A Varsavia, nel 1939, Hitler osserva la vetrina di un negozio di ghiottonerie: forse questo vegetariano che talvolta si ingoia intere nazioni è anche goloso di dolci? Niente affatto: si tratta solo del Sig.Bronsky (Tom Dugan), una attore della compagnia polacca di Josef (Jack Benny) e Maria Tura (Carole Lombard) , che mentre portano in scena Shakespeare stanno mettendo a punto un nuovo lavoro dal titolo “Gestapo”.
Purtroppo, di li a poco i tedeschi metteranno in piedi uno “spettacolo” molto piu’ grosso del loro ed occuperanno Varsavia, senza darne alcun preavviso: comincerà una tragedia senza speranza di sollievo e nessuna censura potrà impedirlo!
In teatro, come nella vita, bisogna scegliere con cura la parte giusta da interpretare – ascoltando, quando necessario, anche la voce della propria coscienza – e così ecco che i valenti attori si troveranno a svolgere il loro lavoro per il bene della Patria, ovvero a dover recitare per salvare se stessi e gli altri connazionali.
Restaurato da “StudioCanal” e coraggiosamente distribuito – in lingua originale e con sottotitoli – da Vieri Razzini e Theodora Film, torna in sala il film di Ernst Lubitsch datato 1942 “To be or not to be” (all’epoca uscì con il titolo di “Vogliamo vivere!”), un esempio strabiliante di come si possa fare un cinema misurato ed al tempo stesso sorprendente.
Non tragga in inganno l’apparente semplicità finale del risultato: dietro vi si cela un minuzioso ed elaborato lavoro a monte e la forza di una sceneggiatura disseminata di rimandi e piccoli indizi, capace di legare ogni scena o battuta ad un’altra successiva, fino ad intessere un prezioso testo unico fatto di dialoghi cadenzati con il metronomo che risulterebbero perfetti per qualsiasi adattamento teatrale.
Totale l’assenza di tempi morti e cose inutili; c’è un’aria di perfezione che persino un profano del cinema potrebbe sensibilmente avvertire durante la visione. Nessuna ridondanza: solo ricami infiniti da ammirare che compongono un lavoro impeccabile.
Tutto funziona, non ultimo il divertimento ed il tempo comico (il film è una satira sul Nazismo), a partire dalle ridicole ed imbarazzanti situazioni in cui si trova il protagonista Josef Tura.
Egli dapprima si cruccia a causa di uno spettatore che abbandona la platea ogni volta che lui comincia a recitare (basta che lui pronunci le parole “To be or not to be….” dall’Amleto), gettandolo nello sconforto ed in preda alla profonda frustrazione dell’attore che sente di esser snobbato: in realtà la frase è un codice per lo spasimante della moglie che lo attende in camerino.
Tura è’ ancora più colpito nel suo ego di artista ogni qualvolta si rende conto che nessuno dei suoi interlocutori conosce la fama del suo nome, tranne uno: il colonnello nazista Ehrhardt (Sig Ruman) detto “Campo di concentramento” (…!...), che lo ha visto recitare a teatro e col quale si ritroverà faccia a faccia sotto mentite spoglie. Ehrhardt gli confesserà personalmente – senza però minimamente sospettare chi ha davvero di fronte - di ritenere che “quello che fanno i nazisti alla Polonia lo fa Tura a Shakespeare!”.
A dire il vero anche Mr.Dobosh (Charles Halton), il produttore della compagnia, era piuttosto scettico e preoccupato nel dover affidare le sorti della Polonia “nelle mani di un attore gigione” e, con questo, rimane poco altro da aggiungere sulle presunte qualità artistiche di Josef Tura.
“To be or not to be” è un film senza sbavature, sempre ligio a seguire impeccabilmente la linea del buon gusto, sagace, dallo humour asciutto e soppesato (sceneggiatura inappuntabile di Edwin Justus Mayer), strepitosamente elegante nel porre in ridicolo i nazisti: inevitabile forse cogliere una similitudine cinematografica con Chaplin ed “Il grande dittatore”, ma li era soprattutto il singolo a far breccia mentre qui c’è una orchestra intera che suona uno spartito senza stonare una nota!
Alfine, per chi ha sempre sognato di esser un protagonista ed era costretto a portare in scena solo una alabarda nel muto anonimato arriva il momento di recitare la parte della vita ed ecco Greenberg (Felix Bressart) che ruba le parole dal “Mercante di Venezia” “Se ci pungete non sanguiniamo, se ci avvelenate non moriamo?”
Piange come Shylock il popolo Polacco e mai come in certi casi risulta evidente che la finzione dell’arte e la vita viaggino sempre su binari vicini, che ogni tanto si incrociano, per continuare poi per proprio conto, solo fino alla prossima stazione dove, probabilmente, si incroceranno di nuovo!
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