorcio alternativo tra riflessione e divertimento: così facciamo la conoscenza di una giovane attrice in erba che diserta le opere classiche ed i palchi del teatro ed a questi preferisce singolari set cinematografici in allestimento a Bucarest, dove conta più il corpo che non la dizione; poi in poltrona, seduti davanti alla televisione, gusteremo “deliziosi” estratti da una puntata della fiction “Docteur Morange”, il chirurgo televisivo che opera i suoi pazienti tra tempeste di neve o di sabbia, interpretato proprio da Gauthier, che con quel personaggio ha conquistato la notorietà ed un ragguardevole cachet da 200.000 euro a puntata.

Ma è soprattutto durante le prove che vediamo montarsi e smontarsi le armonie e le empatie, che affiorano gli opportunismi e le piccole codardie o si affacciano i desideri, i rimpianti e le nostalgie, tra una corsa in bici ed una passeggiata in spiaggia e, mentre i personaggi maturano e prendon forma dal copione - tra commenti beffardi ed inappuntabili indicazioni sulla metrica Alessandrina - all’ombra della finzione prosegue e fiorisce nuova vita vera ed i rapporti umani fanno il loro corso.

Talvolta sarà la realtà ad infondere forza ai personaggi che poi dovranno “staccarsi” ed avventurarsi sul palco, in altri momenti sarà l’esatto contrario e saranno i versi di Moliere a gettare lo loro ombra invadente sulle persone in carne ed ossa, assoggettando al loro verbo un presente in gran parte ancora somigliante a quanto scritto secoli addietro: da allora il genere umano pare esser rimasto immutato ed aver mantenuto in bella vista i soliti deprecabili difetti.

Il finale non vedrà sorrisi festosi e brindisi con coppe di champagne ma solo occhi smarriti che poggiano lo sguardo in direzioni diverse: sull’orizzonte che affoga dentro la lontana linea del mare o da un palco a curiosare tra gli spettatori mentre una parola, sinuosa, sale fin sulle labbra (“indicibile”….spaventosa o spaventevole!).

Così, in un istante, i giorni più recenti confluiscono in un solo unico tentennamento, rendendo visibile a tutti noi - con inequivocabile chiarezza - la germinazione ottenuta dal seme gettato nella “terra dissodata del vivere assieme”.


Sarà proprio questo pronunciamento a mezza bocca l’ultimo e sorprendente piccolo lascito ad affiorare, l’antidoto agli egoismi ed ai risoluti rifiuti, l’antitesi inaspettata ai rancorosi lamenti di Alceste e dei suoi proseliti, di tutte queste iperboli - legittime o ingiustificabili - contraltare fugace e paradossale ma anche incontestabile testimonianza di un tempo condiviso, di uno scambio, magari anche minimamente affettivo o soltanto relazionale, culturale: che nulla marcisce nel nulla e sempre qualcosa rimane del tempo che scorre, a dispetto persino di noi stessi e delle nostre più bieche intenzioni.

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