Riappare, stavolta dalle acque, l’enigmatico mito romantico di Kaspar Hauser, l’adolescente che leggenda vuole si fosse materializzato all’improvviso in una piazza di Norimberga nel 1828 e che di sé conosceva poco altro che il suo nome, incapace di confrontarsi con la realtà circostante che non aveva mai veduto prima.
Stavolta non c’è tempo e non c’è luogo – anche se è la Sardegna – ed il protagonista ha assunto le sembianze di un giovanissimo biondo androgino (Silvia Calderoni, una donna!) che ascolta senza riposo la musica vertiginosa di Vitalic, le orecchie imprigionate nelle vistose cuffie.
Ad accoglierlo uno sceriffo dall’improbabile slang yankee ed un pusher con casco o cappello bianco, (a seconda dell’occorrenza interpretati da Vincent Gallo), una marchesa in nero (Claudia Gerini), una ragazza sinuosa (Elisa Sednaoui), un “drago” (Marco Lampis) ed un prete dall’accento pugliese (Fabrizio Gifuni).
Che sia ieri o domani per chi è “diverso” in ogni tempo c’è pronta una condanna, in ogni luogo una croce o una gabbia se questi non si riduce prontamente all’accettazione di uno schema che lo possa omologare e render riconoscibile (e quindi controllabile).
A Werner Herzog ed al suo precedente cinematografico “L’enigma di Kaspar Hauser” Manuli nemmeno ci guarda, impegnato com’è a scrivere sulla sabbia il suo cinema fatto di un bianco e nero assolato, che lascia impronte un pochino ovunque e numerose e fiorenti tracce da seguire: ad ogni sguardo corrisponde una nuova imbeccata, un piccolo mistero da scoprire.
Il suo è un lavoro surreale, misterioso e libero, pregno di senso e di non senso, che sparge dubbi, pensieri ed immagini a piene mani.
Accogliere un alieno o un nuovo messia, un uomo delle stelle o del cielo: l’umanità non è pronta ma il cinema si e Manuli è ancora più avanti che ci attende ma, niente paura se ci confondiamo mentre tentiamo di raggiungerlo perché per nessuno la strada è segnata ed ogni svolta procede in direzione ignota anche per lui.
“La leggenda di Kaspar Hauser” alle volte ha delle coordinate indecifrabili, in altri momenti procede solo con il suo “linguaggio musicale”, ossessivo o liberatorio, orienta il verbale scarno dei suoi protagonisti verso orizzonti indefiniti dei quali ci attrae il mistero ed avvertiamo l’importanza.
Trabocca come bava dalla bocca tutto quel che non sta “né dentro né fuori”, come una scossa epilettica smuove il corpo e l’anima.
Kaspar Hauser sogna di esser un Disc Jockey. Qualcuno lo odia, qualcuna forse lo ammira ed un altro lo aiuta a realizzare il suo sogno: comunque arriverà in paradiso.
Del film di Manuli è ingenuo e forse anche delittuoso pretendere che tutto sia comprensibile: chi lo ama lo segua, ma non lo consigliamo agli ansiosi ad ai desiderosi del tutto chiaro e subito.
Cinema per occhi robusti e menti impavide pronte a perdersi ed a pagare piu’ di uno scotto sull’altare del tentennamento e della ragione, ma la visione stuzzica la curiosità ed ingolosisce ad ogni passo, tanto che alla fine più di qualcuno potrebbe ritenere che ne sia valsa la pena.
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