VISITATORI

sabato 14 dicembre 2013

DIETRO I CANDELABRI di Steven Soderbergh


Wladziu Valentino Liberace, virtuoso pianista del Wisconsin, classe 1919, di origini Italo-Polacche, per gli amici (e per gli amanti) semplicemente “Lee”.

A cavallo tra gli anni ’50 e ’70 fu uno degli artisti con il più alto cachet della sua epoca: il suo nome è iscritto nella “Walk of fame” di Hollywood, una statua in cera lo ricorda a Las Vegas al museo di Madame Tussauds e Lady Gaga lo cita ai giorni nostri nella canzone “Dance in the Dark”.

Intrattenitore televisivo con un suo programma (“The Liberace Show”), talentuoso interprete di Liszt e di sfrenati Boogie Woogie, adorava vestirsi con mantelli di ermellino uniti a fiammeggianti abiti luccicanti e viveva in una sfarzosa villa simile ad una reggia, arredata secondo i dettami di un insolito stile “kitsch imperiale”.

Sembrerebbe innegabile che Steven Soderbergh, ancora intenzionato a prendersi un “periodo sabbatico” di lontananza dal cinema per dedicarsi ad altro - tra cui sicuramente teatro e televisione – di carne da mettere al fuoco, per il suo “ultimo” lavoro, ne avesse in abbondanza.

Di questo eccentrico ed interessante protagonista dello spettacolo Americano (certo assai meno noto in Europa di quanto non lo fosse invece oltreoceano) il regista di Atlanta racconta l’ultimo decennio di vita, dal finire degli anni ’70 al 1987. E’ durante questo periodo che ebbe una relazione con il giovanissimo Scott Thorson che, quando lo conobbe, era nemmeno ventenne. Ad interpretarlo è chiamato un Matt Damon già oltre i quaranta anni, sufficientemente credibile però nel suo ruolo in virtù di una prova più che ispirata.

Nonostante diverse indiscutibili evidenze Liberace (Michael Douglas) finchè ebbe fiato per respirare negò sempre con decisione la sua omosessualità, arrivando al punto di denunciare il “Daily Mirror” – ottenendo ragione - quando nel 1957 ventilò dalle proprie pagine l’ipotesi che fosse gay. Alla sua morte le dichiarazioni ufficiali parleranno inizialmente di complicazioni cardio-vascolari per nascondere l’Aids e la sua sieropositività.

Aggiungete a tutto questo che l’estroso show man si dichiarava anche un “fervente cattolico”, dal momento che riteneva Dio avesse avuto per lui un “particolare occhio di riguardo” durante il decorso di una sua grave malattia e che, nel contempo, non considerava né peccaminosi, nè in antitesi alla sua “vocazione religiosa”, gli insaziabili languori carnali dei quali sembra fosse spesso preda ed avrete un'idea di quanto poco rischierete di annoiarvi durante la visione di “Dietro i candelabri”.

Il film di Soderbergh non nasconde affatto la natura “sfacciatamente” omosessuale dell’artista americano, al punto che proprio per questo motivo gli studios di Hollywood hanno rifiutato di produrre il soggetto e si è dovuto attendere l’innesto di capitali della “televisiva HBO” per poter passare alla fase di lavorazione.

Michael Douglas incarna con passione il suo personaggio, rendendone al meglio le contraddizioni e le curiose sfumature, colorando di un simpatico estro barocco ogni suo gesto, dai suoi smodati appetiti sessuali alle numerose disarmonie ed interpretando al suo meglio la figura di un uomo intimamente convinto che un artista non dovesse sovvertire l’ordine del mondo ma soltanto divertire il suo pubblico e, “vivaddio”, vendere bibite e qualche souvenir!

La figura di Liberace emerge come quella di un uomo effervescente, istrionico ed eccessivo, oppresso da un vago senso di solitudine per quanta gente potesse avere vicino: come capita spesso quando le situazioni sono prodighe di denaro e divertimento, molti gli ronzavano attorno soltanto per ottenerne qualcosa. Ben conscio del suo ruolo di “potere e di comando” su chi aveva accanto, era anche capace di slanci generosi ed amorevoli quando pienamente coinvolto in un rapporto affettivo, al punto da voler sinceramente essere per il suo uomo padre, fratello, amico e amante.

Difatti Liberace e Thorson si prenderanno cura l’uno dell’altro per diversi anni, dividendo il loro tempo tra lavoro, sesso e shopping, entrambi preda di una focosa passione amorosa ed ovviamente vittime di qualche inevitabile litigio. 

Alla resa dei conti l'amore prevarrà sulla gelosia ma, improvvisamente, la loro relazione prenderà una brutta china e, per motivi che non vi raccontiamo ora, non giungeremo affatto a vedere il classico lieto fine!

Soderbergh non nega alla sua pellicola la quasi imprescindibile baldoria dei colori accesi e dei fastosi dettagli e si avventura tra gli scintillanti lustrini “armato” di una perigliosa ironia, camminando sicuro entro il perimetro di un campo minato e continuamente esposto al pericolo del ridicolo eppure - senza trascurare di certo il pittoresco e debordante contorno estetico - riesce a puntare dritto alla sostanza, senza troppa enfasi o superflue romanticherie e nemmeno nascondendo le spigolosità di un rapporto comunque a suo modo intenso e pieno di sentimento.

Scott era un “senza famiglia”, senza arte nè parte mentre il suo Lee era un divo famoso e pieno di denaro, pervaso da singolari manie. Nel periodo passato assieme le posizioni dei due rimasero tutto sommato ben definite e le differenti origini determinarono una diversa suddivisione dei ruoli e l’accettazione o meno di una condizione parzialmente fatta anche di dominio e subalternità.

Durante la loro “liaison” Liberace si prese persino la licenza di “ricreare” il suo amore a propria immagine e somiglianza: sarà questo il momento in cui la pellicola offrirà alcuni tra gli spunti più interessanti grazie ad una sanguinolenta rappresentazione della sala operatoria - che risulterà di certo repellente ed indigesta ai sostenitori della chirurgia estetica - ed in virtù del divertente cameo di Rob Lowe nei panni del Dottor Jack Startz, medico in grado di far restare i suoi pazienti (…clienti!...) letteralmente ad occhi aperti! Nella parte di Seymour Heller, manager di Liberace, troviamo invece Dan Aykroyd ed in quelli della madre Debbie Reynolds.

Behind the candelabra – My life with Liberace” è la biografia – scritta da Thorson qualche anno dopo la morte di Liberace - dalla quale Richard LaGravenese e lo stesso Soderbergh hanno tratto l’adattamento cinematografico.


Il titolo prende spunto dal vezzo che aveva il pianista di suonare sempre con un candelabro poggiato sul pianoforte, sembrerebbe dopo averlo visto fare nel film “L’eterna armonia” di Charles Vidor, dedicato alla vita di Fryderyk Chopin. Detto questo il cerchio sembra davvero chiudersi e l'approdo sul grande schermo di questa storia come già scritto a chiare lettere nel libro di un inevitabile destino.

Nessun commento: