Martin
Scorsese e Leonardo di Caprio tornano a far coppia al cinema con una
commedia dai toni “survoltati” e dal retrogusto velenoso sugli
eccessi attorno al mondo della finanza, ponendo l'attenzione su
“alcuni” dei suoi incontrollabili effetti collaterali.
La
pellicola si ispira alla vicenda reale di Jordan Belfort, uno
spregiudicato uomo d’affari la cui ascesa e rovina fu tra gli anni
’80 e ’90 ed autore del romanzo “The wolf of Wall Street”, da
cui il film prende il titolo.
Di
Caprio presta il volto a Belfort e passa una buona parte del film
spiegando cosa si deve fare per sopravvivere in un mondo di squali e
diventare veri cantori del “Vangelo del denaro”, guardando
qualche volta anche in camera e così rivolgendosi direttamente a noi
spettatori.
Sembrerebbero
esservi ricette e soprattutto ingredienti imprescindibili: anzitutto
droghe, niente affatto in modica quantità ma al contrario assunte
con costante abbondanza e varietà. Nulla parrebbe però in grado di
aumentare a dismisura il tasso di adrenalina come l’accumulazione
forsennata ed ininterrotta di mazzette di dollari fruscianti.
Il
processo è “circolare” (ed a suo modo virtuoso!), ovvero ci si
droga per spacciare subito dopo “altra droga” ai clienti. Per
questi però niente eroina, cocaina o altre sostanze simili bensì
letali “Penny Stock”, al cinquanta per cento di provvigione ma
solo per chi vende! Bisogna sbolognare in fretta migliaia di titoli
senza garanzia - o “immondizia pura” - al fine di portare a
casa cospicue commissioni.
Un
“mare di banconote” – scontato dirlo - è l’elemento naturale
dove amano nuotare donne discinte, appariscenti e disponibili e ben
presto nella pellicola di Scorsese si moltiplicano le situazioni
bollenti. In breve tutto diviene straripante e sconfina nel
grottesco, con facilità si oltrepassa ogni limite. “Sodoma e
Gomorra” oppure gli States? Impossibile distinguere!
“The
wolf of Wall Street” per lunghissimi tratti è uno scatenato
festival degli eccessi: gli avvenimenti si susseguono come i
kilometri in una folle gara automobilistica, dove il percorso è
ricco di curve iperboliche e ad ogni passaggio si rischia seriamente
di finire fuori strada. Però, una volta superato l’ostacolo, ecco
che la spasmodica corsa riprende ancor più all’impazzata, con
gran rombo di motori e mai nessuno che si sogni di pigiare sul freno.
La
degenerazione diviene abitudine e la ricchezza ipertrofica il minimo
da pretendere: week-end da due milioni di dollari, avvocati da
settecento bigliettoni l’ora, pacchetti quotidiani di incassi da
cinquantamila per ogni prestanome e, per foraggiare tutto questo, c'è
bisogno di infinite telefonate per vendere azioni su azioni, da
ficcare giù per la gola ai clienti, finchè non si strozzano!
Intanto
Belfort verrà colto dalla moglie Teresa “con le mani dentro la
marmellata” o sarebbe meglio dire tra i biondi capelli di una
donna! Sul momento, annichilito, non fiaterà nemmeno una parola: il
cervello invaso da un ronzare di pensieri del tipo “Cosa ho fatto,
mi dispiace, sono un verme!” Nemmeno tre giorni dopo arriverà il
divorzio ed a seguire un nuovo matrimonio con la procace Naomi
(Margot Robbie): uno scafo lungo cinquantadue metri con il suo nome a
prua sarà lo spropositato regalo di nozze!
Guasterà
la festa il solito “pedante” agente dell’ F.B.I. (Kyle
Chandler), che una mattina si presenterà a bordo dell'enorme natante
– simile a quello del “cattivo di 007” - con ogni probabilità
ancora sudaticcio per aver viaggiato nella metropolitana affollata e
magari con indosso lo stesso vestito dei tre giorni precedenti!
Un
mondo di perdizione, dissennatezza e con bassissimo tasso di
scrupoli: questo è quello che Scorsese e Di Caprio provano a mettere
a nudo con frenetica ironia. Nessuna parvenza di onestà e di morale
sembrano avere residenza.
“The
wolf of Wall Street” non è una pellicola che voglia perdersi in
tecnicismi e profondi ragionamenti: lo scopo principale sembra esser
quello di spiattellarci addosso un quadro debordante di elementi,
una bulimia di continue follie di fronte alla quale esultare
ingolositi oppure arrivare a provare un ripugnante ribrezzo.
Gli
“Strattoniani” - da “Stratton Oakmont”, il nome della società
di brokeraggio fondata da Belfort - sono una setta, forse una “razza
a parte”, che vede il mondo esclusivamente dal versante del
guadagno infinito; tutta gente che ripudia la sobrietà (in ogni
senso!....) e la considera come qualcosa di estremamente noioso.
Tutto
sembra assurdo e distante rispetto alle nostre piccole ed ordinarie
abitudini: ma c’è davvero qualcuno che vorrebbe vivere per sempre
in un mondo normale?
La
regia navigata di Scorsese descrive una sorta di incontenibile
“babele” dando ampio sfogo ad un plateale gusto del divertimento.
Molte le situazioni esilaranti: su tutte quella con Di Caprio che
striscia verso la sua Lamborghini bianca sopraffatto da un “Quaalud
d’annata” (Un “Lemmon 714”); poi, una volta a casa, per
soccorrere il suo collega d’affari (Donnie Azoff/Jonah Hill) –
che “strafatto” rischia di strozzarsi - si verserà copiosamente
cocaina direttamente nella narice, convinto forse di ottenere il
medesimo effetto energizzante di Braccio di Ferro che, dallo schermo
della televisione, sembra osservarlo attonito, ingurgitando spinaci.
Belfort/Di
Caprio per tre ore freme e si agita come posseduto da un demoniaco
bisogno di guadagnare: esorta, arringa, digrigna i denti e svezza il
branco di lupi che ha accolto nella sua tana e alla fine sarà
l’istinto che li farà mangiare l’un con l’altro.
“The
wolf of Wall Street” evita per scelta “la trappola” di render
conto del più ampio quadro generale degli eventi: decontestualizza,
tralascia di entrare nel dettaglio dei devastanti effetti economici
a catena, sia negli Stati Uniti che nel mondo. Non è della “crisi”
di ieri né di quella di oggi che si vuole parlare, nessuna notizia
ci viene fornita sugli investitori truffati e sulle loro disgrazie,
nessun particolare sulle leggi o sulle situazioni auspicabili per
porre un argine reale ad un disastroso modo di agire e fare affari,
sulla pelle di migliaia di malcapitati.
Il regista NewYorkese ha in mente di fare principalmente
“divertimento d’autore” ma anche di andare “visivamente
dritto al sodo”, sferrandoci un “diretto” nello stomaco,
portando oltre la nostra già fervida immaginazione, più
verosimilmente cercando di provocare sconcerto e (forse) disgusto
mentre - beninteso! – ci “depista” facendoci sbellicare dal
ridere.
Quel
che “dipinge” è niente altro che l’inferno eppure sembra
proprio il paradiso! Se dovesse piacervi, lanciatevi pure alla
sua conquista: basta “prendere e truffare”!