Sono
gli anni ’70 ed il giovane Ernesto Marchetti (Elio Germano)
si guadagna da vivere aiutando il padre tappezziere: è un ragazzo
con “il vizio” di esser onesto e lavorare non gli fa paura.
Angelina
(Alessandra Mastronardi) è la donna che ama ed alla quale si
dichiarerà presto con impacciata emozione. La sposerà senza aver un
soldo in tasca, al punto da non poterle offrire nemmeno il viaggio
di nozze, mentre lei in dote porterà una casa dove vivere e con la
luce pagata, anche se con l’inconveniente di aver tutti i giorni
qualche parente per ospite all'ora di pranzo.
Lo
zio Alberto (Maurizio Battista) procurerà al giovane marito -
tramite “le solite” amicizie - un posto fisso in una mensa
scolastica ma, ben presto, l'insoddisfazione ed una ventata di
ottimismo arrivata direttamente dai Mondiali di Spagna, faranno
prendere ad Ernesto un’altra strada, dirottandolo nel settore dei
traslochi assieme all’amico Giacinto (Ricky Memphis).
L'Italia,
di lì a breve, avrebbe conosciuto nuove mutazioni che non
avrebbero risparmiato di coinvolgere i nostri protagonisti:
soprattutto stava per arrivare il tempo in cui i socialisti non
sarebbero stati più “di sinistra”…
Veronesi,
prendendo spunto dalla vera storia di Ernesto Fioretti
(l’autista/tuttofare di Carlo Verdone, che il regista toscano ha
conosciuto sul set di “Manuale d’amore”) rivisita con una
veloce carrellata quarant’anni della nostra storia, dall’omicidio
di Aldo Moro passando per le monetine dell’Hotel Raphael lanciate
contro Bettino Craxi ed arrivando fino ai giorni nostri, dopo esser
transitato (inevitabilmente!...) davanti ai suadenti cartelloni del
promesso “nuovo miracolo italiano” di Silvio Berlusconi.
Scorre
in pellicola l’Italia immarcescibile dei raccomandati e di tutti i
“Signori Cocco”, dei piccoli mariuoli furbi e sfortunati; poi il
lungo periodo del “dominio socialista” e proseguendo in avanti
una citazione persino per il plastico di Cogne nello studio
televisivo di Bruno Vespa. Così, un episodio minore fa di diritto il
suo ingresso - almeno cinematograficamente – tra quelli
“deplorevolmente salienti” nella vita recente della nostra
Nazione!
Il
film di Veronesi si fa apprezzare per le sue intenzioni e per la sua
atmosfera genuina, nella quale rimane piacevolmente a baloccarsi,
facendoci più sorridere che non riflettere sui mali atavici del
Paese. Sfruttate appieno in questo senso le opportunità offerte dal
personaggio di Giacinto/Memphis (ottimo contraltare per Germano).
E’
probabilmente una scelta operata in sede di stesura del soggetto e
dei dialoghi, considerando ad esempio anche le battute marcatamente
di alleggerimento assegnate dalla sceneggiatura - opera dello stesso
Veronesi in collaborazione con Ugo Chiti, Filippo Bologna e lo
stesso Fioretti - a Maurizio Battista.
Al
comico Romano anche il compito di sottolineare, con una certa velata
insistenza, quanto le riserve della panchina calcistica - ovvero
gli “ultimi” - siano più importanti dei giocatori/titolari: non
è purtroppo l'unica occasione in cui il film si lascia zavorrare
da qualche piccolo luogo comune e da uno stile troppo semplificativo.
Percorrendo
senza crederci troppo il solco della vecchia ed amara commedia
all’italiana di Scola, Monicelli o Risi – mancando purtroppo
l'occasione di emularli in pieno - la pellicola giunge al suo
capolinea, dove ci aspetta una prevedibile morale consolatoria e fin
troppo smaccatamente esplicitata nell’elogio della vita sofferta,
onesta e felice, dove quel che conta è l’amore e non certo il
denaro.
Elio
Germano spicca sugli altri nel ruolo del cittadino che tenta a
fatica, se non proprio di rimanere integerrimo, quantomeno di
preservare la sua dignità, evitando di approfittare di sconce
scorciatoie per arricchirsi o di sporcarsi le mani con le piccole
truffe.
Il
suo contributo offre a tratti sterzate generose verso orizzonti di
altra intensità emotiva e credibilità, dai quali però il resto
della storia si tiene cautamente lontana, rinunciando ad
affondare davvero nella carne viva dei problemi e nelle loro cause.
“L'ultima
ruota del carro” si garantisce così una “navigazione”
tranquilla non riuscendo tuttavia, alla resa dei conti, ad andare
molto al di là di un racconto piacevole, schietto e sincero.
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